Diari Toscani incontra lo scultore Giorgio Butini, nato a Firenze, vive a Montelupo Fiorentino, ma si definisce cittadino del mondo. Annovera numerosi riconoscimenti, tra i quali: il Secondo Premio alla Biennale di Venezia; un premio per l’opera “I sogni” alla Biennale Internazionale d’Arte di Pechino e il Premio Internazionale della città di Troina in cui è stato designato il miglior scultore contemporaneo. La sua scultura in bronzo e argento, regalata al Presidente della Repubblica Italiana, Giorgio Napolitano, nel 2010, è custodita nel Museo del Palazzo del Quirinale a Roma. La sua opera “Morte, Resurrezione e lo Spirito Santo” è un crocifisso in bronzo donato a Papa Benedetto XVI nel 2007, e si trova nei Musei Vaticani.
Maestro, lei è un artista affermato, le sue opere hanno avuto numerosi riconoscimenti, una domanda secca: vive della sua arte?
Sì, anche se vivere d’arte non è semplice.
Lei insegna?
Qui in Italia non insegno. Ho alcune persone che collaborano con me in bottega: sono studenti avanzati o artisti. Al momento, sto aprendo un’Accademia a Bucarest, al cui interno ci sarà un laboratorio.
Maestro, lei ha una sua galleria?
Oltre al mio laboratorio ho una piccola galleria a Firenze, vicino al Duomo.
L’arte le scorre nelle vene: il suo nonno, Giovanni Butini era un noto scultore…
In verità Giovanni Butini era il mio bisnonno: la mia famiglia viene da Fiume, la sua è una storia interessante, si chiamava Giovanni Buothovic e morì per mano di Tito. Ci sono molte sculture equestri sue a Rijeka, cioè Fiume, dove lui rimase dopo la decisione di far partire tutta la famiglia per stabilirsi in Italia. A Rijeka c’è anche un museo, purtroppo adesso abbandonato, dove ci sono le sue opere.
La prima volta in cui ha scolpito?
Alle colonie, avevo 13 anni. C’era un tipo che veniva chiamato il Pirata, un artista, che per guadagnare qualche soldo faceva l’animatore nelle colonie di Cecina, dove io andavo da ragazzino. Mi ricordo che si mise lì, con un panetto di creta e fece la Medusa del Caravaggio: ne rimasi affascinato Il giorno dopo la rifeci uguale. Ho sempre avuto memoria visiva. Questa testa la prese un signore che conoscevo, e la portò nel suo ufficio, le persone che la vedevano chiedevano sempre chi l’avesse fatta e rimanevano stupite quando rispondeva che era stata modellata da un ragazzino di 13 anni.
Quindi ha sempre voluto fare lo scultore?
Pensi che da piccolo volevo fare il meccanico. Ero, e sono tuttora, appassionato di motori. Finite le medie inferiori, mi venne il desiderio di studiare fumetto, anche per seguire il consiglio dei miei professori convinti del mio talento. Comunque la passione per i motori continuava a essere tanta, così entrai a lavorare in un’officina, senza però perdere il gusto del disegno. Infatti, durante le pause pranzo, mi divertivo a fare dei disegni sui muri che poi cancellavo prima del rientro del mio datore di lavoro, il quale, un giorno, mi disse: “Guai a te se cancelli questi disegni!”. E fu sempre lui a spronarmi a studiare e coltivare questo amore che avevo per il disegno. Feci tesoro del suo suggerimento: mi iscrissi in una scuola privata e iniziai a studiare ceramica artistica congiuntamente all’anatomia, ecco com’è iniziato il mio percorso.
C’è un momento della giornata in cui l’artista Giorgio Butini raggiunge la sua maggiore espressività artistica?
No, non c’è mai, ogni momento è buono.
Ci sono soggetti che predilige scolpire?
Sono un amante del corpo umano, della macchina meravigliosa che è. Ho avuto una grande fortuna, quella di poterlo studiare in maniera pratica e non solo teorica, e vedere da vicino come questa macchina meravigliosa funziona, grazie a un medico chirurgo. Ho avuto il privilegio di stare al suo fianco durante le lezioni che teneva nei laboratori per i suoi studenti. Fu un periodo emozionante, mi sembrava di rivivere nel Rinascimento con Leonardo da Vinci. Lavorare su un corpo inerte era affascinante, non ero impressionato, ma coinvolto, ringrazio moltissimo quel medico per avermi dato modo di vivere questa esperienza. Per me è stato un maestro in tutti i sensi, anche di vita.
Cos’è l’arte per Giorgio Butini?
L’arte trasmette emozioni, e per un artista questo è fondamentale. Come è importante sapere e capire cosa arriva agli altri, è altrettanto importante parlare e confrontarmi con chi fruisce la mia arte. Noi artisti siamo spinti dalle emozioni, ma è attraverso ciò che ti dicono gli altri che arrivano gli input per riflettere e crescere. Ecco perché mi permetto di dire che condanno gli artisti che usano la tecnologia. L’emozione, l’eccitazione, l’impressione, la trepidazione, come puoi esprimerli attraverso un computer? Attenzione però, ci sono persone che, pur non avendo manualità, usano il computer e hanno una predisposizione alla creatività, ma non si può rimpiazzare ciò che fai con l’argilla, l’argilla ti dà il tempo necessario e giusto per far decantare l’idea, in quel caso dove sono le riflessioni dell’artista se usi la tecnologia? La materia suggerisce, ed ecco che prende vita un blocco di marmo. La macchina riproduce uguale, replica, ma dov’è l’anima? “Sono la bravura e l’artista a fare bella l’arte”, diceva Argan. L’artista ha una sua maestria, ed è quella che dà modo poi di riconoscerlo perché è la sua linea… sa che io non firmo le mie opere?
Da dove si genera la forza creatrice?
Eh! Questo non lo so: arriva, non mi scarico mai, ogni opera che faccio è una sfida. La forza è vedere oltre, non fai per fare, fai perché ci credi. Lavoro tantissime ore, senza fretta di finire, ma ci sto dentro, quando lavoro sono totalmente assorbito dalla creazione.
Maestro, quanto il suo stato d’animo influisce sulla creatività?
Molto, quando sono in piena sofferenza sento che sta nascendo qualcosa, quindi sono più cupo, più silenzioso e questo mi porta a isolarmi, a desiderare di stare da solo, tanto da provare fatica nei rapporti interpersonali. La gioia non mi aiuta a creare, pur essendo, tendenzialmente, un positivo. L’afflizione viene anche dai problemi del prossimo, da ciò che ci circonda, dalle notizie brutte, lo stesso periodo storico che stiamo vivendo, vedi le guerre in corso che generano sofferenza. Sa, noi tutti portiamo una maschera, tutti i giorni, e nascondiamo la sofferenza sotto di essa. La sofferenza di un popolo è anche la nostra sofferenza, e sulla materia riverso il mio stato d’animo. L’opera che fai, parla di te. I nidi dell’amore, della sofferenza, della gioia, sono dentro di me, e le mie opere parlano di noi, il mio obiettivo è riuscire a trasferire negli altri i miei stati d’animo. Sono convinto che l’uomo non nasca cattivo. Tutti noi vogliamo il bene, chi arriva a fare del male è perché ha vissuto il male. L’uomo non può vivere senza arte. Tutto ciò che è arte porta a migliorarti a riflettere, è un mondo nel quale, se vuoi farne parte, sarebbe un bene per tutti viverci.
Il desiderio di pace lei lo ha espresso con una sua opera…
Sì, l’“Arco delle Pace”, è stata inaugurata nella Chiesa di Santa Maria Maddalena dei Pazzi a Firenze lo scorso maggio. Adesso si trova esposta permanentemente nella sede della Commissione Europea a Bruxelles.
Scolpire è lasciare il segno, ma per fare questo è necessario togliere…
Sì, vero. Si parte dal disegno. In un bassorilievo giochi a livello prospettico, devi dare la rotondità del corpo. Quando si fa un tutto tondo, si devono avere chiare profondità e volumi. È fondamentale lavorare molto con la creta per capire e conoscere, per avere la percezione del volume è necessario sviluppare e passare tutti i livelli. Ho lavorato le materie più difficili, perfino l’ardesia, e l’ho lavorata anche a tutto tondo. Una volta un amico toscano mi disse: “Butini, questa un tu la lavori!” per tutta risposta gli dissi: “tu inviti il ciuco a bere!”, e infatti la lavorai.
Si può trovare un’analogia anche nella vita? Togliere per lasciare il segno…
Una domanda che porta a riflettere: la differenza è che nella vita si può sbagliare e rimediare, in una scultura no! È anche vero che nella vita, talvolta, dobbiamo affrontare situazioni delle quali faremmo volentieri a meno, ma, purtroppo, non possiamo agire diversamente, mentre l’arte non si fa per forza è una scelta, è il pensiero che si trasforma anche in sogno, è un desiderio, primo fra questi riuscire ad avere una simbiosi con il pezzo che hai davanti.
E l’ispirazione da dove arriva?
Dagli occhi, si osserva. Vedi e immagazzini in un angolo di cervello, al momento giusto verrà fuori. I creativi hanno due menti: una comune e una che immagazzina. I lavori sono i tuoi pensieri che riesci a trasformare in materia.
Relazione maestro-discepolo…
È una relazione importante, io avuto la fortuna di aver avuto maestri di notevole calibro, con i quali si era instaurato un legame forte. Questa è la bellezza di frequentare le botteghe. Oggi si è un po’ perso questo rapporto, ecco perché ho pensato di andare in Romania, perché è un po’ come i nostri anni ‘80. Quando vado là hanno tutti un occhio di riguardo nei confronti dei miei colleghi e miei. Qui purtroppo, come dicevo, questo rapporto si è un po’ perso, è difficile avere dei discepoli e formare altri artisti. Oggi si vive d’immagine, ma non ci sono più mani sapienti.
Lei è anche restauratore di dipinti e affreschi. Oltre alla bravura e padronanza della tecnica, quale atteggiamento mentale è necessario per fare un buon lavoro?
Sicuramente l’attenzione e la riflessione, inoltre: i colori li acquistiamo, lo diamo per scontato, è tutto più semplice, mentre una volta i pigmenti si facevano da soli, quindi, fondamentale è lavorare con i prodotti di allora, e con il sano rispetto del lavoro che ha fatto l’artista antecedente. Altra cosa imprescindibile è che il restauro deve essere sempre conservativo.
Progetti futuri?
Da dove comincio? I progetti sono molteplici, al momento le dirò quello attuale che consta in due porte, una di dodici metri e l’altra di sette. Porte in marmo sulle quali rappresento la Visitazione della Madonna dal bassorilievo all’alto rilievo e sono per la Chiesa di Galciana a Prato. E poi ci sono altri progetti in Italia e la Romania, di questi, se le farà piacere, ne parleremo prossimamente.