Il percorso di oggi sarà abbastanza lungo, ma per nulla impegnativo: si tratta infatti di salire da Fontana Amorosa fino al passo della Focoraccia, da non confondersi con quello della Focolaccia di ben altra difficoltà, e ritorno, per una lunghezza di circa nove chilometri e 400 metri di dislivello.
Partiamo dunque da Massa e percorriamo Via Bassa Tambura in direzione Canevara. Dopo circa due chilometri prendiamo sulla destra la Via Capannelle che s’inerpica sulla montagna, superiamo i Prati della Ciocca, fino ad incrociare la Via dei Colli, attraversata la quale, ci immettiamo in Via Madielle (S.P.55). Raggiungiamo le Cà di Cecco e saliamo fino ai Canalacci; da qui in avanti la strada è assai dissestata a causa dei camion che scendono carichi di marmo dalle cave sovrastanti per cui è bene porre la massima attenzione alla guida per non far soffrire troppo le sospensioni.
Ancora pochi minuti ed eccoci arrivati al piazzale della Fontana Amorosa dove lasciamo l’automezzo. Quanti ricordi! Un tempo, sotto la strada ed ancora visibile tutt’ora, c’era una fonte presso la quale coloro che in estate venivano a fare i picnic, sotto gli ameni boschi di castagno che ricoprono il monte Belvedere per trovare sollievo dalla calura della città, potevano fermarsi a bere e far scorta di quest’acqua fresca e leggera che sgorgava copiosa.In particolare per la festa di San Paolino, qui, si riunivano le genti che salivano dai paesi sovrastanti Massa e quelle provenienti dalle frazioni montane di Montignoso in una gioiosa festa con balli, canti ed abbondanti libagioni, per smaltire le quali l’acqua era il toccasana. Non di rado nascevano nuovi amori fra la gioventù delle diverse vallate. Da qui il nome della fontana. Ormai da tempo la sorgente è stata captata e quest’acqua la si può trovare soltanto in bottiglia. Resta sul posto una piccola cisterna triste e secca che, per chi la ricorda attiva, mette malinconia.Ci inoltriamo dunque a sinistra lungo una via di cava che corre parallela sopra il vecchio sentiero, che incroceremo al primo tornante e dopo circa quaranta minuti arriviamo alla Foce del Campaccio nota anche come Passo dell’Alpino.
Da qui diparte, sulla destra, il sentiero CAI 140 che porta alla Foce delle Forche e quindi, lungo le postazioni della Linea Gotica poste sul crinale, fino al Monte Folgorito, mentre di fronte a noi ecco il sentiero CAI 33, che prendiamo per arrivare alla meta prefissata. Affrontiamo subito un tratto in salita, sotto gli abeti, per arrivare dopo cinquecento metri al Piazzale del Partigiano, attrezzato per i picnic, dove campeggia una lapide a ricordo dei partigiani che hanno dato la vita per condurre oltre la Linea Gotica coloro che volevano fuggire dagli orrori della guerra.
Si prosegue lungo un ampio stradello che porta ad una vecchia cava abbandonata per poi proseguire lungo il sentiero in un continuo saliscendi fra la scarsa vegetazione che ben presto lascia il posto ai prati di paleo. Sulla sinistra lo sguardo può spaziare sul mare fino al golfo di La Spezia mentre di fronte si apre lo spettacolo delle Apuane settentrionali.
Lungo il sentiero incontriamo vecchie cave abbandonate, grigi ravaneti, antiche vie di lizza nonché rovine di capanne in pietra a testimonianza dell’agra vita dei cavatori di un tempo. Ecco sulla destra una rara sorgente d’acqua e poco più avanti appare in lontananza il passo della Focoraccia; sopra di noi un bruno prato di erica s’inerpica fino al crinale.Occorre ora risalire un tratto roccioso dalle cui fessure spuntano alcune grosse piante di frangola; procediamo con cautela, talvolta con l’aiuto delle mani, ma niente di pericoloso, ed eccoci arrivati dopo due ore di cammino.
Il passo è una spaccatura nella roccia da cui il sentiero, attrezzato per un breve tratto, precipita sul crinale che divide la valle del torrente Vezza dalla valle del Fosso di Antona, per proseguire ai Passi del Pitone, della Greppia e degli Uncini, fino alle Gobbie e terminare al Rifugio Puliti.
Una breve sosta e decidiamo, per il ritorno, di abbandonare il sentiero 33 per salire sul monte Focoraccia circa trecento metri più in alto a quota 1147. Risaliamo su roccette affioranti ed in 15 minuti siamo sulla sommità dove, in prossimità di una vecchia postazione bellica, ci fermiamo per una sosta ristoratrice. Ad est si erge possente e maestosa la parete del monte Altissimo con in basso le sue cave ormai dismesse e, proseguendo con lo sguardo verso sud, la cima deturpata dalle cave ancora attive del monte Falcovaia dietro il quale spiccano il Pizzo delle Saette, la Pania della Croce ed il Carchio. In basso, adagiato nel verde della vallata il paese di Azzano e più giù ancora il mare dal quale sorge l’isola di Gorgona.
Ci avviamo, sempre tenendoci in quota, lungo il crinale del monte per arrivare, in mezz’ora di cammino, al passo della Cardella e discendere poi alle cave dismesse del monte Carchio. Qui, veramente, il cuore si stringe, nel vedere lo sfacelo provocato dall’uomo: il monte è stato letteralmente saccheggiato e la sua cima, sulla quale sono state posate alcune antenne, abbassata di decine di metri. Tutt’intorno le sue pareti sono ricoperte da detriti di cava, i ravaneti, che ne hanno stravolto la fisionomia; qui da tempo, grazie anche all’azione degli ambientalisti, non si lavora più ma il danno irreparabile ormai è stato fatto.
Con un po’ di amaro in bocca scendiamo lungo la via di cava per ritornare al Piazzale del Partigiano e da qui in cinquanta minuti di cammino eccoci di nuovo a Fontana Amorosa dove il nostro giro si conclude.