La Lunigiana ha sempre avuto un rapporto particolarmente stretto con il mondo dell’aviazione militare, fornendo esempi di coraggio e di abilità, che hanno superato il tempo e lo spazio. Numerosi sono gli eroi che si distinsero con le loro gesta nei cieli d’Europa, sia nella prima, sia nella seconda guerra mondiale, ed è facile ritrovarli, non solo nei libri di scuola o in quelli di storia, ma anche nella toponomastica dei nostri paesi.Uno di questi è sicuramente Flavio Torello Baracchini, nato a Villafranca in Lunigiana nel 1895, quando ancora il volo, era poco più di un sogno per l’uomo, un sogno che, in meno di dieci anni, si sarebbe finalmente realizzato con l’esperimento dei fratelli Wright nell’isola di Kitty Hawk negli Stati Uniti.
Flavio Torello Baracchini era il terzo di sette figli, di una coppia di pasticceri villafranchesi e, pur distinguendosi per il carattere vivace e irrequieto e per l’attitudine al nuoto ed ai motori, concluse gli studi con un diploma all’Istituto Tecnico superiore della Spezia. Era il 1914, la prima guerra mondiale era alle porte e Flavio era pervaso da un istinto patriottico che lo spinse ad arruolarsi nel Regio Esercito per partecipare al conflitto. Venne inquadrato nel 3° reggimento telegrafisti di Mantova. Si trattava di una posizione che si addiceva alla sua educazione tecnica ma la tensione verso l’azione era più forte di lui e, complice la costituzione del nuovo reparto dell’aviazione, allora ancora compreso nell’esercito, compilò la domanda e il 1° dicembre 1915 venne mandato al campo di addestramento di Venaria Reale, dove tre mesi più tardi conseguì il brevetto di volo a bordo di un monoplano Bleriot XI. Per intenderci: questo velivolo era un apparecchio fatto per lo più di tela e legno che rimaneva in aria grazie ad un motore da 25 CV, equivalente a quello di un comune motoscafo odierno, divenuto famoso, non solo per le sue rivoluzionarie caratteristiche progettistiche, ma anche per alcune imprese, quali la prima traversata della Manica, o la prima ricognizione aerea della storia, ad opera del capitano Carlo Maria Piazza, durante la guerra di Libia, il 23 ottobre del 1911. Sempre in quei giorni e sempre con protagonista lo stesso pilota, il Bleriot compì uno dei primi bombardamenti aerei mentre nel febbraio del 1912, imbarcando una macchina fotografica, svolse la prima ricognizione fotografica della storia.
Un velivolo protagonista di così tanti record era ciò che si addiceva ad uno spirito indomito come quello di Baracchini, ma non fu ancora abbastanza: venne, infatti, trasferito all’aeroporto di Torino Mirafiori, dove, a bordo di un Voisin, consegue il brevetto di pilota da guerra che gli permetterà di partecipare al conflitto mondiale. Il 28 febbraio 1916, a bordo di un aeromobile simile, portò a termine le sue prime missioni di ricognizione, una delle quali rischiò di essergli fatale per la rottura del motore che lo obbligò ad un atterraggio di fortuna oltre il fiume Isonzo, a ridosso delle postazioni italiane. Il suo stile offensivo lo spinse ad unirsi ad una nuova unità denominata “da caccia”, che, in quel periodo, andava sviluppandosi e che vedeva splendere già le sue nuove stelle col nome di Francesco Baracca su tutti. Partì, quindi, per una nuova avventura addestrativa, questa volta a Cascina Malpensa a bordo di un Macchi Nieuport 11 “Bebè” e a fine marzo del 1917 conseguì il brevetto caccia, venendo assegnato alla 81° squadriglia Aereoplani Nieuport col grado di sottotenente. Ci vollero ben 27 voli, con cinque combattimenti e due atterraggi di fortuna prima di ottenere una vittoria che arrivò il 15 maggio 1917, nei cieli di Aisovizza dove abbattè un aereo Brandenburg. Da quel momento, cominciò ad inanellare una serie di successi che, in poco più di un mese, gli fecero scalare velocemente la classifica degli aviatori più forti del momento. Vista la sua bravura il comandante della squadriglia, capitano Calori, gli affidò un velivolo decisamente più potente, con un motore da 110 CV, che gli permise di attuare con più agevolezza la sua tecnica di attacco preferita, che consisteva nell’ effettuare rapide picchiate a candela sul nemico colpendolo con raffiche ravvicinate di mitragliatrice. Una tecnica tanto efficace, quanto spericolata che il 2 agosto gli permise di ottenere la Medaglia d’Oro al Valor Militare, per aver abbattuto ben nove velivoli nemici. Nel luglio del 1917 durante un duello aereo venne ferito al mento da un proiettile nemico. Non era grave, ma fu costretto a seguire una lunga convalescenza che trascorse prevalentemente a Pontremoli e alla Spezia. Per questa disavventura ricevette la prima Medaglia d’Argento al Valor Militare consegnatagli direttamente dal Re Vittorio Emanuele III e dal presidente francese Poincarè che, incuriosito dalle gesta del pilota italiano, gli consegnò anche la croce di guerra con palme.
Tornò al fronte nel marzo 1918, dopo la disfatta di Caporetto, riprendendo la sfida personale col nemico e con i suoi commilitoni che, nel frattempo, lo avevano superato nel numero di abbattimenti: Scaroni, infatti, si era assestato a 16 abbattimenti. Ci mise poco, tuttavia, a riprendersi la vetta di questa macabra classifica, raggiungendo presto la sua 23° vittoria con l’impressionante ritmo di ben nove velivoli abbattuti in un solo mese. Il 23 giugno del 1918 venne ritrovato il corpo di Francesco Baracca, che pochi giorni prima non era rientrato dalla sua ultima missione, per cui Baracchini diventò il miglior asso dell’aviazione italiana ancora in vita. Le sue gesta apparvero sui giornali dell’epoca ed il suo nome rimbalzò di bocca in bocca, di giornale in giornale. Il generale Armando Diaz lo citò più volte nei comunicati di guerra elevandolo a eroe nazionale, i giornali nazionali lo esaltarono a simbolo di un’Italia che, nonostante la sconfitta pesante di Caporetto, non si era arresa e a continuava a resistere all’apparente strapotere austro ungarico. Il 25 giugno del 1918, al termine di una missione contro le truppe di terra, venne ferito da un proiettile che, bucando la carlinga di tela e legno, gli trafisse l’addome. Anche questa volta la ferita non era mortale, ma lo costrinse ad un atterraggio di fortuna e ad una convalescenza a Reggio Emilia che si protrasse oltre il termine della guerra. Il 31 luglio venne nominato cavaliere dell’Ordine di San Maurizio e San Lazzaro, diventando il più giovane militare ad ottenere questa onorificenza. Il suo personale palmares di abbattimenti si fermò a 31, ma, qualche anno dopo, gliene vennero tolti dieci, a causa di un più accurato metodo di conteggio, facendolo scalare in quarta posizione.
Al termine del conflitto, il governo assegnò ad ogni aviatore un velivolo e a Baracchini toccò un Hanriot che gli permise di tornare a volare facendo base all’aeroporto di Luni. Quando D’Annunzio si accinse a compiere l’impresa di Fiume, Baracchini avrebbe voluto seguirlo con il suo aereo, ma il governo gli sequestrò il magnete per impedirgli di unirsi a D’Annunzio con il quale disse di essere almeno idealmente. Si congedò dall’esercito non prima di aver avuto l’onore di portare sulle spalle la bara con i resti del Milite Ignoto presso il monumento funebre nazionale a Roma. Dopo la parentesi militare, si lanciò in un’avventura imprenditoriale che lo vide come mercante di aerei tra l’Italia e la Turchia, ma le cose non andarono proprio come previsto e reduce da una truffa subita sulla tratta Roma Istanbul, decise di aprire un’impresa per la realizzazione di manufatti pirotecnici a Roma. Il 28 luglio 1928, l’esplosione di una caldaia mentre era al lavoro lo ferì gravemente e, a causa di una setticemia sviluppatasi per le ustioni riportate, il 18 agosto morì a soli 33 anni. La salma, inizialmente inumata al cimitero del Verano alla presenza di Mussolini e del Re Vittorio Emanuele III, verrà poi riportata nel 1963 nella natia Villafranca in Lunigiana.
L’asso lunigianese, con le sue gesta eroiche, diventò una figura di riferimento per le generazioni seguenti di piloti che trovarono gloria nel secondo conflitto mondiale. La sua figura viene ancora oggi ricordata in una manifestazione annuale che si tiene nella sua città natale e che proprio domenica 14 aprile ha visto la partecipazione di numerose figure di spicco dell’Aeronautica Militare Italiana e di numerose altre autorità civili e militari italiane. Tra queste è doveroso ricordare Ermete Grillo che, affascinato dall’ eroe nazionale lunigianese, è impegnato nella fedele ricostruzione di un modello funzionante di uno degli aerei utilizzati da Baracchini nei suoi combattimenti, un HD1 e per l’occasione si è presentato vestendo una copia della tuta di volo del pilota lunigianese.Baracchini, dopo quasi cent’anni vola ancora nei cuori dei suoi conterranei e di tutti gli italiani.