Ci sono persone che pur non essendo nate in Toscana hanno fatto conoscere il nome della regione nel mondo come pochi altri. Ci sono mezzi di trasporto che hanno cambiato, innovato, il modo di muoversi e sono entrati nel nostro immaginario collettivo. Enrico Piaggio è stato un ambasciatore dello stile e la creatività e ha vissuto la Toscana fino al suo ultimo respiro. Enrico Piaggio nacque a Genova, anzi a Pegli il 22 febbraio del 1905. La sua famiglia possedeva quattro stabilimenti, due in Liguria e due in Toscana: a Pisa e Pontedera. I due liguri erano dedicati alla produzione di arredi navali, i toscani a quella aeronautica. Già dal 1922 l’impulso alla ricerca in campo aeronautico aveva prodotto il primo bimotore e nel 1924 il primo monoplano militare. Enrico Piaggio si laureò in Economia e commercio nel 1927 e fece il suo ingresso nell’azienda di famiglia. Alla morte del padre, Enrico, insieme a suo fratello più grande Armando, ereditarono il timone del comando. Armando si occupò degli stabilimenti liguri, mentre Enrico arrivò in Toscana iniziando a porre le basi per quel cambiamento epocale della Piaggio. Le intenzioni di Enrico Piaggio erano quelle di innovare, nel solco della tradizione famigliare. Assunse i migliori ingegneri in campo aeronautico, Giovanni Pegna e Giuseppe Gabrielli che erano considerati vere eccellenze del settore. Nel 1931 una grave crisi economica colpì l’intera Europa e la Piaggio subì forti perdite. Enrico Piaggio continuò a credere nel progetto a lungo termine e assunse Corradino D’Ascanio, l’uomo che avrebbe cambiato la mobilità del paese nel primo dopoguerra. L’ingegnere abruzzese progettò un modello di eliche a passo variabile e prototipi di elicotteri che furono snobbati dal ministero dell’Aeronautica. L’espansione coloniale del fascismo fece crescere le commesse e il livello occupazionale dello stabilimento di Pontedera che crebbe da 200 dipendenti nel 1930 a 2000 nel 1936. In quegli anni venne assunto un giovane ingegnere, Giovanni Casiraghi che progettò il primo quadrimotore Piaggio, il modello P.108. Enrico Piaggio difese l’azienda di famiglia in anni difficili per il paese. Il fascismo aveva trascinato gli italiani in una guerra che avrebbe lasciato macerie e desolazione. Le commesse per gli aerei Piaggio diminuirono in maniera esponenziale e la Piaggio dovette far fronte a devastazioni e sottrazione di materiale utile per l’uso bellico. Il 25 settembre del 1943 Enrico Piaggio si trovava nella hall dell’Hotel Excelsior di Firenze. Alla radio c’era il discorso del generale Rodolfo Graziani contro gli alleati, Enrico Piaggio non si alzò e venne ferito da un ufficiale della Repubblica Sociale Italiana che si era appena costituita. Fu portato in ospedale in fin di vita e venne salvato dopo l’asportazione di un rene. Con la guerra finalmente alle spalle arrivò il momento di rimettere in moto l’Italia. Quale modo migliore per farlo, se non costruendo un mezzo di trasporto a due ruote che aveva dei costi di gestione molto bassi: nacque lo scooter. Corradino D’Ascanio lavorò su un prototipo già costruito, l’MP5 al quale gli operai avevano dato il nome di Paperino. In poche settimane l’ingegnere abruzzese portò a termine un motoveicolo con un motore di 98 cc a presa diretta, il cambio sul manubrio e costruito con materiali di derivazione aeronautica, quindi leggeri. Nell’aprile del 1946 fu brevettato il nome del veicolo che avrebbe fatto la storia della Piaggio: la Vespa. Fu immediatamente un successo, grazie anche alla rateizzazione del costo di 68mila lire che equivaleva a mesi di stipendio degli italiani. Nel 1947 fu commercializzata l’Ape, un veicolo a tre ruote che sarebbe servito per trasportare piccole merci e aiutare la ricostruzione di un paese distrutto. Nel 1950 la Piaggio e la Vespa varcarono i confini italiani. Furono creati stabilimenti di produzione in Inghilterra, Francia e Spagna. Nel 1953 le Vespe in circolazione erano 171mila e una in particolare divenne simbolo di quell’inizio della Dolce vita narrata poi da Federico Fellini. Audrey Hepburn e Gregory Peck percorsero le strade di una Roma tirata a lucido nella pellicola Vacanze romane diretta da William Wyler. Fu uno spot per il marchio Piaggio che nel 1956 arrivò alla milionesima Vespa prodotta, il sogno di Enrico Piaggio aveva decisamente preso forma. Nel 1964 i due fratelli Piaggio separarono le aziende, quella diretta da Enrico contava ormai 10mila dipendenti e era un vanto per Pontedera e la Toscana. Durante quegli anni la presa di coscienza sociale e gli scontri tra azienda e operai, crearono un solco tra Piaggio e suoi collaboratori. Durante uno sciopero nell’autunno del 1965, Enrico Piaggio si sentì male nel suo ufficio di Pontedera. Venne trasportato con urgenza all’ospedale di Pisa in gravi condizioni, morì dieci giorni dopo nella sua villa di Varramista a Montopoli in Val d’Arno in quella Toscana che l’aveva accolto come un figlio e che lui aveva ricambiato con amore fino all’ultimo respiro. Eleutheria in greco significa libertà. Enrico Piaggio ci ha lasciato quel sogno di libertà, quell’ebrezza unica che si prova guidando una Vespa, che ha rimesso in moto l’Italia che aveva perso la sua libertà per la follia degli uomini.