Eravamo stati definiti dalla stampa dell’epoca come “La nascita dell’uomo nuovo”, ma oggi non si trova traccia dei corsi IRI per la formazione dei Tecnici Superiori ed allora ho deciso di riempire questa lacuna raccontando la nostra storia. Si parla, appunto, degli anni 60, quando l’Italia, distrutta da una guerra che l’aveva attraversata dalla Sicilia alle Alpi, grazie soprattutto agli aiuti del piano Marshall, stava, non solo rialzando la testa, ma addirittura cominciava ad attraversare un periodo di sviluppo tale da essere definito boom economico. Ma se, grazie anche a quegli aiuti, si poteva supplire alle carenze tecnologiche, quello che veramente mancava erano i tecnici. Ingegneri e periti nelle varie branche scarseggiavano e, in particolare, mancava quel ruolo intermedio fra le due posizioni che molto spesso costringeva l’industria ad impiegare gli ingegneri in ruoli sottodimensionati rispetto alle loro capacità, nei quali, tuttavia, non sarebbe stato possibile avvalersi dei periti. Da qui l’esigenza di una nuova figura definita appunto dalla stampa come l’uomo nuovo che, con un opportuno corso di studi, potesse ricoprire questo ruolo.
Di questo compito s’incaricò l’ANCIFAP, l’Associazione Nazionale Centro IRI per la Formazione e l’Addestramento Professionale, un valido istituto, finanziato dall’industria, nato appunto per la formazione e l’addestramento professionale che si proponeva di supplire alle lacune che la normale scuola statale non poteva colmare. Venne quindi deciso di creare queste figure in base ad un principio quanto mai elementare: se le varie industrie legate all’IRI producevano navi, alternatori, tubi, aerei, acciaio, reti telefoniche ecc. il CIFAP avrebbe creato i tecnici superiori o “superperiti”, come allora venivano chiamati, da “vendere” alle varie industrie che ne avessero fatto richiesta e che si sarebbero sobbarcate le spese, non indifferenti, per la loro formazione.
I corsi si sarebbero tenuti a Milano, Genova e Napoli e Taranto ed ai candidati idonei sarebbe stata data una borsa di studio di 70 mila lire mensili per i 24 mesi della durata del corso (50 mila per i residenti nei comuni sede dei corsi) nonché l’esenzione per il biennio dal servizio militare. Costoro sarebbero rimasti legati all’azienda per cinque anni, pena la restituzione dell’importo loro elargito. Ed allora via ai bandi di concorso, ai quali aderirono circa 1400 periti neodiplomati o con già esperienze lavorative di età comunque inferiore ai venticinque anni. Dopo una prima scrematura basata sulle votazioni conseguite e sulle eventuali esperienze pregresse, restammo in circa 600. Centocinquanta per ogni sede. Eravamo ragazzi appartenenti, per la maggior parte, a famiglie modeste, che, in genere, si erano dovuti accontentare del diploma per l’impossibilità economica di frequentare l’università e questa era un’occasione unica che ci veniva offerta per proseguire gli studi. Convocati con una telefonata, generalmente tramite avviso del Posto Telefonico Pubblico più vicino, in quanto, a quel tempo, pochi avevano il telefono a casa, ci ritrovammo, noi “genovesi”, con il cuore in gola, certi che da lì sarebbe dipeso il nostro futuro, nella grande sala del meraviglioso palazzo del CIFAP. Un palazzo enorme, di quattro piani, tutto in acciaio, alluminio e vetro con un vero campo d’atletica leggera sul terrazzo posto sulla sommità. Roba da fantascienza, aule modernissime, officine, laboratori, mensa capace di 1500 posti, bar, teatro, palestra ed infermeria. Lì si tennero i test attitudinali ed i vari colloqui, poi i circa 100 superstiti furono convocati presso le varie aziende per la selezione finale; alla fine restammo in trentatré.
E qui comincia la nostra storia, la storia dei ragazzi del ‘63. Provenivamo dalle varie regioni d’Italia: piemontesi, lombardi, liguri, emiliani, veneti, trentini, altoatesini, toscani, umbri, abruzzesi, pugliesi, molisani, siciliani, laziali e sardi selezionati per Ansaldo Sangiorgio, nuova San Giorgio, Italsider, Spica, IFAP, STET (STIPEL, TELVE, TIMO, SET) ed OTO Melara
Il primo novembre di quell’anno cominciarono i corsi in una Genova operosa, che oggi sarebbe difficile riconoscere. Non esisteva ancora la sopraelevata che avrebbe poi risolto i problemi del traffico ormai caotico. Quaranta ore settimanali di studio, compreso il sabato mattina. Principi di economia ed economia aziendale, matematica e statistica, tempi e metodi di lavorazione, scienze umane, complementi di meccanica e resistenza materiali, complementi di disegno, studio ed organizzazione aziendale, metodi di controllo e collaudo, lingua straniera(inglese), elettrotecnica ed elettronica, metallurgia e metallografia e studio delle lavorazioni erano le materie del primo anno. Si tenevano inoltre corsi volontari di bridge e di musica. L’entusiasmo era alle stelle; pian piano cominciammo ad ambientarci, a conoscerci a diventare amici, tutti animati dalla stessa certezza: che il domani sarebbe stato certamente migliore dell’oggi. Volò così il primo anno. Il secondo anno ottenemmo il sabato libero, cosicché i più fortunati delle regioni limitrofe, fra i quali io, potevano rientrare a casa un po’ più spesso. Questa volta le materie vertevano su preparazioni specifiche mirate alle attività, anche con stages ad hoc della durata di un mese ciascuno, nelle varie aziende per le quali eravamo stati selezionati. Un mese in Inghilterra per perfezionare la lingua e poi la tesi di fin corso. Il 30 ottobre 1965 era tutto finito. Due giorni dopo eravamo già presso le nostre aziende a cominciare l’avventura del lavoro vero e proprio. Finite le battute, gli scherzi, le discussioni animate e le goliardate. Cominciava la vita ed i ragazzi del ‘63 venivano dispersi nelle varie realtà.
Ci ritrovammo ancora, alcuni mesi dopo, per la consegna degli attestati di studio e poi via ognuno per la propria strada con la tacita promessa che un giorno, chissà, forse ci saremmo ritrovati. Sono passati tanti anni ed ognuno di noi si è fatto onore nello svolgere, con la competenza attesa, i compiti affidati riconosciuti con brillanti carriere, ma della nostra amicizia che cos’era rimasto? Solo un sogno ed un ricordo nostalgico.
Le cose belle però non sono destinate a morire ed infatti, grazie all’impegno di uno di noi, quello soprannominato “il ragazzo con la valigia” (ognuno di noi era stato etichettato con un simpatico soprannome) che con puntiglio si era riproposto di rintracciarci, ci ritrovammo, trentanove anni dopo, in quel di Montefalco. Non sto a descrivere la bellezza e la commozione di quell’incontro. Eravamo tutti più vecchi, ormai in pensione e con i capelli, pochi in verità, più bianchi ma negli occhi la stessa luce di tanti anni prima. Da allora, con frequenza biennale, ci ritroviamo per rinnovare quel sentimento di amicizia che ci ha tenuti legati per così tanto tempo ed ancor oggi, dopo sessant’anni, la cosa continua con l’entusiasmo e l’amicizia di sempre. Alcuni di noi non ci sono più e sono proprio quelli che nei nostri incontri ricordiamo con tanto affetto.
Come affermava Epicuro, l’uomo, per poter vivere la propria vita ha bisogno di amore e di amicizia e noi, ragazzi del 63, possiamo affermare di averla vissuta appieno.