foto di Pietro Marchini
Sono il castello di Moneta, anticamente conosciuto come “Arx Munita – Costruzione Fortificata”, dalla mia posizione sopra il colle a 285 metri sul livello del mare, domino la pianura, osservando grandezze e miserie di tutta la comunità che qui abita dai monti fino al mare. Non ricordo bene la mia data di nascita, posso dire di essere citato nel codice Pelavicino nell’anno 1035. Quello di cui sono certo è che la mia massima espansione avvenne poco prima e durante il XVI secolo, con l’ampliamento delle mura capaci di contenere e proteggere un piccolo borgo, tanto da meritarmi il titolo di “Borgo castellato di Moneta”. Le funzioni religiose, fino al 1830, si svolgevano nella piccola chiesa dedicata alla Natività di Maria, situata vicino all’ingresso delle mie mura. La successiva nascita dei feudi di Massa e Carrara segnò il mio destino, il conseguente spopolamento del borgo che a fine ‘800 contava meno di 40 abitanti e la nascita del borgo di Fossola. A questo proposito vi racconto un particolare curioso: per costruire il suddetto borgo, furono inizialmente adoperate le pietre che rivestivano le mie mura e le mie case. Per fermare lo scempio intervenne la duchessa Maria Teresa Cybo Malaspina che, con un ordinanza del 1749, proibì l’asportazione di qualunque materiale dagli edifici storici.
Oggi, grazie a Maria, sono ancora qui, anche se poco più di un rudere, ma protetto in ogni sua parte da una ricca e profumata vegetazione. A me sta bene anche così: quello che non capisco è la comunità che vive sotto di me che, con qualche lavoro di restauro, potrebbe rendermi visitabile e fruibile da occasionali visitatori, ma anche da gruppi di turisti provenienti da tutto il mondo. Come dicevo, la mia posizione mi dà l’opportunità di godere di tutte le variazioni meteorologiche, ma anche dei bagliori del sole che all’alba colorano la volta celeste, o dei raggi al tramonto che irradiano il creato di fantasmagorici colori. Purtroppo, devo anche constatare la grave incuria in cui è tenuto da decenni il territorio sotto i miei piedi. Il marmo, risorsa di tutta la comunità, è finito nelle mani di pochi, l’estrazione senza limiti ha prodotto disastrose alluvioni, ha modificato i crinali e reso irriconoscibile le nostre Alpi Apuane. Vorrei suggerire, a chi usa queste per scopi turistici, il dovere etico di mostrare e rendere comprensibile ai visitatori i danni prodotti. Fra le altre cose che non vanno in questa città, ci si è messo anche l’ospedale Civico, meglio conosciuto come Monoblocco. Ma cosa gli è venuto in mente a questa icona della sanità di dichiararsi inagibile e a rischio di essere abbattuto. Credetemi non ci capisco niente, non so dove si vuole andare e, soprattutto, se abbiamo davanti una immagine di futuro. Sarete curati nei container non più come esseri umani ma come merce. Ho assistito alla cementificazione selvaggia di tutto il territorio, allo spregio di zone ad alto valore naturalistico, con conseguente svuotamento del centro storico di cui oggi, colpevolmente, ci si lamenta. Man mano che il mio sguardo scende verso la marina, non posso non rammaricarmi di tutte le auto a cui è consentita la sosta sui marciapiedi e sulle piazze: una vera indecenza, una mancanza di rispetto per i bambini e gli anziani, una dittatura dell’automobile di cui non si vede la fine. Cambiano i suonatori ma la musica è sempre la stessa.
Una breve sosta al centro storico di Avenza, situata sulla via Francigena, ricca di storia al pari di Carrara, che ha condiviso con Luni, le ultime fase della sua esistenza. La torre di Castruccio, la chiesa di san Pietro, strade e vicoli che ne testimoniano l’antichità. Purtroppo, insieme a questi le antiche ferite della seconda guerra mondiale ancora da risanare. Ma la sensazione fra le più palesi della follia umana, la trovo guardando la cementificazione senza limiti che ha subito quella importante e bella striscia di terra cha ci separa dal mare e che è conosciuta come Marina di Carrara. Un degrado quasi assoluto: scuole, marciapiedi, pinete, campi sportivi, ex alberghi, piazze dissestate, Caravelle. Un parco, vera oasi di pace nel cuore della piccola città, polmone pulsante di verde irresponsabilmente chiuso, recintato e reso non fruibile dalla popolazione, ad esclusione di gruppi esaltati da sostanze allucinogene: avete capito, sto parlando del Parco di Villa Ceci. Ultima considerazione il porto, dà lavoro a pochi e inquinamento a molti, ma non contenti di questo si vuole costruire un nuovo molo che impedirebbe ancora di più il libero fluire in mare del fiume Carrione, innescando alluvioni a catena. Lasciatemi concludere con una considerazione: gli esseri umani sono manipolabili e facili ad essere condizionati, la natura non corrisponde alle leggi e alle pretese di chi considera il profitto prima di tutto. “Da che pulpito viene la predica” dirà con ragione qualcuno. Anch’io, come tanti miei simili sono nato non certo per la pace. Non dobbiamo mai dimenticare che quelli erano tempi in cui non eri nobile se non esercitavi con profitto l’arte della Guerra. La mia presenza dovrebbe essere un monito per un futuro di pace, ma i venti sono ancora più impetuosi e le armi molto più devastanti, perciò, se non volete fare la fine dei dinosauri, dovete sostituire la forza con il ragionamento che è non solo la parte migliore, ma anche l’unica che può salvare il mondo.
In questo momento la vedo dura, ma in vostro soccorso viene un uomo chiamato Antonio Gramsci che una volta mise a nudo il suo pensiero con la frase “il pessimismo della ragione e l’ottimismo della volontà”. Pace e bene a tutti, vostro affezionatissimo Castello di Moneta.