La salvia selvatica è una delle specie più comuni, presente in collina, in campagna, ma, talvolta, persino nei parchi e nei terreni incolti. È una di quelle piante che non smettono mai di fiorire durante tutto l’anno. È una pianta che cresce diritta, ha foglie di colore verde scuro che si trovano principalmente alla base dello stelo e sono ruvide, un po’ raggrinzite, reticolate, spesse al tatto, fortemente incise e molto più grandi di quelle della comune salvia. Quelle basali, facilmente riconoscibili, hanno un sapore neutro molto diverso da quello della salvia comune. Nella zona apuana la salvia selvatica cresce ai margini delle strade, in prati aridi, in terreni incolti, nei vigneti e oliveti, dal monte al piano, ama i luoghi soleggiati e asciutti. La salvia selvatica, come la salvia comune, è un’ erbacea e, durante la fioritura, mette spighe tra il blu e il viola di fiori semplici e vistosi. La prima parte del nome botanico: Salvia Verbenaca deriva dal latino ‘salvus‘ e allude alle proprietà curative della pianta, mentre la seconda parte del nome si riferisce alla forma delle foglie, vagamente simili a quelle della verbena. La salvia selvatica ha proprietà simili alla salvia officinalis, ma più leggere. Per i greci era considerata un’erba sacra, mentre per i romani era un efficace toccasana per qualsiasi male. La sua azione si esplica in modo particolare sugli organi digestivi, stimolando le funzioni dell’ intestino e della cistefellea (gonfiori addominali, flatulenze, lentezza digestiva, eruttazione), mentre sull’apparato respiratorio ha un effetto balsamico perché riduce le infiammazioni, è espettorante ed ha azione antisettica, antibatterica e antifungina (asma, bronchite, catarro, sinusite). Per la presenza di estrogeni esercita un’azione tonificante nel flusso mestruale scarso o abbondante. I suoi semi messi nell’ acqua rilasciano una mucillagine che nella medicina popolare veniva utilizzata per curare infiammazioni degli occhi. Le foglie più fresche e tenere della salvia selvatica vengono raccolte, aggiunte agli altri “erbi” e mangiate bollite. Le foglie più giovani e tenere possono anche essere consumate crude aggiunte alle insalate.
Ricordo il mio nonno contadino che ogni tanto, dopo essere stato nel terreno che coltivava, portava a casa queste foglie e diceva alla nonna Lina: “oh nin, toh, ogi t’ m’ fa do’ fodja d’ salvia frita “ (Oh tieni, oggi mi fai due foglie di salvia fritte) e la nonna preparava una pastella semplice con l’ acqua freddissima del pozzo, la farina, una presina di sale, una macinatina di pepe, densa quel tanto che bastava a coprire le foglie di salvia senza scivolare via. Poi prendeva le foglie così pastellate e le tuffava nell’ olio bollente fino a che non diventavano gonfie, dorate e croccanti. In un flash di nostalgia rivedo la mia manina di bimba che si allunga sopra il foglio di carta gialla, veloce nel “rubare” quel fritto meraviglioso… mmmm che buono!