Seduto su di una poltrona vicino al fuoco, che lentamente si sta spegnendo nel camino, osservo i miei nipoti che, giunta la mezzanotte, si affollano vicino all’albero sotto il quale giacciono innumerevoli pacchetti e pacchettini, tutti avvolti in carta lucente ed adorni di fiocchi e nastri multicolori. Sono i doni portati da Babbo Natale. La tradizione di casa prevede che un adulto si metta presso l’albero e che di volta in volta chiami il destinatario del regalo; ciò ovviamente per evitare inutili e spiacevoli resse. I regali vengono frettolosamente scartati, osservati e subito messi da parte, quasi dimenticati, in attesa spasmodica della prossima chiamata. Già, mi chiedo: perché continuiamo a far tanti regali se poi quello più atteso con ansia è l’ultimo? Perché non farne uno solo? Ma questo spreco riesce a farli felici?
E così ragionando, la mia mente torna al ricordo indelebile della mia prima Epifania: sì, perché allora i regali ai bambini buoni non li portava Gesù Bambino e tantomeno Babbo Natale che, almeno per noi, non era ancora stato inventato. Erano i primi giorni del 1948, ero molto piccolo, la guerra era ormai alle spalle, ma ancora la maggior parte delle famiglie, fra cui la mia, non navigava nell’oro. Non mancava l’essenziale, ma non vi era chiaramente spazio per il superfluo. I regali allora, sempreché si fosse meritevoli, li portava la Befana, solitamente dentro una calza, la notte del 5 gennaio, calandoli dal camino per cui, durante le festività natalizie, la mente era costantemente rivolta a quella data. C’era anche il rischio di ricevere, in caso di comportamenti sbagliati, una calza contenente cenere, carbone e cipolle. Questo perlomeno era quanto mi raccontava mio fratello, il mio “tato” poco più grande di me, ma evidentemente già esperto in materia ed io lo ascoltavo credulo e rapito. Non ricordavo però di aver mai ricevuto alcun regalo e nemmeno cenere e carbone, per cui mi chiedevo se la signora Befana non si fosse dimenticata di me: lo sapeva che esistevo? E poi come faceva a calare i regali dal camino se la nonna teneva sempre il fuoco acceso?
“Beh- mi rispondeva mio fratello – ma la Befana è magica e può fare tutto”.
“Mah, sarà”. A me rimaneva il dubbio.
Infatti fino all’ora di andare a letto non era successo proprio nulla, non un cenno, nessun passo sospetto sul tetto, insomma zero. La delusione fu presto mitigata dalla gioia di trovare un bel letto caldo sotto le cui coperte la mamma aveva provveduto a mettere per tempo il “trabiccolo” con lo “scaldino” ricolmo di brace. La notte non passava mai: chissà se nel frattempo…Non mi restò che aspettare fino alle prime luci dell’alba, quando sgattaiolai fuori dal letto ed aprii la porta della cucina. Al posto del grosso paiolo di rame, annerito dalla caligine, dal camino pendevano, attaccati con due cordicelle bianche, i nostri regali! Due cestini di vimini, piccoli, ma ricolmi di ogni ben di Dio. La Befana era arrivata, proprio come mi aveva raccontato mio fratello; corsi a svegliarlo ed insieme cominciammo ad esaminare, al colmo della felicità, il loro contenuto, facendo un piccolo inventario; c’erano, lo ricordo ancora, tre mandarini di quelli gialli, profumati, che, come seppi poi anni più tardi, provenivano dalle piante del Distratto Militare di Massa dove un nostro vicino stava sostituendo i vetri distrutti dagli spostamenti d’aria causati dalle bombe, e poi alcune noci, mandorle, nocciole e fichi secchi e, in fondo in fondo, tre caramelle.
Dovevamo proprio essere stati proprio bravi per meritare tutte quelle bontà! Continuammo per lungo tempo a contare e confrontare i nostri regali, finché giunse l’ora di pranzo al temine del quale mettemmo sul tavolo i nostri cestini e ne consumammo il contenuto – ma non le caramelle – con la nostra sorella maggiore, il babbo, la mamma e la nonna verso la quale mi sentivo particolarmente grato perché, evidentemente, aveva spento per tempo il fuoco nel camino.
Vorrei solo che tutti i bambini potessero provare, anche se per una sola volta, la felicità di quel mattino.