foto di Pietro Marchini
Sono il presidente dell’ARA (Associazione Ravaneti della Apuane), ho ottenuto il permesso da tutti gli associati per mettere bene in evidenza il ruolo importante che noi abbiamo sia durante l’escavazione del marmo che, successivamente, quando la cava risulta esaurita. L’etimologia del nostro nome: ravaneto, non è molto chiara, forse deriva da ravine che significa burrone, precipizio, zona scavata dalle acque meteoriche nella roccia calcarea, mutuato dal francese; oppure da labina cioè frana. La nostra importanza risiede nella grande superficie che occupiamo, ma anche nelle sostanze che possono essere utilizzate in vari campi dell’industria, pur tenendo presente la realtà che ci circonda e che riguarda soprattutto quelli più antichi, in cui è in atto una rinaturalizzazione spontanea delle specie botaniche tipiche della zona, oltreché del ripristino della biodiversità. Questi fattori sono la conseguenza di tecniche di lavorazione estensive e, per fortuna, superate. La grande quantità di ravaneti si ebbe nel corso del XVIII secolo, quando alle cave per estrarre il marmo si usavano le mine, a cui faceva seguito la Varata, ossia la produzione insieme ai blocchi anche di notevoli frammenti inutilizzati, che potevano superare anche l’80 per cento dell’intero marmo. Siamo anche il risultato più evidente dell’attività di cava e rappresentiamo in modo del tutto palese il paesaggio Apuano unico al mondo. Il nostro biancore risulta notevole anche da lontano, tanto che molti ritengono, passando al largo con le navi, che sulle Apuane ci sia neve anche d’estate.
Possiamo essere dinamici, se l’attività di cava continua ad alimentarci, oppure inattivi, se da tanto tempo non abbiamo più apporto di materiale. Sui nostri crinali venivano tracciate le Vie di Lizza, cioè gli scivoli lungo cui venivano fatti scendere verso valle i blocchi grezzi, dal piazzale di cava al poggio caricatore. Siamo in grado di assorbire una grande quantità di precipitazioni, restituendo l’acqua piovana in modo graduale evitando alla città e al territorio le alluvioni. Il riutilizzo del materiale calcareo dei ravaneti va sempre più intensificandosi, per l’accrescente domanda di inerti, di pietre da costruzione, di massi da scogliera e infine di carbonato di calcio per uso industriale, di cui siamo composti fino al 99 per cento. Purtroppo, le valenze ambientali di noi ravaneti sono scarsamente prese in considerazione, se non completamente trascurate. Quelli di noi che derivano da sistemi di coltivazione ormai abbandonati, costituiscono una testimonianza delle passate attività estrattive, mostrando a volte la traccia del lavoro dei cavatori, ossia le Vie di Lizza, oppure opere di contenimento, rampe di arroccamento, costituendo perciò reperti di archeologia industriale. Se un tempo eravamo costituiti da sole scagli di marmo, oggi siamo sempre più ricchi di terre o marmettola, che con le piogge fluidificano producendo colate che invadono i torrenti facendoli esondare. In questo caso siamo da considerare come “fabbrica di rischio alluvionale”. È soprattutto per questo che la collettività dovrebbe farsi sentire e imporre regole utili a tutti.
Un caro saluto da tutti i Ravaneti delle Alpi Apuane.
Foto di copertina: Ravaneto sopra il paese di Miseglia