Quando ero ragazzino, con tutta la famiglia, andavo a passare le vacanze estive dai miei nonni in Puglia, in una bella località di mare. I loro appartamenti erano uno di fronte all’altro, al quarto piano di una palazzina popolare. Le famiglie che ci abitavano mi conoscevano tutte e spesso la sera, quando tornavo dalle camminate in riva al mare o dalle uscite con gli amici, li incontravo lungo le scale e ci scambiavamo sorrisi e saluti. Con tutti, tranne uno. Abitava a metà scala e l’avrò visto davvero pochissime volte, ma il soprannome che gli altri ragazzini gli avevano dato mi terrorizzava tanto, che quando arrivavo davanti alla sua porta di casa, con uno scatto da centometrista, mi affrettavo a salire almeno tre scalini della rampa successiva per potermi considerare in salvo. Lo chiamavano “Lupomn” che tradotto significa uomo lupo, un lupo mannaro insomma. I ragazzini, a volte, sanno essere davvero infidi e, con gli occhi di oggi, capisco perché gli avevano affibbiato un soprannome del genere: era solo un uomo grande e grosso, anziano ed abbastanza solitario e, sicuramente, tanto era imponente quanto era innocuo, ma una volta questo genere di persone incutevano un insensato timore, al punto da generare mostri anche dove non ce n’erano.
Crescendo pensavo di essermi lasciato questi timori alle spalle, finché una notte, passeggiando casualmente per i vicoli di Pontremoli, specie quelli impervi e tortuosi che dal centro storico portano al castello del Piagnaro, un amico, col quale condividevo il cammino, mi chiese se non avessi paura di poter fare incontri pericolosi a quell’ora della notte, in quella parte di paese. Non essendo nel bel mezzo dei peggiori vicoli di Caracas, mi stupii di quella domanda fino a quando non mi raccontò di una storiella secondo la quale, nelle notti di luna piena, per i vicoli di Pontremoli è possibile fare uno spiacevole incontro con un lupo mannaro. Ancora lui!
Ci si può stupire di sentire storie del genere che appartengono solo alle sceneggiature dei film, ma la figura del licantropo, dal greco uomo lupo, ci accompagna da secoli: pensiamo alla figura del dio Anubi, metà uomo e metà sciacallo, che accompagnava le anime dei defunti nell’aldilà. Gli antichi miti greci ce ne parlano e, probabilmente, una parte della leggenda odierna prende proprio origine da lì. Lo scrittore latino Ovidio, vissuto nel primo secolo avanti Cristo, riprendendo i miti ellenici, nelle sue “Metamorfosi” racconta che, un giorno, Zeus, avendo avuto notizia delle efferatezze di Licaone, il re dell’Arcadia, decise di assumere sembianze umane e di andarlo a trovare per accertarsene di persona. Riconosciuto da tutti i sovrani come dio supremo, trovò in Licaone un re scettico, e, per metterlo alla prova, lo invitò ad un banchetto, nel quale fece servire della carne umana bollita frutto dell’uccisione del nipote Arcade. Zeus adirato per questo gesto lo trasformò all’istante in un lupo, condannandolo a potersi nutrire solo di carne umana. Anche Petronio, autore latino del primo secolo dopo Cristo, nella sua famosa (e incompleta) opera intitolata Satyricon, attraverso la bocca di uno dei suoi personaggi, racconta lo strano incontro, avvenuto in un cimitero, con quello che, a tutti gli effetti, assomiglia ad un lupo mannaro moderno. Ecco che cosa dice il protagonista Nicerote durante una cena: «… arrivati a certe tombe il mio uomo si nascose a fare i suoi bisogni tra le pietre, mentre io continuo a camminare canticchiando e mi metto a contarle. Mi volto e che ti vedo? Il mio compagno si spogliava e buttava le vesti sul ciglio della strada. Mi sentii venir meno il respiro e cominciai a sudare freddo. Sennonché quello si mette ad inzuppare di orina le vesti e diventa d’improvviso un lupo… appena diventato lupo, si mette ad ululare ed entra nel bosco… Mi faccio forza e, snudata la spada, comincio a sciabolare le ombre fino a che non arrivo alla villa dove abitava la mia amica. La mia Melissa pareva stupita al vedermi in giro a un’ora simile e aggiunse: “Se tu fossi arrivato poco fa, ci avresti dato una mano: un lupo è entrato nella villa e ha scannato tutte le pecore peggio di un macellaio. Ma anche se è riuscito a fuggire, l’ha pagata cara, perché uno schiavo gli ha trapassato il collo con una lancia”. Al sentire questo non riuscii a chiudere occhio durante la notte e, a giorno fatto, me ne tornai di volata a casa di Gaio, il nostro padrone, come un mercante svaligiato. … quando entrai in casa, vidi il soldato che giaceva disteso sul mio letto, sanguinante come un bue, e un medico gli curava il collo. Capii finalmente che si trattava di un lupo mannaro.»
La leggenda attraversò i secoli giungendo ad assumere le caratteristiche di un triste fenomeno di isteria di massa, a causa del quale, insieme alla credenza delle altrettanto famigerate streghe, fece morire sul rogo migliaia di persone innocenti. Il caso forse più eclatante fu quello di un certo Peter Stubbe, il primo serial killer accertato della storia, vissuto nel XVI secolo in Germania vicino a Colonia. Si diceva avesse ucciso due donne e tredici bambini, compresi i suoi figli, dei quali aveva bevuto il sangue e successivamente estratto le viscere con l’ausilio di un coltello. Ad uno dei suoi figli spaccò la testa con un’ascia per poterne estrarre il cervello. Una volta catturato, con l’uso della tortura, gli venne estorta una confessione secondo la quale, tra l’altro, disse che il diavolo gli aveva fatto dono di una cintura magica, con la quale poteva trasformarsi ogni volta che voleva. Inutile dire che fece una fine orribile e con lui sua mogie e sua figlia, accusate di essere state sue complici.
Per diventare licantropi i modi sono molti e variano a seconda del paese in cui la leggenda si dipana. A volte è necessario farsi mordere da uno di essi, altre volte è necessario indossare una pelle di lupo con tanto di cranio e dentatura ancora presenti. Naturalmente la pelle dell’animale deve essere consegnata direttamente da Satana in persona o per tramite di qualche personaggio di malaffare che, in cambio, non vuole altro che la nostra anima. Pe rendere il rito ancora più efficace ci si può cospargere il corpo di grasso di lupo oppure di un unguento a base di belladonna, che grazie ai suoi effetti lisergici e psicotropi, ci provocherà delle visioni particolari e tutt’altro che piacevoli. Se non abbiamo a disposizione una pelle di lupo basterà una cintura come quella di Peter Stubbe a patto che a consegnarcela sia sempre il solito tizio con le corna che abita al piano di sotto. Per i più pigri o per i più spicci, basterà anche solo addormentarsi in un prato, lasciando che la luce della luna piena ci illumini il viso, oppure, bere direttamente dell’acqua accumulatasi in un’orma di lupo.
Per difenderci il metodo migliore sembra quello dell’argento, col quale possiamo fabbricare un pugnale o anche solo una pallottola, questo perché, secondo gli antichi greci, l’argento era considerato un ottimo disinfettante. Se poi il nostro armamentario è benedetto, allora il risultato è garantito. Tra gli espedienti più strani, c’è colpirlo con una chiave senza buchi, estrargli tre gocce di sangue dalla fronte oppure farlo ferire da un familiare con un forcone. Se vogliamo andare sul sicuro, non rimane che l’utilizzo del fuoco, possibilmente quando è in forma umana.
In una terra come quella della Lunigiana, dove la presenza del lupo era ed è ancora costante, non c’è da meravigliarsi se le storie di licantropi o di lupi manai, come li chiamano qui, facciano parte del folklore quotidiano anche se, a dirla tutta, sembra che a Pontremoli sia comparsa solo nella metà del XIX secolo, forse a seguito dello svilupparsi di un certo tipo di letteratura gotica, oppure per merito di qualche persona in vena di fare scherzi, non è dato saperlo.
Ciò che è certo è che io da quella sera in cui passeggiai col mio amico, mi assicuro sempre, al primo rumore sospetto, di poter raggiungere i famosi tre scalini, perché come disse qualcuno, questa storia non è vera, ma non si sa mai!