Nel 1839, il fisico francese Francois Arago presentò alla Académie des Sciences e l’Académie des Beaux Arts lo sviluppo di un’idea di Josephe Nicéphore Niépce, realizzata da Louis Jacque Mandè Daguerre. Si trattava di un’immagine impressa su una lastra di rame resa fotosensibile da uno strato di argento e da vapori di iodio, fissata poi grazie a del tiosolfato di sodio e derivava da anni di studi fatti da Niepce che, nel 1826, aveva scattato e stampato la prima immagine, inventando, di fatto, la fotografia. Niepce si era poi unito a Daguerre, che fino ad allora si era occupato solo di camere oscure, in una società che puntava a migliorare la tecnica della “eliografia” – come l’aveva chiamata Niepce, cioè la scrittura del sole. Ma dopo quattro anni dalla creazione della società Niepce morì e Daguerre si accordò con il figlio e erede del suo socio, Isidore, e cancellò il nome di Niepce dall’invenzione della fotografia. Nel 1939 fece brevettare il procedimento a suo nome e lo chiamò dagherrotipia e poi lo rese pubblico all’Accademie des Sciences di Parigi attraverso la presentazione di Arago, prendendone per sempre tutti i meriti.
Il famoso fisico e patriota italiano Macedonio Melloni era membro straniero della Royal Society e, in una sua relazione riguardo questa nuova scoperta ebbe a scrivere: «Chi avrebbe creduto pochi mesi fa che la luce, essere penetrabile, intangibile, imponderabile, privo insomma di tutte le proprietà della materia, avrebbe assunto l’incarico del pittore disegnando propriamente di per se stessa, e colla più squisita maestria quelle eteree immagini ch’ella dianzi dipingeva sfuggevoli nella camera oscura e che l’arte si sforzava invano di arrestare? Eppure questo miracolo si è compiutamente operato fra le mani del nostro Daguerre».
Da quel momento in poi la fotografia si sviluppò dapprima come strumento di riproduzione meccanica delle immagini e poi come linguaggio per esprimere emozioni, stati d’animo, diventando una nuova forma di arte. All’interno di questo nuovo dinamismo culturale ed artistico si inserisce la figura di un eminente lunigianese: Giovanni Gargiolli. Nato a Fivizzano nel 1838, l’anno in cui venne scattata da Daguerre la prima foto che raffigurava un essere vivente, nel 1861 si laureò in matematica all’Università di Pisa, ottenendo poco più tardi anche il diploma di architetto e ingegnere. Fu impiegato principalmente in Abruzzo per la realizzazione delle linee ferroviarie e, in seguito, a Roma dove seguì i lavori di costruzioni di prestigiosi palazzi. Tuttavia, complice una crisi dell’edilizia romana, dovette tornare al suo primo e vero amore, la fotografia. A Napoli e poi a Roma fondò la società di amatori della fotografia dando vita nel 1889 ad un bollettino informativo che ben presto si trasformò nella prima rivista nazionale di fotografia. Già appena dopo la nascita dello stato italiano era stato posto il problema di come poter unificare un popolo così eterogeneo. Una delle idee predominanti fu quella di puntare sul patrimonio culturale nazionale, elemento che poteva fungere da collante, ma che necessitava di una precisa catalogazione e di una precisa rappresentazione. A questo scopo fu lanciato un progetto di catalogazione e documentazione che inizialmente si basava sulla riproduzione degli elementi artistici su tele e calcografie. Questi due metodi di rappresentazione mostravano però dei problemi legati al trasporto ed alla realizzazione, per cui, quando nel 1892, Gargiolli fu nominato direttore dell’istituto di fotoincisione, decise di passare l’anno successivo ad un altro metodo di produzione e conservazione delle immagini, le fotografie, che usò inizialmente per documentare i monumenti di Roma.
Nel 1895 fondò ufficialmente il Gabinetto Fotografico Nazionale che però ricevette forma giuridica solo nel 1913. In Italia era presente già dal 1852 l’azienda fondata dai fratelli Alinari a Firenze che raccoglieva lastre fotografiche, sulle quali spesso veniva fatto il ritocco a mano. Gargiolli raccolse 20 mila immagini che lasciò in eredità al Gabinetto nel 1913, anno della sua morte, e impose che non venissero ritoccate. Il suo genio non si esaurì nella creazione e conduzione di questo ambizioso progetto, ma si estese anche alla ideazione e creazione di alcuni strumenti ottici di notevole importanza, come il primo teleobiettivo a fuoco profondo (che attirò gli interessi da parte dei vertici militari) ed un particolare tipo di stereoscopio. Ad oggi il Gabinetto Fotografico Nazionale conserva più di 320 mila fototipi, che vanno dalle originali lastre collezionate da Gargiolli, ai primi negativi alla gelatina su vetro, quelli su pellicola, alle stampe al bromuro e a quelle digitali. Un’idea, un sogno, una realtà creata da un uomo delle terre di Lunigiana che ha contribuito con le sue intuizioni ad unire una nazione sotto il segno dell’arte e della fotografia.