Tre anni di studi e ricerche che hanno impegnato tre grandi studiose quali Marzia Dati, Monica Schettino e Camilla Eracli per restituire alla città di Carrara e alla storia della letteratura italiana un quadro veramente completo di Cesare Vico Lodovici, scrittore e drammaturgo carrarese, su cui esistevano solo studi parziali e non aggiornati. Il volume è stato stampato da Società Editrice Apuana di Carrara grazie al contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Carrara, con il patrocinio della Dickens Fellowship e il Museo Biblioteca dell’Attore di Genova. Un italianista e due angliste, Schetttino, Dati ed Eracli hanno effettuato un lungo e accurato lavoro di ricerca su fonti edite e inedite facendo luce su un intellettuale e un anglista che, grazie alla sua grande produzione drammaturgica e traduttiva, merita di occupare un posto di rilievo nel Novecento italiano. Il volume Cesare Vico Lodovici, un anglista del Novecento, sarà presentato a Palazzo Binelli, venerdì 1° dicembre alle 17,30. Dialogherà con le autrici Giovanna Bernardini, interverrà Adriana Beverini, Presidente del Premio Montale Fuori di Casa.
Monica Schettino è Dottoranda di ricerca presso l’Università di Friburgo (CH) è docente di materie letterarie presso il Liceo Parentucelli di Sarzana (SP), scrive sulle pagine culturali della «Gazzetta di Parma» e collabora con l’Istituto Storico per la Storia della Resistenza e della Società contemporanea nel Biellese, nel Vercellese e in Valsesia. Marzia Dati, Dottore di Ricerca in Letteratura Nordamericana, cultore della materia, traduttrice, docente di lingua e letteratura inglese presso il Liceo Scientifico G. Marconi di Carrara MS) è Presidente della Filiale Italiana della Dickens Fellowship. Camilla Eracli è traduttrice, anglista, membro del direttivo della Filiale Italiana della Dickens Fellowship, docente di lingua e cultura inglese presso Istituto di Istruzione Superiore Zaccagna-Galilei di Carrara (MS).
Il libro approfondisce e promuove la conoscenza di Cesare Vico Lodovici, nato a Carrara nel 1885 e morto a Roma nel 1965, che fu traduttore e importante uomo di teatro, anglista “a tutto tondo” e che ha avuto un ruolo non secondario nella cultura artistica e letteraria del Novecento. Pur essendo rimasta, negli ultimi cinquant’anni, quasi del tutto in secondo piano, la figura di Lodovici è stata ed è ancora ricollegabile ad alcuni importanti snodi della letteratura del Novecento. Sicuramente, ad oggi, la sua fama è innanzitutto ascrivibile all’ambito della traduzione letteraria a cui lo scrittore si dedicò lungo tutto l’arco della sua carriera: dal teatro antico (Aristofane, Plauto) a quello spagnolo (Calderón de la Barca, Tirso de Molina, Cervantes), da quello francese (da Molière a Gide) alla sua traduzione più accreditata di tutto il Teatro di Shakespeare uscita in tre eleganti volumi per «I millenni» Einaudi nel 1964 con la prefazione di Boris Pasternak.
Il volume Cesare Vico Lodovici. Un anglista del Novecento, presenta il saggio di Monica Schettino “Cesare Lodovici: biografia critica di un intellettuale del Novecento”, il saggio a cura di Marzia Dati “Oltre Shakespeare: Lodovici un anglista a tutto tondo” e un breve commento sulla traduzione di Shakespeare a cura di Camilla Eracli. Esso fa luce su come Lodovici fosse un’anglista a tutto tondo e non solo traduttore di Shakespeare, ma anche del teatro irlandese in particolare del drammaturgo irlandese J.M.Synge e in generale dell’Irish Revival, T.S.Eliot, il cui famoso dramma Assasinio nella Cattedrale fu tradotto per la prima volta in Italia da Lodovici nel 1940, e ancora Charles Dickens, D.H.lawrence, Lewis Carrol, John Barton, Christopher Fry, Howard Clews e molti altri ancora. Di particolare interesse i saggi critici di Lodovici sul teatro di G.B. Shaw e su Eugene O’Neill e il Teatro Nordamericano che Marzia Dati rilegge e interpreta alla luce dei recenti studi critici. “Le intuizioni e le rese traduttive di Lodovici – dichiara Marzia Dati – la ricerca lessicale quasi ossessiva di Lodovici, fanno di lui un traduttore di una straordinaria modernità”
Le sue pièces teatrali ebbero un largo successo tanto che Montale scrisse a Italo Svevo che la sua opera, La donna di nessuno del 1917, (composta durante l’anno di prigionia a Theresienstadt in Boemia) era un “vero gioiello”. Poi il successo di pubblico arrivò con La Ruota del 1933 e L’incrinatura del 1937.
Del suo teatro, una ventina di opere in tutto, basterebbe riconsiderare le tre opere appena citate e la traduzione di tutto il teatro di Shakespeare per collocarlo accanto a Pirandello (di cui fu amico e collega), Rosso di San Secondo, Martini e Bontempelli i quali, tra il 1915 e il 1925, rinnovarono profondamente il teatro italiano – ancora legato alle forme ormai ingessate del dramma borghese ottocentesco – traghettandolo verso le forme del teatro europeo contemporaneo.
Lodovici, nato a Carrara da una famiglia di industriali del marmo, ebbe d’altronde una conoscenza precoce delle lingue e delle letterature inglese, francese e tedesca, oltre a quella russa da cui prese più volte spunto: nel 1920, per esempio, pubblicò un atto unico, Nikita, tratto dal racconto Il costruttore di bare di Puskin. Nel 1923 invece invia a Piero Gobetti (che già dal 1918 avevano intrapreso con Ada lo studio del russo) la commedia L’idiota composta nel 1914 che ha, già nel titolo, un esplicito riferimento al protagonista ‘positivamente buono’ di Dostoevskij.
Ma la vera novità del teatro di Lodovici sta in realtà nelle figure femminili che emergono sulla scena per integrità morale ma anche per la loro capacità di azione rispetto alle figure maschili tratteggiate, per lo più, come inette o velleitarie messaggere di bontà. Sulle protagoniste femminili, invece, l’autore si sofferma con attenzione maggiore e con maggiore profondità psicologica tanto da restituirle ai lettori (e al pubblico) in una veste di indimenticabile novità come accade, per esempio, con Anna protagonista di La donna di nessuno.
Gobetti, che aveva intuito la raffinatezza culturale del teatro di Lodovici e ne aveva colto la peculiare novità nel saper fare poesia anche attraverso i dialoghi dei personaggi, nei silenzi e nella brevità delle loro battute, dando alle stampe L’idiota nella sua collana teatrale riconosceva in questo scrittore una delle caratteristiche del teatro da lui stesso «vagheggiato»: «un teatro d’eccezione, – diceva Gobetti – che nasca da lungo noviziato poetico, che sdegni i compromessi della scena borghese, e non indulga al sentimentalismo della platea, che stemperi e realizzi l’umanità in valori letterari e di fantasia».
Tramite il legame con Gobetti, arriviamo poi all’altro nodo per cui ancora oggi Lodovici continua ad essere menzionato negli studi relativi alle vicende editoriali degli Ossi di seppia di Eugenio Montale che uscirono anch’essi per i tipi di Gobetti nel 1925. Lo stesso poeta premio Nobel nel 1975 alla domanda di Giorgio Zampa: «Chi furono le prime persone a cui mostrasti le tue poesie?» rispondeva: «Cesare Lodovici, poi Solmi, nessuno di famiglia».
Nel 1935 poi Lodovici si trasferì a Roma dove, dopo la fine della guerra, fu critico teatrale per «La Giustizia», quotidiano del Partito socialista democratico italiano. Fino al 1953, dunque, Lodovici fu impiegato presso l’Ispettorato del Teatro e si dedicò quasi interamente alle traduzioni di Shakespeare e del teatro anglo americano e irlandese ma fu anche sceneggiatore e autore radiofonico. Morì a Roma, dove è sepolto, nel 1968.
Fino ad oggi il riferimento più importante per la conoscenza e lo studio dell’opera di Lodovici è stato il Museo dell’Attore di Genova che conserva i libri e le carte che, dopo la sua morte, la seconda compagna dello scrittore, Maria Parisi, ha voluto donare, tramite l’interessamento del figlio di Silvio D’Amico, alla biblioteca istituita a Genova nel 1966.
A Carrara, invece, l’adesione di Lodovici allo squadrismo nel 1921 e in seguito, pur se a vario titolo suo e della sua famiglia, al fascismo moderato ne hanno ostacolato il riconoscimento. Solo nel 2013 il comune di Carrara grazie all’Assessorato alla Cultura con l’allora assessore Giovanna Bernardini, ha voluto intitolare allo scrittore la biblioteca cittadina istituendo, grazie ad una donazione, un piccolo fondo che conserva oggi alcuni suoi manoscritti e alcuni libri appartenuti a Gina Ratto che fu sua compagna proprio negli anni trascorsi a Carrara, nel biennio 1920-1921.
Il lavoro delle tre studiose fa luce allora su molti aspetti della biografia e del lavoro di traduttore e fine anglista di questo scrittore restituendogli il suo ruolo nella cultura letteraria del Novecento.