quarta e ultima parte
Il sogno dei rohingya è quello di tornare, un giorno, in Birmania. Ma ciò non sarà possibile finché le autorità non assicureranno loro il ripristino della cittadinanza e della proprietà della terra confiscata nel 1982. Tutti i programmi di reinsediamento attuati dal governo bangladese sono stati abbandonati da tempo, in quanto considerati come un incentivo per i rohingya a spostarsi in Bangladesh, aggravando così la crisi umanitaria. L’alternativa all’attesa che qualcosa cambi, è il viaggio in mare con mezzi di fortuna, verso l’Indonesia, la Thailandia o la Malaysia. Ma anche nel caso si riesca ad organizzare una barca, non è detto che all’arrivo il paese sia pronto ad accogliere i migranti. Risalgono a metà del novembre scorso, le notizie e le foto di una massiccia migrazione via mare di rifugiati rohingya in fuga da Kutupalong, alla disperata ricerca di un luogo dove ricominciare a vivere dignitosamente. Arrivati a più riprese davanti alle coste dell’Indonesia, più precisamente ad Aceh, ai migranti è stato fornito aiuto alimentare, ma impedito lo sbarco. Solo ad un centinaio di essi, nel corso delle ultime quattro settimane dell’anno, è stato concesso di scendere a terra e insediarsi temporaneamente in un rifugio costruito per l’occasione. Ma il 27 dicembre un nutrito gruppo di studenti della provincia ha preso d’assalto il rifugio, costringendo i rohingya a fuggire. Alla base del gesto non sembrano esserci altre motivazioni se non quelle di origine xenofoba e razzista.
Quando non hai un posto cui appartenere, quando non passa giorno in cui non ti senta costantemente in pericolo, quando la tua dignità di essere umano è calpestata senza alcun motivo, allora cominci a non esistere più, e il futuro scompare, come se fosse inghiottito da una nebbia densa e persistente.
Con il racconto dell’odissea dei rohingya, abbiamo iniziato un viaggio alla scoperta delle tante, troppe storie di persecuzione di massa che ancora esistono nel mondo. Ognuna di queste storie è simile alle altre. Ognuna è diversa. Tutte, però, ci insegneranno qualcosa.
Fonti: Internazionale – Wikipedia