TUTTO IL TIFO MINUTO PER MINUTO: 13^giornata di campionato
Salernitana – Lazio 2-1
di Pierluigi Califano
In un sabato leggermente ventoso che sembra giochino con il Super Tele (pallone degli anni settanta talmente leggero che lo colpivi a Roma e segnavi in provincia di Caserta), si affrontano la Salernitana e la Lazio. I romani devono fare a meno della difesa titolare e la coppia centrale è formata da Patric e Gila che in spagnolo significa: colui che ti fa imprecare ogni volta che tocca la palla. I primi venti minuti di gioco sono lenti e noiosi faccio in tempo a seguire un tutorial di punto croce on line. Anche gli spettatori sbadigliano pronunciando a, u, e, in pratica una canzone di Annalisa. Dopo due tiri della Salernitana che arrivano direttamente a Vietri sul mare, Bohinen colpisce la traversa con un tiro velenoso. Dovrebbe essere un campanello di allarme per i laziali che invece continuano a passeggiare come invitati al Castello delle cerimonie. Il centrocampo è orfano di Luis Alberto, al suo posto gioca Kamada che in giapponese significa: colui che non je va de giocà a pallone e ti fa imprecare nel dialetto de Tokio sud. Un lampo di Cataldi manda in porta Immobile che subisce le effusioni non troppo romantiche di Gyomber. Dopo un consulto al Var e con un suo zio che ne capisce di calcio, l’arbitro decreta il rigore che lo stesso Immobile trasforma con freddezza. Spesso nella vita vorremmo che le cose belle finiscano prima che il quotidiano le macchi inevitabilmente, invece inizia il secondo tempo. La Lazio entra in campo svagata e Kastanos la punisce dopo una parata di Provedel che ha i capelli scompigliati dal vento, scatta l’effetto Donald Trump. La squadra laziale prova a riprendere il gioco con una lentezza esasperante. Su un passaggio filtrante di Anderson, oggi in versione Pamela, Zaccagni si accartoccia ed esce per infortunio. La Salernitana tenta di ribattere e su una punizione da circa 25 metri Candreva ha tutto il tempo di tirare un pallone a circa 800 chilometri orari, grazie a Kamada che con la gentilezza giapponese non accorcia, ci-sua, che in giapponese significa: colui che chiama a raccolta i suoi antenati in linea ascendente e discendente. Ci sono dei cambi in entrambe le squadre ma non accade nulla di rilevante a parte Sarri che ingoia il filtro della sigaretta che non può fumare. La Lazio esce meritatamente sconfitta e si spera nei ritorni dei titolari, perché queste riserve sono delle grandi pippe, come dicono a Parigi est.
Milan-Fiorentina 1-0
di Gianni Ammavuta
È la classica sconfitta che ti manda a letto dilaniato dal dubbio: ma ci siamo o ci facciamo? Voglio dire: se perdiamo contro un Milan ridotto a portare in panchina un attaccante quindicenne, o ci piace tirarci le martellate nei suddetti da soli, o siamo davvero una squadra di raccattati. La verità, probabilmente, sta salomonicamente – e tristemente – nel mezzo. Squadre molto accorte nel primo tempo, ritmi bassi e gara divertente come un corteo funebre. Duncan lo Scuro offre il meglio del suo immenso repertorio di maniscalco prestato al calcio, con una serie di giocate che meriterebbero la radiazione immediata. La prima azione degna di questo nome porta al tiro Nico, che tenta un gol he sarebbe stato degno di questo palcoscenico. Precedentemente il Milan era andato pericolosamente al tiro con Pulisic, grazie però ad un rimpallo. Poi arriva il rigore proprio allo scadere, grazie ad una bella imbucata per Theo che viene buttato platealmente a terra da Parisi, con una spinta al limite del rosso diretto da ultimo uomo. Ma il rigore è già una punizione più che sufficiente e, a mio avviso, l’arbitro è giudizievole nel non applicare alla lettera il regolamento. Palla in rete e tutti negli spogliatoi, con Parisi che ha il broncio di un bambino bullizzato dal fratellastro maggiore. Nel secondo tempo, misteriosamente, il Milan concede campo alla Fiorentina fin da subito. Le squadre si allungano, e ne beneficia un poco lo spettacolo. La partita diventa quasi un assedio alla porta milanista, con la Fiorentina che non riesce a sfruttare una quantità davvero impressionante di occasioni più o meno clamorose, due delle quali capitano sui piedi di Beltran e Mandragora. Esse simboleggiano alla perfezione il peccato originale di questa squadra, bellina ma bislacca. Nella prima, c’è Beltran che riceve la palla a 12 metri dalla porta. E’ solo. Deve solo stoppare il pallone a seguire, e tirare in porta. Vale a dire, deve fare il suo mestiere di attaccante. Niente di più. Nel primo tempo non ha tenuto una palla che fosse una, ma adesso non ha difensori nerboruti – brutti cattivoni – che gli rubano sempre il pallone. Ma lo stop è indecoroso, e fa schizzare il pallone lontano dai suoi piedi e dalla sua corsa. Nonostante questo, sarebbe ancora in anticipo su Maignan, se solo prendesse il pallone in allungo…Ma la punta del piede prende il campo da gioco invece che il pallone, che rotola trenta centimetri più avanti. Tutti gridano alla grande uscita del portiere francese, ma è l’imbarazzante attaccante viola che vanga l’erba di San Siro, mancando fatalmente il tocco. Durante le cure al portiere milanista dolorante per l’audace uscita sui piedi di Beltran, quest’ultimo se ne sta prono, con il busto piegato in avanti e la testa che tocca terra, come un fedele musulmano in preghiera: il ragazzo sa di aver sprecato un’occasione d’oro per entrare nel cuore della gente, buttando al vento la possibilità di segnare il gol del pari contro il Milan, a San Siro, un gol alla Batistuta.
L’altra occasione ha a che fare, invece, con la statistica. Domanda: che probabilità c’è, per un giocatore professionista, di colpire non il corpo, non le braccia o le gambe tese, bensì il volto di un portiere, calciando di piatto al volo, ad un metro da lui, e con uno specchio di porta ampio circa 14 metri quadri a disposizione?
Era l’ultimo minuto di recupero, e se Mandragora avesse semplicemente cambiato l’angolo del suo piede, parleremmo di un altro risultato, sicuramente più giusto.
Milan batte Fiorentina uno a zero, dalla poltrona di casa mia è tutto, la linea torna allo studio.
Frosinone-Genoa: 2-1
“Bellator Frusino”. Così sta scritto nel gonfalone dell’irriducibile cittadina laziale. E così i cronisti dell’antichità chiamarono Frosinone, per il fatto di non aver chinato la testa di fronte ad Annibale, che batteva lo stivale nel corso della sua inarrestabile avanzata conquistatrice.
Genti che non provarono timore di fronte a colui che è considerato dagli storici della guerra “il miglior generale dei tempi antichi”, potranno mai farsela addosso dinanzi ad un Grifo sceso nuovamente in campo nelle vesti del Pollo Vallespluga?
Giammai, Ve lo dico io.
Solito canovaccio: vantaggio dei padroni di casa, pareggio rossoblè illusorio come un miraggio sahariano, rete strappacuore al 93′, ovviamente da parte frusinate.
Se i cronisti dell’antichità fossero vivi oggidì, non so come definirebbero questa trita e ritrita solfa.
Ma se è una volgarità, mi associo😡.
Juventus Inter 1 -1
di Ludovico Begali
Si riparte dopo la sosta nazionali, positiva per gli azzurri con un importante snodo stagionale: si va a Torino contro la Juve, seconda in classifica, che sta acquistando sempre più fiducia, man mano che il calendario avanza. Vincere significherebbe mini-allungo e segnale forte al campionato, perdere invece sarebbe spazzare via ogni certezza fino ad oggi notata. Partono loro più pimpanti del solito con un tiro velenoso di Chiesa, poi con il gol di Vlahovic -figurati se non ci segna quello che non fa gol dal ’53-
su pallone perso (da galera) del Vate Dumfries a centrocampo, con annessa dormita difensiva di De Vrij. Passano pochi minuti e grazie ad una serie di buone verticalizzazioni Thuram serve il Toro che pareggia i conti. Scivola via il primo tempo senza altre azioni degne di nota. Parte il secondo tempo e mi chiedo se ho schiacciato il tasto del rallentatore del telecomando. Purtroppo invece è tutto vero: squadre molli, lente, senza grinta e con paura di perdere questa partita. Solo grazie all’ingresso in campo del Panita -non avrei mai pensato di dirlo- che entra probabilmente incazzato per i fischi ricevuti e inizia a fare a botte a destra e manca un po’ con tutti. Finisce 1 a 1 con poche emozioni e tanto equilibrio, chissà se durerà per tutta la stagione. Amala
di Vinicia Tesconi
Vabbè, ci avrei messo la firma: il pareggio, se non altro, ci mantiene in scia, sempre a due punti, sempre con il fiato sul collo agli interisti che non possono certo vincerle tutte, da qui alla fine. Diverse cose buone: Dusan che segna e che gioca bene, Dusan che segna su passaggio di Fede (questo vogliamo, questo!!! quello che non vogliamo è invece Fede che sparisce nel secondo tempo), McKenny, a cui Allegri deve dare indicazioni in anglolivornese, perchè dopo 27 anni in Italia non ha ancora imparato l’italiano, ma che, però, per fortuna, dopo 27 anni alla Juve, ha finalmente imparato a giocare decentemente, la nostra difesa che c’è, praticamente, sempre, tranne che nel buco di Gatti che ha fatto segnare Lautaro e, soprattutto, il perpetuo, meraviglioso, meritatissimo coro contro il vile Cuadrado: uomodi mxxxa, Cuadrado uomo di mxxxa. Partita non entusiasmante, ma tanto la grande gioia, oggi, è l’Italia che vince la Coppa Davis, dopo 47 anni con un Sinner stratosferico. Cambiare canale su Juve -Inter, in effetti, è stata una grande discesa di livello.