Quando nel 2011 uscì nelle librerie il primo romanzo della serie “50 sfumature” sembrò che in tutta Italia, ma in realtà un po’ in tutto il mondo, la produzione ormonale delle coppie fosse aumentata a livelli adolescenziali. Nonostante la trama di tutta la trilogia sia abbastanza scontata, e questa è un’opinione comune che condivido, a far ribollire il sangue nelle vene dei lettori, anche se sembra si sia scaldato più nelle lettrici, fu l’argomento attorno al quale tutto l’impianto letterario ruotava, ovvero le pratiche sessuali più spinte come il BDSM ed il bondage. Il protagonista, il ricchissimo Christian Grey usava infatti sulla innocente e inconsapevole Anastasia Steele, frustini, mascherine, manette e corde per farle raggiungere il piacere e soprattutto per soddisfare le sue manie di possessione e controllo. Se qualcuno non ha letto i libri o non ha mai visto nemmeno i film che ne sono stati tratti, non abbia paura perché non starò qui a svelarne gli intrecci e gli sviluppi: liberi di scoprirli da soli. Semmai farò un po’ di chiarezza e svelerò qualche particolare che, a dire la verità ha sorpreso anche me. Partiamo dalla definizione generale di BDSM nella quale si inseriscono, poi, tutte le altre pratiche che nel libro hanno così tanto rilievo.
Il BDSM è un acronimo che sta per Bondage e Disciplina, Dominazione e Sottomissione, Sadismo e Masochismo ed identifica la vasta gamma di pratiche relazionali e/o erotiche che permettono di condividere fantasie basate sul dolore, il disequilibrio di potere e/o l’umiliazione tra due o più partner adulti e consenzienti che da queste traggono soddisfazioni e piacere (fonte Wikipedia). È un mondo decisamente vasto che mette in campo un’infinità di pratiche impossibile da catalogare e spiegare in poco spazio, ma che ha sempre ipnotizzato un po’ tutte quelle persone che cercano qualche esperienza erotica diversa dal solito. Se potessimo riassumerle potremmo dire che tutte hanno in comune l’esperienza di dominazione di un individuo nei confronti dell’altro, sempre che questo venga provato in un clima di consensualità e sicurezza.
Siamo sinceri: chi non ha mai pensato di farsi legare o di legare il partner per esplorare mondi e sensazioni nuove? Ma se qualcuno pensa che assicurare qualcuno alla spalliera del letto sia una cosa facile, si sbaglia di grosso. La pratica del bondage (o bondaggio) deriva da una molto più antica realtà giapponese che fu scoperta dai soldati americani alla fine della seconda guerra mondiale e che si diffuse in occidente grazie alla circolazione dei primi film pornografici underground a tema, degli anni ’50/’60. Diva incontrastata del genere fu la sinuosa Betty Page, la stessa da cui i piloti dei bombardieri USA traevano ispirazione per disegnare le formose pin up sulle fusoliere dei loro velivoli. Questa pratica antica si chiama Shibari e letteralmente significa legare; spesso viene affiancata al termine Kinbaku che si traduce più o meno in legare in modo stretto, in modo tale che non ci sia modo si scappare. Sul significato più stretto dei termini rimando ad un interessante articolo su un sito specializzato a fondo pagina (vedi link). Lo Shibari, e qui arriva la prima sorpresa, ancor prima che una pratica erotica è una forma artistica di legatura che fa riferimento ad altre forme di arte giapponese come l’ikebana, il Sumi-e (la pittura con l’inchiostro nero ed il Chanoyu (la famosa cerimonia del tè). È, sì, una forma di costrizione erotica ma è anche una pratica di meditazione, rilassamento, scambio di potere: sicuramente è una pratica che ha bisogno di un estremo rapporto di fiducia e confidenza tra chi ha la funzione di legare, il Nawashi (artista o maestro della corda) Rigger o Rope Top nella nomenclatura internazionale e chi si fa legare, cioè il Rope Bottom o Bunny che solitamente è una donna, ma nulla vieta che le figure si possano interscambiare.
Secondo la scrittrice nipponica Midori, autrice del libro Seductive art of Japanese bondage, “si stratta di realizzare disegni e modelli usando nodi in tutto il corpo che aiutano ad aumentare le sensazioni, sia fisicamente che emotivamente”. Corde e nodi visti non solo come elementi di costrizione, ma anche di connessione, fisica ed emotiva tra le due figure che nel tempo è stata codificata con regole, non solo di sicurezza, ma anche di ruolo e di scambio. La persona legata, che, lo ripeto, si abbandona completamente alla competenza dell’altro, non è affatto un elemento passivo: la presenza di nodi che vanno a formare figure geometriche e disegni complessi ed articolati, serve anche a stimolare fisicamente alcuni punti del corpo, gli stessi che vengono individuati nello shiatsu, nell’agopuntura, nella medicina orientale con i principi energetici del Ki, dei meridiani e dei punti di pressione del Trusbo.
Tra il XV ed il XIX secolo, nel paese del sol levante, la mancanza di materie prime frenò lo sviluppo di carceri, così come le intendiamo noi oggi; l’abbondanza di fibre vegetali, invece, come la canapa e il bambù, favorì lo sviluppo di sistemi di controllo dei prigionieri attraverso delle corde. Questo metodo di costrizione dei malcapitati è alla base di alcune arti marziali tra cui una chiamata Hojo-justu, attraverso la quale si poteva misurare l’onore degli antichi Samurai: più erano sicure ed elaborate le tecniche di legatura più il guerriero dignitario assumeva stima al cospetto degli altri. Secondo la tradizione Edo, un periodo storico che va dal XVII alla metà del XIX secolo, anche il colore delle corde che venivano utilizzate aveva un suo significato che, poi, nella pratica moderna si è un po’ perso. Il blu, il rosso, il bianco ed il nero erano associati alle quattro stagioni, ai quattro punti cardinali ed alle quattro creature guardiane delle direzioni, ossia il drago, la fenice, la tigre e la tartaruga. Proprio per questo motivo, a seconda della stagione, il prigioniero veniva immobilizzato con corde di diverso colore e rivolto verso una precisa parte dello spazio. Alla fine del periodo Edo i colori vennero ridotti a due: il bianco e l’indaco. Tanto oggi, seppure con fini diversi, quanto allora, esistevano delle regole ben precise per procedere a tale pratica, alle quali ogni Samurai doveva attenersi il più possibile: “Non lasciare che il prigioniero si liberasse dalla legatura. Non causare danni fisici o mentali. Non mostrare ad altri le proprie tecniche. Eseguire una legatura esteticamente pregevole”. Alla fine del periodo Edo, si sviluppò una nuova arte con scopi più intimi che prese il nome Kinbaku e della quale abbiamo già ampiamente parlato. Tornando a quel capriccio erotico dal quale siamo partiti, non credo sia necessario discutere se sia più proficuo farsi legare o legare il partner con una corda blu piuttosto che con una rossa, anche perché con le stagioni impazzite che ci troviamo ad affrontare, perderemmo solo del gran tempo. Esplorare l’universo dei sensi attraverso una maggior conoscenza di queste pratiche orientali, può essere però un bel modo di colorare le nostre serate intime, sicuramente molto più che leggendo una trilogia che assomiglia tanto ad un film porno, travestito da romanzo rosa.
A proposito di travestimenti… no, questa ve la racconto un’altra volta!
https://www.gqitalia.it/lifestyle/article/sesso-shibari-cosa-e-come-si-pratica