Ci sono persone che vengono comunemente considerate come i padri di movimenti poetici o politici: Guido Cavalcanti è, decisamente, il primo esponente della corrente poetica del Dolce Stilnovo. Cavalcanti nacque a Firenze nel 1258, era figlio di Cavalcante dei Cavalcanti che faceva parte di una nobile famiglia appartenente ai guelfi bianchi. Nel 1260 Cavalcante fu mandato in esilio, dopo la sconfitta nella battaglia di Montaperti, combattuta nei pressi di Siena nel mese di settembre dello stesso anno e vinta dai Ghibellini. Dopo sei anni, la famiglia Cavalcanti poté rientrare a Firenze e riprendere il suo ruolo nella società. Nel 1267 per Guido arrivò la promessa in sposa di Beatrice, che era la figlia di Farinata degli Uberti, un nobile fiorentino ghibellino che sarà citato da Dante Alighieri nel sesto canto dell’Inferno e poi nel decimo come eretico. Guido, dal canto suo, era ateo e miscredente, anche se alcune fonti riportano di un suo pellegrinaggio a Santiago di Compostela, che probabilmente se fosse davvero accaduto, sarebbe stato un viaggio interiore e filosofico. Guido Cavalcanti fu tra i firmatari della pace tra guelfi e ghibellini stipulata nel 1280. Durante quegli anni compose le sue opere e divenne amico di Dante Alighieri, pur avendo una contrapposizione di vedute riguardo la fede e il modo di vivere. Guido Cavalcanti scrisse cinquantadue componimenti tra i quali, due canzoni e undici ballate. Poi ancora trentasei sonetti, composti con rime retrogradate nelle terzine. Possiamo evidenziare quelli più noti: Donna me prega, una canzone incentrata sugli effetti dell’amore. L’anima mia, un sonetto filosofico alla cui base c’era l’aristotelismo radicale, che sosteneva l’eternità e l’incorruttibilità dell’intelletto, separando il corpo dall’anima sensitiva e conservando la perfezione del corpo. Infine la ballata: Perch’i no spero di tornar giammai, che all’epoca si presupponeva fosse dedicato all’esilio di Guido Cavalcanti. Proprio il suo amico e discepolo Dante alighieri fu costretto a mandare in esilio Guido Cavalcanti. Il poeta visse a Sarzana e in Lunigiana. Alighieri decise di allontanare Cavalcanti a causa degli scontri tra guelfi neri e bianchi che infuocarono il clima fiorentino di quell’inizio secolo. Guido Cavalcanti venne descritto dai suoi contemporanei come un aristocratico che, oggi, definiremmo snob. Dino Compagni scrisse: “Un giovane gentile, figlio di messer Cavalcante Cavalcanti, nobile cavaliere, cortese e ardito ma sdegnoso e solitario e intento nello studio.” Questo ritratto fatto da Compagni è confermato da uno scherzo ai danni dello stesso Cavalcanti da parte di una brigata di giovani fiorentini, una sorta di amici miei ante litteram, la commedia raccontata da Mario Monicelli qualche secolo dopo. Il fatto che Guido Cavalcanti fosse incline ad essere solitario e rifugiarsi nello studio e la meditazione era fonte di scherno da parte di burloni toscani. L’episodio fu ripreso da Italo Calvino, grande ammiratore di Cavalcanti, che lo descrisse nelle Lezioni americane, facendolo diventare simbolo della leggerezza, quella racchiusa nella frase che è diventata immortale: Prendete la vita con leggerezza, che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore. Guido Cavalcanti ebbe due figli dal matrimonio con Beatrice degli Uberti: Tancia e Andrea. Descrisse nelle sue opere l’amore e il sinolo che nella dottrina aristotelica significava il legame dell’individuo con la sostanza, cioè l’unione di materia e forma. Guido Cavalcanti dipinse i rapporti di amore secoli fa, descrivendo la donna avvolta da un alone mistico che è, di fatto, irraggiungibile, facendo consumare l’uomo e la sua anima persa. Guido Cavalcanti si ammalò nell’esilio sarzanese e per tale motivo gli fu revocata la condanna nel mese di agosto del 1300. Morì il 29 agosto dello stesso anno nella sua amata Firenze, che avrebbe voluto pacificata da lotte intestine che non condivideva. La malaria contratta durante quel soggiorno ne aveva minato il fisico e forse anche la sua fragile anima tanto lieve da raccontare i sentieri dell’amore e lasciarci un tesoro inestimabile, i suoi scritti. Oggi riposa in quella che era la cattedrale di Firenze la Chiesa di Santa Reparata, oggi Santa Maria in Fiore, insieme a Giotto, Brunelleschi. Guido Cavalcanti è stato un attento osservatore della sua epoca scevro da qualsiasi dottrina religiosa e depotenziando quella politica della quale non condivideva il fatto che contrapponesse toscani contro toscani.