La figlia maggiore di una coppia di nostri amici fa la babysitter di un bambino di sette anni. Una sera eravamo a cena da loro e ci ha raccontato qualche particolare. Ricordo che ci ha stupito oltremodo, e che ha aperto un’interessante discussione, il fatto che il bambino, oltre ad andare a scuola, prendeva lezioni di pianoforte, violino, danza, nuoto e frequentava anche un corso di lingua, nello specifico, la lingua del paese d’origine della madre. Un’agenda piuttosto fitta, quasi insostenibile perfino per un adulto, figuriamoci a quell’età. Questo iperattivismo, impostogli dalla famiglia, rappresenta senza dubbio una caso abbastanza eccezionale in Italia. In Cina, invece, è stata la normalità per milioni di bambini e ragazzi fino al 2021. L’aspetto più triste ed inquietante, è che gli impegni pressanti erano di tutt’altra natura. La loro agenda, infatti, non era piena di attività extra curriculari più o meno ricreative, come per il bambino di cui abbiamo parlato, bensì di lezioni di sostegno private, per lo più in matematica, fisica, inglese, e altre materie particolarmente ostiche, alle quali erano costretti anche durante i fine settimana e le vacanze: una sorta di schiavitù giovanile a carattere didattico, resasi necessaria per stare al passo con gli standard di rendimento, vertiginosamente alti, imposti dal sistema scolastico cinese.
Nel pieno rispetto dell’idea socialista di progresso, l’istruzione, in Cina, è alla base della nazione. Non ci può essere sviluppo, se il paese non è in grado di produrre menti brillanti, che siano in grado di guidare schiere di tecnici, di operai specializzati ed impiegati di livello, nonché di tutta la manovalanza – agricola ed industriale – di cui la Cina dispone in abbondanza. Su una popolazione di quasi un miliardo e mezzo di persone, la porzione in età scolare è paurosamente grande e sforna ogni anno circa otto milioni di laureati. Per quanto grande possa essere la domanda proveniente dalle aziende cinesi, private o pubbliche che siano, l’offerta di giovani con il più alto livello di istruzione sarà, sempre e comunque, enormemente superiore. Di conseguenza il sistema scolastico si è progressivamente, ma assai velocemente, configurato secondo standard di rendimento estremo, già a partire dalla primissima scolarizzazione, creando una super competitività che ha finito per snaturare ed impoverire l’istituto scolastico nella sua essenza sociale. Per questo, due anni fa, il governo cinese è stato costretto a correre ai ripari, con una misura drastica, le cui ricadute sono tutt’ora in atto.
Sebbene per ragioni spesso diverse, dettate dallo status sociale e da altre implicazioni ad esso collegate, nessun genitore vuole vedere il proprio figlio andare male a scuola, e sentirsi dire che è indietro rispetto ai compagni, a fronte – magari – dell’impegno che, comunque, profonde nello studio. In Cina, questo fenomeno ha assunto aspetti paradossali. Per le famiglie cinesi, oggi, il percorso di studio dei propri figli deve essere segnato da un’eccellenza costante, dai primi passi alla laurea. Anche avere un ottimo rendimento, per molti genitori, non basta. Quindi le famiglie che se lo possono permettere, e in Cina sono molte decine di milioni, sono disposte ad investire una parte significativa degli introiti nelle ripetizioni da impartire ai propri figli, a tutti i livelli. Questa esigenza sociale, unita alla crescita del ceto medio e medio-alto, ha fatto sviluppare un mercato del sostegno allo studio – o tutoraggio, come si dice oggi – capace di produrre un giro di affari stimato intorno a 284 miliardi di euro: più del Pil di intere nazioni in via di sviluppo. In questo modo l’accesso al sostegno, forzatamente, è diventato elitario e ha provocato disuguaglianze inaccettabili, per la dottrina del socialismo contemporaneo che ispira la governance cinese da Deng Xiaoping in poi. Nonostante i costi spesso proibitivi, è stato rilevato che molte famiglie appartenenti al ceto medio non rinunciavano alle lezioni private per i propri figli, investendo nell’istruzione di sostegno una parte troppo rilevante dei propri introiti, al punto che molte coppie rinunciavano ad avere altri figli. Per fermare tutto ciò, nel 2021, il governo ha varato la riforma della “doppia riduzione”, imponendo a tutti gli istituti primari e secondari di non assegnare troppi compiti a casa agli studenti, vietando i corsi estivi, le attività scolastiche nei fine settimana, e qualsiasi altra forma di lezione privata. Il doppio intento era quello di diminuire la pressione su bambini e ragazzi, restituendo loro un percorso istruttivo più in linea con quello che dovrebbe essere uno sviluppo, normale e sostenibile, delle loro capacità cognitive, e riposizionare il perseguimento dell’uguaglianza e delle pari opportunità al centro delle finalità dell’istituto scolastico. Da un giorno all’altro, le scuole, private di tutoraggio, hanno dovuto scegliere se chiudere i battenti o diventare attività no profit, accettando di erogare i propri servizi ad un massimo di 2,85 euro per trenta minuti di lezione. Ma se l’intento era nobile, l’esito è stato pernicioso.
Come reazione a questa decisione unilaterale, in meno di due anni si è sviluppato un vasto e complesso mercato nero delle ripetizioni, che non ha fatto altro che acuire le diseguaglianze, anziché diminuirle. E sebbene le autorità cinesi possano, notoriamente, usufruire di un vastissimo potere d’intervento non discrezionale, l’eliminazione del fenomeno dell’istruzione clandestina si sta rivelando, inaspettatamente, più difficile, il che mina, alla base, l’iniziativa della “doppia riduzione”. Anche perché, nel frattempo, la qualità dell’insegnamento pubblico non sembra essere cresciuta, almeno stando a quanto affermano i genitori in varie indagini, ufficiali e non, mentre la competitività è rimasta altissima. Le famiglie non sono disposte ad accettare una diminuzione del rendimento dei propri figli. In questo senso, è stata la domanda di istruzione suppletiva da parte dei genitori – eccessivamente in ansia per il decadimento prestazionale dei loro figli – ad aver alimentato il mercato nero, non il contrario. L’anno scorso, il governo cinese ha censito circa 140 mila azienda di tutoring, individuandone almeno tre mila che operavano illegalmente, e chiudendone 464 che erano attive, nonostante avessero dichiarato la chiusura: una situazione, questa, che non ci avrebbe sorpreso, se associata a paesi dove l’economia sommersa è dura a scomparire, come il nostro, ma non certo alla Cina.
Il problema è che le attività illegali, per definizione, sono rischiose e, di conseguenza, ancora più costose. Ma i soldi, spesso, non bastano. Per accedere a questo mercato in relativa sicurezza, è necessario avere anche gli agganci giusti, cosa che non tutte le famiglie cinesi, anche quelle benestanti, possono vantare. E così, una delle peggiori storture del capitalismo, e cioè la capacità di esercitare potere non istituzionale grazie all’influenza derivata dalla ricchezza accumulata, si è introdotta in Cina attraverso uno dei capisaldi della dottrina socialista. Un bel paradosso, non c’è che dire. Come se questa discriminazione economica non bastasse a tenere fuori una parte rilevante di bambini dal circuito delle ripetizioni illegali, le famiglie interpellate dalle indagini hanno fatto venire alla luce un fenomeno ancora più inquietante. Praticamente, succede che le poche famiglie – e comunque si parla sempre di centinaia di migliaia di nuclei famigliari – che hanno accesso al tutoraggio, grazie ai soldi e agli agganci che possono vantare, non li condividono con altri. Le motivazioni sono due: la prima è, comprensibilmente, una questione di sicurezza, richiesta dalle organizzazioni di tutoraggio stesse. Ma la seconda è più subdola ed infima. I genitori esclusi sostengono che le altre famiglie fanno fare le ripetizioni ai loro figli, ma non lo dicono, per far credere che i risultati migliori che quest’ultimi ottengono, siano esclusivamente frutto del loro impegno, senza aiuto alcuno. Quindi, i genitori hanno cominciato a mentire per sbaragliare il campo dalla concorrenza. Una deriva ferocemente egoistica che sembra più il soggetto di una puntata di “Black mirror” che la fotografia della società cinese. Mao Tse Tung si starà rivoltando nella tomba.
Fonti: Sixth Tone, Cina (tradotto e pubblicato in Italia da Internazionale) – Wikipedia