parte seconda
Continuiamo a chiacchierare con Giorgio Pagni riguardo alle sorgenti dei corsi d’acqua del Chianti. Parliamo delle sorgenti di San Donato e di Fontecaresi: quest’ultima è la più importante, in quanto ha una portata maggiore. “ Poi c’è il fosso del ristorante Carloni – mi spiega Giorgio Pagni – chiamato, per comodità, Fosso del Carloni, che continua nel fondovalle. Nel campo dove ora c’è una vigna furono trovate dieci tombe romane, con la struttura a capannina, dentro le quali vennero rinvenuti un po’ di oggetti, se pur di non grande valore. Purtroppo fu smantellato tutto per procedere con i lavori per fare una vigna. Non è escluso che quel sito fosse il cimitero del primo insediamento romano. Sotto al fosso del Carloni, comunque, c’è la sorgente del Cinelli, anche questa chiamata così perché sottostante alla casa di Leonardo Cinelli dove c’è un grosso pozzo in cui c’era una sorgente d’acqua. Non so se questa sorgente sia stata deviata o se esiste ancora, però c’è un grosso pozzo bellissimo che è all’interno della proprietà. Proseguendo sul lato destro ci sono le sorgenti di Cavarchino, dove c’è ancora una cisterna tutta lavorata che ricorda una piccola cattedrale, fatta di archi. Dopo che fu scoperta venne bonificata, ma, purtroppo, non trovando modo di utilizzarla, fu abbandonata. Pare comunque che quella sia stata per Gaiole una grande riserva d’acqua, oltretutto di acqua molto buona. Tuttora noi si usa l’acqua di Cavarchino”. Tutte le sorgenti sulla parte destra, considerando di avere Montevarchi alle spalle, sono così esaurite. “Sul lato sinistro – continua Giorgio Pagni – Dopo la sorgente di Fontecaresi, c’è il fosso del Casino, che è quasi sempre secco, e costeggia il mulino di Gaiole.” Chiedo a Giorgio di indicarmi il mulino, perché non ho mai saputo dove fosse.
Il mulino è una costruzione in pietra che si affaccia dall’altro lato della strada. Intanto l’acqua del Massellone scorre trasparente e silenziosa sotto la finestra di casa sua.
“Oggi il mulino è diventato un’abitazione privata, ma nell’antichità era di proprietà di San Donato. Nel 1433 l’abate Francesco comprò questo mulino e il podere di Riecine insieme, in precedenza aveva già comprato anche Capannelle. Il mulino prendeva l’acqua dal Pozzo all’Anguilla, dove c’è il congiungimento di due fiumiciattoli che danno vita a un rigagnolo, lì c’è una ‘trattenuta’ d’acqua, nel punto in cui era stata fatta una specie di muratura in maniera che l’acqua si incanalasse, per poi finire dritta dentro le macine del mulino. Questo mulino non aveva gora: quando c’era acqua macinava, se l’acqua non c’era non macinava!” L’ovvietà della seconda affermazione l’abbiamo fatta all’unisono e questo ha suscitato in entrambi una risata, dopodiché Giorgio riprende a parlare. “Passato il mulino, l’acqua andava verso la sorgente del macellaio, chiamata così perché passa sotto la macelleria Chini. Si tratta di una bellissima sorgente, che butta acqua anche nei periodi di secca. Poi – prosegue con l’indice che corre sul foglio – c’è la fonte del Cieco, e la Fonte di Gaiole.
“Ordino che per l’avvenire e per l’addivenire nessuno possa fare alcuna bruttura e nemmeno sciorinare nella fonte del detto paese, sotto pena di soldi dieci. Una parte sia data al detto Comune e una parte sia data alla Pieve di Spaltenna. – cita a memoria Giorgio Pagni – Questo lo ebbe a dire un notaio. Il podestà di Radda, della Lega del Chianti, lo aveva nominato per tenere in ordine il paese, come per Castellina del resto. Ognuno dei tre paesi: Gaiole, Castellina e Radda aveva un notaio, altro non erano che persone che sapevano leggere e scrivere.” Sciorinare, quindi significava non poter lavare i panni? Chiedo mentre già immagino le donne con grandi ceste appoggiate sul fianco recarsi alla fonte di Gaiole. “No, non era possibile: i panni venivano lavati ai ‘pescherini’, che si trovavano sotto il palazzo comunale, queste vasche erano dove adesso ci sono i giardini e il monumento ai caduti.
Nella fase successiva furono fatte dove ci sono i macelli, che ora sono in disuso, subito dopo il Consorzio, uscendo dal paese. Ne furono costruite una decina, purtroppo non sono accessibili.”. Il nome “pescherini” mi ha incuriosita e chiedo a Giorgio se è possibile risalire alla sua origine. “Secondo me viene da pesca – mi dice – e quindi da vasca, non lo so con precisione, però dobbiamo considerare che nelle Pievi e nei conventi c’erano le ‘pescine’, ovvero delle vasche d’acqua con l’allevamento dei pesci. Chissà. forse potrebbe derivare da lì.”
continua…