Ci sono famiglie che hanno dato lustro alla Lunigiana e che spesso vengono dimenticate: famiglie, fratelli che si sono distinti per il coraggio e l’ardore che hanno saputo trasfondere in ogni loro impresa e che li hanno resi capaci di compiere gesti e imprese rimaste per sempre impresse nel libro della storia italiana. Due di loro in particolare hanno avuto i natali in terra di Lunigiana e seppur in campi diversi, si sono imposti per le loro gesta: i fratelli Ettore e Dino Viola.
Ettore era il maggiore, nacque a Fornoli, oggi frazione del comune di Villafranca in Lunigiana, il 21 aprile del 1884. Nel 1915, allo scoppio della prima guerra mondiale, si arruolò nell’esercito e dopo il corso Ufficiali prese parte alle azioni belliche svoltesi nel nord est d’Italia contro il nemico austriaco. Visionando le motivazioni che gli valsero alcuni riconoscimenti di valore, leggiamo che tra il maggio e il luglio del 1916 fu protagonista di azioni di coraggio e sprezzo del pericolo che misero in evidenza le sue doti militari anche a scapito della sua incolumità, venendo per ben due volte ferito, cosa che gli valse due Medaglie d’Argento al Valore Militare. Il 18 maggio del 1918 si rese ancora una volta protagonista di mirabili imprese in veste di comandante di un manipolo di una compagnia di “fiamme nere” del VI reparto d’assalto “Arditi”, embrione di ciò che saranno poi tutti quei reparti d’assalto specializzati ancora oggi presenti in tutte le Forze Armate, che gli valse un’altra Medaglia d’Argento al Valor Militare e il cavalierato dell’ordine militare di Savoia. Poco prima che la guerra finisse, a seguito di un’altra mirabolante impresa bellica sul Monte Grappa, ottenne la Medaglia d’Oro al Valor Militare. Per chi fosse digiuno di questo tipo di onorificenze, bisogna tenere in considerazione che nella quasi totalità dei casi, le medaglie d’oro e d’argento al valore militare vengono consegnate postume alla memoria, ciò significa che servono a suggellare un sacrificio estremo nell’azione bellica, per cui l’assegnazione ad un militare ancora vivo sottolinea l’estremo valore dell’azione intrapresa. Re Umberto II di Savoia lo definì “La più bella Medaglia d’oro della Grande Guerra” mentre Aldo Rossini, deputato, ex combattente decorato della Grande Guerra e promotore del Cavalierato di Vittorio Veneto, lo definì un eroe alla stregua di quelli declamati da Omero e Ariosto. Pregno di quei valori patriottici che furono anche di D’Annunzio, partecipò con lui all’impresa di Fiume. Mantenne vivo l’associazionismo tra i vari reduci di guerra fondando l’istituto del Nastro Azzurro. Fu eletto deputato nel 1924 in Toscana nel “listone fascista”, ma i seguenti dissapori con Mussolini lo convinsero a lasciare l’Italia per rifugiarsi in Cile da dove ritornò solo quando il secondo conflitto mondiale volgeva ormai al termine, facendo poi parte della Consulta Nazionale fino al 1946. Nel 1948 tornò in Parlamento prima con la DC e poi con il Partito Monarchico, nel 1969 per mano di Umberto di Savoia ottenne il titolo di Conte di Ca’ Tasson a memoria delle imprese eroiche svolte proprio in quelle terre e che gli valsero l’ultima onorificenza militare. Morì all’età di 92 anni nel 1986 e per privilegi speciali fu concesso che venisse sepolto al Sacrario Militare del Monte Grappa.
Mentre il fratello grande seminava il panico fra le trincee nemiche sul fronte italo austriaco, nel 1915 ad Aulla, nasceva Dino all’anagrafe Adino. i genitori lo mandarono, da adolescente, a studiare a Roma e fu proprio nel campo di Testaccio, prima sede dell’A.S. Roma, ironia della sorte progettato da Silvio Sensi padre di Franco futuro Presidente della Roma calcio, che Dino si allenava al gioco del calcio rimanendone per sempre folgorato. Sopravvissuto alla tragedia della seconda guerra mondiale e laureatosi in ingegneria aprì in Veneto un’industria di parti meccaniche per armamenti, ma quell’esperienza al Testaccio lo aveva così impressionato che lo vide protagonista tra i dirigenti dell’A.S. Roma durante la presidenza Anzalone. Nel 1979, viste le gravi difficoltà frutto di un campionato che la vide salvarsi dalla serie B solo alla penultima giornata, rilevò la guida della squadra affidandone la parte tecnica ad un certo Nils Liedholm. Divenne così il presidente più vincente di tutta la storia della Roma, conquistando il secondo scudetto nel campionato 1982-83, quattro coppe Italia (l’ultima con Eriksson in panchina) e l’unica finale di Coppa Campioni della sua storia, persa ai rigori con il Liverpool. A seguito dello scandalo legato ad un presunto tentativo di corruzione dell’arbitro Vautrot, in occasione della semifinale di ritorno contro il Dundee e che valse alla Roma la finale poi persa, Viola fu squalificato dalla UEFA ma fu ritenuto prescritto dalla FIGC, pur riscontrando un comportamento contrario a quello che un dirigente calcistico di quel livello avrebbe dovuto tenere. Forte del consenso popolare ottenuto alla presidenza della Roma fu eletto senatore della Repubblica in orbita all’ala Andreottiana della Democrazia Cristiana. Morì nel 1991 e fu sepolto insieme alla moglie, deceduta più tardi, al cimitero del Verano. Dino Viola fa parte di quel mondo calcistico che opponeva alla passione per i propri colori il rispetto per le compagini avversarie. Negli anni ’80 Roma e Juventus erano le squadre da battere e le schermaglie, sempre ristrette negli ambiti sportivi e velate di battute ironiche, erano all’ordine del giorno. Il figlio Riccardo, in un’intervista riportata dal sito Romanews.eu, ricorda uno scambio di battute avvenuto tra Dino e l’allora presidente della Juventus Giampiero Boniperti in occasione del ormai famosissimo gol di Turone annullato (giustamente, n.d.r.) per fuorigioco. Il patron dei giallorossi dichiarò che doveva trattarsi di un fuorigioco di pochi centimetri, al che quello bianconero gli fece recapitare un righello di quelli usati in campo edile. “Mio padre” racconta lo stesso Riccardo “lo ringraziò del pensiero, ma gli disse che, essendo lui ingegnere e Boniperti geometra, sarebbe servito di più al mittente che al destinatario del dono”. Era una rivalità accesa, ma corretta e sempre nei limiti della decenza, cosa che oggi manca davvero tanto.
Ettore e Dino, due fratelli, due figli della Lunigiana che per la loro caparbietà a la loro passione, hanno dato lustro a questa terra ed alla nostra nazione intera.