Cosa porteresti con te su un’isola deserta? Ricordate? È la classica domanda da test balneare, da fare sdraiati sotto l’ombrellone, nelle pause tra un tuffo e l’altro. Ebbene, da qualche anno lo scenario non appartiene più al mondo delle vignette, o a quello delle riviste patinate sotto forma d’indagine attitudinale più o meno credibile: con una spesa intorno ai quattromila dollari, è possibile isolarsi dal mondo e vestire i panni di Tom Hanks in Cast Away, l’indimenticabile film di Robert Zemeckis del 2000.
Invece di giocare sulla spiaggia con i bambini della sua età, il piccolo Alvaro Cerezo preferiva andare alla scoperta di anfratti sconosciuti lungo il litorale di Malaga, oppure spingersi al largo con un canotto, per il semplice gusto di andare “oltre”. Ben presto scoprirà un’attrazione fatale per le isole. E più precisamente, quelle deserte. Negli anni questa singolare pulsione, si è trasformata in una sorta di ossessione in positivo, una necessità dell’anima. Non esattamente un’attività semplice da praticare, invero, ma questo non ha impedito ad Alvaro di coltivare la sua passione comunque. Fino all’indipendenza economica, spendeva tutti i suoi risparmi in viaggi nel sud est asiatico, dove noleggiava un peschereccio e si faceva portare sulle isole disabitate, solitamente le più remote, per esplorarle. Non desiderava fare altro. Ma per passare tutta la vita a visitare o a soggiornare, in solitaria, su remote isole vergini, sperdute in mezzo all’immensità del mare, come un moderno Robinson Crusoe, era necessario trasformare la sua passione in un lavoro vero e proprio. Come fare? L’idea è arrivata dalla televisione. Più precisamente dai reality di sopravvivenza che in quegli anni avevano molto successo, e dalla conseguente crescita esponenziale di canali YouTube, incentrati sull’insegnamento di tecniche di sopravvivenza nella natura selvaggia, quali il procacciamento del cibo, la costruzione di un riparo, l’orientamento, l’accensione del fuoco. Se l’interesse verso questo tipo di esperienza era così alto, forse c’era qualcuno disposto a pagare per poterla vivere davvero, sulla propria pelle. Forse c’era qualcuno disposto a pagare per raggiungere gli antipodi del mondo e della vita moderna, mettersi alla prova, sia fisicamente, sia psicologicamente, abbandonare le proprie certezze e misurarsi con la primordialità che ci ha generati. Così Alvaro, nel 2010, ha fondato la prima agenzia di viaggio al mondo che offriva esperienze di isolamento estremo su isole remote e completamente disabitate: la Docastaway. Grazie ad alcuni amici che lo hanno aiutato a testare la fattibilità dell’esperienza di “extreme surviving”, accompagnandolo nelle prime spedizioni di prova, le isole sono state scelte e il progetto è partito. Il sito ha cominciato ad accumulare visualizzazioni e presto sono arrivate le prime prenotazioni.
Ad oggi, Docastaway ha permesso a più di mille clienti di vivere la loro esperienza di isolamento estremo. Fondamentalmente, l’offerta si basa su due pacchetti, che individuano il grado di isolamento a cui il cliente si vuole sottoporre. Il passaggio più inquietante, è quello in cui il cliente è disposto a firmare una liberatoria in cui manleva l’agenzia da qualunque responsabilità in caso di morte o infortunio. Poi, esattamente come all’inizio di un videogioco, si può configurare il proprio soggiorno in solitaria, scegliendo tra due modalità: la “comfort” e la “sopravvivenza”. La prima opzione al novello “naufrago” offre la possibilità di avere una squadra esterna a disposizione che, su richiesta, può intervenire per fornirgli tutto ciò che non riesce a procurarsi da solo sull’isola: acqua, cibo, strumenti di lavoro, e così via. Scegliendo la seconda, invece, il cliente viene, letteralmente, abbandonato sul posto, con un satellitare da usare in caso di emergenza o di rinuncia, e pochi altri rudimentali strumenti – nei casi più estremi un macete o una fiocina – per permettergli di costruire un riparo, pescare, e procurarsi l’acqua, in una parola, per sopravvivere. La modalità “sopravvivenza” è quella che riscuote il maggiore successo, perché oltre all’esigenza di estraniarsi in modo drastico dalla vita che si conduce normalmente, un numero crescente di persone sembra sentire la necessità di sperimentare il proprio grado di resilienza e la propria capacità di superare le difficoltà, facendo affidamento solo su se stessi. Il catalogo della Docastaway offre esperienze su isole che si trovano in Polinesia, Indonesia, Filippine e America Centrale. Il viaggio per raggiungere il luogo d’imbarco è a carico del cliente. Atterrato sul luogo che fa da testa di ponte, il cliente viene prelevato all’aeroporto e accompagnato al molo, dove l’aspetta il motoscafo che lo porterà sull’isola. Sembra semplice, ma non lo è affatto. Su venti isole visitate da Alvaro, solo una si rivela adatta a diventare una delle mete della Docastaway. L’isola perfetta deve soddisfare sostanzialmente tre requisiti. Il primo è la distanza dalla terraferma: curiosamente, i clienti accettano di buon grado il rischio di morire in quella che, a tutti gli effetti, è una vacanza, ma non tollerano trasferimenti troppo lunghi per raggiungere il luogo prescelto. Il secondo è la morfologia e la biodiversità: l’isola deve offrire la possibilità di trovare cibo, acqua, e di costruire un ricovero, ma deve essere anche relativamente sicura e non ospitare specie animali letali, come i serpenti mamba verdi della Nuova Guinea, o le vipere di fossa indonesiane. Il terzo criterio è legato all’isolamento. Il fatto di essere un fazzoletto di terra remoto e disabitato non è di per sé garanzia di isolamento assoluto. Anzi. Quest’ultimo aspetto è, sorprendentemente, quello più artificiale dell’intero meccanismo. L’illusione della più totale solitudine, la sensazione di sentirsi l’ultimo essere umano sulla terra è possibile solo grazie alla combinazione di diversi fattori, tutti controllati artificialmente. L’isola – e una vasta porzione di mare che la circonda – sono una specie di set cinematografico a cielo aperto. Paradossalmente, il permesso di utilizzare un’isola per questo tipo di attività è la cosa più semplice da ottenere. Governi e privati, infatti, si prestano volentieri ad affittare le isole che sono sotto la propria autorità o le proprietà. Poi, però, è necessario assicurarsi che nessuno si avvicini. Quindi bisogna pagare una serie di mazzette affinché le guardie costiere proteggano l’isola dalla pirateria, e i funzionari delle autorità portuali impediscano ai pescherecci, o altre imbarcazioni, di avvicinarsi troppo mentre è in corso un soggiorno. Ma non basta. Bisogna allestire una squadra di controllo di stanza su un’isola vicina, che intercetti e devii – dietro compenso, ovviamente – ogni natante che, per qualche ragione, si trovi su una rotta troppo a ridosso dell’isola. Qualche giorno prima dell’arrivo del cliente, infine, bisogna pulire il posto, esattamente come il servizio in camera, ogni mattina, pulisce e rassetta la stanza di un hotel. Sì, perché le isole in mezzo all’oceano attirano la spazzatura che, vagando trasportata dalle correnti, finisce sulla spiaggia o impigliata nella vegetazione, trasportata dal vento. Se il cliente la trovasse lì al momento del suo sbarco sulla spiaggia, l’illusione di vivere fuori dal mondo si spezzerebbe all’istante. Anche le rotte aeree vengono controllate: se un’isola si trova in corrispondenza del traffico aereo transoceanico, viene scartata. A fine esperienza, tutto quello che il cliente ha costruito, viene portato via, per far sparire ogni traccia d’insediamento umano. Così l’isola è pronta per un nuovo “naufrago”.
Alcuni clienti si approcciano a questa esperienza, credendo di apprestarsi a vivere un’avventura da film. In realtà, specialmente se si sceglie la modalità “sopravvivenza” estrema, la sete e la fame, sull’isola, sono vere. La profondità della notte e del suo silenzio, sono reali. L’isolamento, sebbene ampiamente indotto, è percepito come reale, così come il vuoto esistenziale che provoca. Molte persone, semplicemente, non sono fatte per stare da sole, anche se affermano di desiderarlo. L’inadeguatezza difronte alla solitudine estrema è la motivazione principale delle rinunce, poche a dir la verità, registrate fino ad oggi.
Sorridendo, Alvarez sostiene che quest’attività non lo renderà mai ricco, perché i margini sono molto bassi e trovare nuove isole è sempre più difficile. Ma andare in giro per il mondo alla ricerca di minuscoli pezzi di terra emersa, nel bel mezzo dell’oceano, è sempre stato esattamente quello che desiderava fare nella vita, e finché questo lavoro glielo consentirà, Alvarez continuerà a vivere il suo sogno, il che fa di lui un piccolo, grande eroe dei nostri tempi. Il canotto è stato sostituito da aeroplani e motoscafi veloci, ma la luce dei suoi occhi puntati al di là dell’orizzonte, è rimasta la stessa, e ancora brilla intensa.
Fonti: – The Hustle / Stati Uniti (pubblicato in Italia da Internazionale Spa)