TUTTO IL TIFO MINUTO PER MINUTO: 16^ GIORNATA
Genoa-Juventus: 1-1
di Marco Germelli
Immagino sapeste già che, stando al vigente codice della strada, il cosiddetto freno a mano o, se preferite, freno di stazionamento, va obbligatoriamente inserito anche in caso di sosta su percorsi in piano. E cosa c’è di piu’ pianeggiante, dico io, di un campo da pallone? Una lanciatissima Giuventus si dimostra, per una volta, estremamente ligia alle prescrizioni legislative e, decidendo di arrestare la sua corsa al Marassi, innesta il freno proprio su quel campo, con estremo gradimento del Grifo, che strappa un pari di sesquipedale importanza in chiave salvezza. Festa grande per il Grifo, occasione di fuga scialacquata per i Bianconeri, che mestamente rincasano con la testa rintronata dal ritornello della canzone del cantautore Claudio Chieffo, quella che diceva:
“Il freno a mano non lo metto più! Il freno a mano non lo metto più!
Non mi importa se la strada va in giù, l’ho giurato: non lo metto più!”.
Genoa Juventus 1 -1
di Vinicia Tesconi
L’insulso, nullafacente, approssimativo Genoa, che finora ha rimediato una serie ininterrotta di prestazioni penose, ovviamente, contro la Juve riesce a trovare lucidità e orgoglio – non bravura, quella non ce l’ha proprio – solo per rompere….le palle a noi e conclude il suo patetico capolavoro, un misero pareggio e l’averci fatto perdere il testa a testa in cima alla classifica, che di meglio non avrà in questa stagione, sicuramente l’ultima, per un po’, in serie A (e ben vi starà). Lo ammetto: anche noi abbiamo grosse colpe, forse, soprattutto nell’incapacità di credere veramente di poter stare al passo e anche oltre i serpenti neroazzurri. Così, ogni tanto, rigurgitiamo un po’ dello schifo dell’anno scorso e ci perdiamo. E fa rabbia e fa male, perchè di rospi, noi gobbi, ne abbiamo dovuti ingoiare fin troppi e adesso non ce la facciamo più. Quattro punti non sono tanti, ma permettono ai ladri cartonati di essere ancora più tronfi ed arroganti. E insopportabili. Ma “Non può piovere sempre”, dice una battuta de Il corvo e, per convesso: “Non può nemmeno splendere sempre il sole”. Per cui, speriamo.
Lazio Inter 0 -2
di Ludovico Begali
Partita della domenica sera all’Olimpico contro la Lazio, trasferta che negli ultimi due anni è sempre stata nefasta. Gara bloccata da entrambe le parti per i primi 40 minuti, forse per non cercare di concedere spazi al rispettivo avversario. Al tramonto del primo tempo però, ci pensa il buon Marusic, ispirato probabilmente dal periodo dell’anno, a farci un bel regalo natalizio consegando la palla davanti alla porta al Toro che, saltato Provedel, mette in porta il pallone dell’1 a 0. Ripresa sotto la falsa riga della prima frazione: Inter attenta, che osserva lo sterile possesso palla laziale per essere pronta a fare male, recuperando palla in velocità. Ed è così che accade anche sul raddoppio: palla recuperata, scatto di Barella che cerca di servire Lautaro senza successo, ritrova il pallone e lo porge a Thuram che, con un preciso sinistro fa 2 a 0. Da qui alla fine controllo del gioco senza rischi e qualche spunto per provare a trovare il 3 a 0 (Mhykitarian ci va vicino) senza riuscirci, Lazzari in compenso si rivolge a Maresca non in maniera velata, diciamo, e si fa espellere, lasciando la Lazio in dieci. Finsce 0 a 2, importante adesso non lasciare mai andare il piede dall’acceleratore. Amala.
Lazio Inter 0 -2
di Pierluigi Califano
Non mi sembra vero, la Lazio gioca di domenica e per giunta la sera, quindi in zona No-Ikea. Fa molto freddo anche se l’atmosfera è molto calda, in settimana ci sono state polemiche riguardo all’involuzione dei bianco celesti. Gli spalti sono gremiti, anche per il gemellaggio tra le tifoserie. In tribuna si scorge la dirigenza interista, Zanetti impietrito dal freddo e Lotito con un cappello che lo fa somigliare a Sartana. La Lazio parte bene, il gioco scorre fluido e funziona soprattutto la catena di destra (l’ho sentito dire a un telecronista, ma non ho mai visto nessuna catena in un campo di calcio). I problemi nascono quando la palla arriva in area di rigore, Immobile è stretto tra 3 difensori centrali (quando capirà Sarri che serve una punta più vicina a Ciro?). In ogni caso la squadra romana controlla il gioco con tranquillità e il primo tempo sta volgendo al termine quando Marusic scorge l’ologramma de l’animadetuttilimejoedichilofagiocàasinistrainvecedeundifensorederuolo e passa la palla verso il portiere con la tranquillità di uno che apre la busta con una cartella di Equitalia. Lautaro non si fa ripetere l’invito e dopo aver scartato due difensori, l’arbitro, Peppe il posteggiatore dello Stadio Olimpico, infila la palla in rete e porta l’Inter in vantaggio, in lontananza si scorge il fumetto del bestemmione di Provedel. Finisce la prima parte e mi chiedo per quale motivo giochi Kamada invece di un qualsiasi pupazzetto del Subbuteo, tanto hanno la stessa mobilità. Le squadre rientrano in campo senza nessuna sostituzione (allora ce sei e nun ce fai). La Lazio riprende il filo del gioco interrompendo la sua corsa al limite dell’area di rigore avversaria come se ci fosse un muro invisibile. Il tempo di vedere l’entrata di Luis Alberto al posto di Kamada che risulta inutile e costoso come il pandoro della Ferragni e sull’ennesimo rinvio alla vedemo che succede, l’Inter raddoppia con Thuram, la dimostrazione che forse giocare con due punte è meglio che one. La Lazio subisce il contraccolpo del secondo goal e alcune divinità si siedono accanto a me per consolarmi. Abbiamo insieme l’opportunità di vedere Lazzari che viene abbattuto e gridare verso l’arbitro: A morte il mulo. Il direttore di gara che è presidente della Lega per la protezione dei muli, la prende sul personale e sventola il cartellino rosso verso il laziale che continua a declinare desinenze come: gnotta, onzo, erda. Chissà cosa voleva dire? La partita volge al termine con qualche altra occasione per l’Inter e la Lazio che molla. In tribuna Zanetti viene scongelato con il phon e Lotito va ad annegare la delusione nel Saloon di Ponte Milvio. Paradossalmente la Lazio perde la partita che ha giocato meglio negli ultimi tempi, la causa è dovuta alla mancanza di attenzione, di cazzimma (come dicono a Treviso) e di difensori che sono delle sontuose pippe al sugo.
Fiorentina – Verona: 1-0
di Gianni Ammavuta
In questo tiepido pomeriggio invernale, con un Franchi baciato dal sole e inspiegabilmente gremito di ben 26mila spettatori, la Fiorentina rischia di perdere la partita ancor prima che quest’ultima cominci per davvero. Al primo minuto, l’avatar di Nonno Terracciano, il quale, evidentemente, è ancora sul lettino del massaggiatore a farsi riscaldare i muscoli, giogioneggia col pallone. Lesto, il veronese Folorunsho ci mette il piede. Il Terracciano vero riprende il controllo del suo avatar e cerca il rinvio, ma nel farlo ammolla un colpo da karateka alla caviglia dell’avversario, così forte che il rumore dei tacchetti sulle ossa dell’attaccante veneto, si sente fino in Piazza della Signoria. L’arbitra Ferrieri Caputi, richiamata dal VAR, non può esimersi dal concedere il solare rigore. Primo minuto, palla sul nostro dischetto, e ammonizione per il buon Terra: a Roma avrebbero detto “…annamo bbene, annamo”, oppure un commento autoreferenziante sulle parti basse, che non si può riportare in questa sede.
Sulla palla si presenta il minaccioso Djuric. Questi è un armadio a quattro ante, che di testa le prende proprio tutte, ma che ha un piede sensibile quanto una fresatrice. Ne viene fuori un rigore da Subbuteo, ma Nonno Terracciano non trattiene neanche la pipì, figuriamoci un pallone che rotola… Fortunatamente, gli attaccanti gialloblu sono in giornata storta – lo dimostreranno ampiamente più avanti, e le due ribattute seguenti finiscono, rispettivamente, sui piedi di Nonno Terracciano, e a lato. Questi trenta secondi di ordinaria follia calcistica e lo scampato pericolo, dovrebbero dare la carica alla Viola, ma è il Verona che domina. Gli scaligeri sbagliano l’impossibile e fanno fare a Nonno Terra la figura del portiere paratutto. Per quanto riguarda la Fiorentina – oggi in una ridicola tenuta bianca a striature rosa salmone, senza alcun riferimento viola, disegnata da quei geni di Polimoda – la squadra è semplicemente impresentabile, come la sua tenuta. L’immagine di questo strazio la fornisce ‘Nzola, che ben lanciato a rete, corre veloce come un impiegato delle poste in pensione, facilitando la rimonta avversaria, e invece di tirare finché è in tempo, si prende il suo tempo per riflettere sul da farsi, finendo col perdere il pallone. Semplicemente imbarazzante. Quando poi gli annullano un bel gol perché non riesce proprio a stoppare un pallone a modino, e si deve avvalere delle braccia (cosa proibita dal regolamento), fa quasi tenerezza nell’affermare, con ampi gesti, che lui, la palla, l’aveva messa giù di petto. Pover’uomo…L’altro attaccante viola, il biondo Beltran, evita figuracce, stavolta, ma la sua presenza in campo sarebbe materiale per uno speciale di “Chi l’ha visto?”
Sentendosi come un miracolato di Lourdes, Italiano fa fuori Maxime Lopez, ‘Nzola e Sottil, e li sostituisce con Arthur, Barak e Kouamé, nella speranza di riprendere in mano la partita. La mossa, in effetti, sortisce qualche effetto e il Verona non esce quasi più dalla sua metà campo, anche se il Nonno è chiamato ad un’altra parata salvifica sul colpo di testa di Hien. Dopo una bella sforbiciata di Mandragora, che trova il riflesso di Montipò, Beltran, in mischia, spara una bordata sotto la traversa e insacca il gol che vale la vittoria.
Vincere non meritando, o di corto muso, come va di moda dire adesso, è una gioia che lasciamo volentieri a chi fa del calcio una questione di potere. A testa bassa, ci prendiamo questi importantissimi tre punti, per continuare a stare lassù, dove osano le aquile