L’inizio del novecento vide la nascita di nuovi movimenti artistici spesso ispirati dalle innovazioni scientifiche e tecnologiche. Questo ribollire di idee fece nascere il Futurismo, la Metafisica, il Ritorno all’Ordine e, su tutti, il mito della velocità si fondeva con l’idea di una nuova figura di uomo: ardito, audace, proiettato verso il futuro e soprattutto votato ad infrangere i limiti posti dalla natura. Dopo le imprese degli aviatori italiani nella grande guerra, Francesco Baracca su tutti, dalla prima metà degli anni ’20 in poi, alcuni autentici eroi dell’aria cominciarono a imporsi a suon di record. Il tenente Mario de Bernardi, già detentore del primato per aver effettuato il primo collegamento postale tra Torino e Roma nel 1917, nel 1926 nel corso della Coppa Schneider, competizione per idrovolanti ideata nel 1911 per favorire lo sviluppo tecnologico, stabilì il record di velocità percorrendo i 350 chilometri del circuito alla velocità media di 396,7 chilometri orari. De Bernardi iuscì a migliorare la sua prestazione varie volte, fino ad essere il primo nel 1927 a sfondare il muro dei 500 chilometri orari con un Macchi M52.R, raggiungendo l’allora ragguardevole velocità di 512,776 chilometri all’ora. Tra i primi temerari aviatori non si possono non ricordare Francesco De Pinedo e Ernesto Campanelli che nel 1925, effettuando un volo ideato da Gabriele D’Annunzio, tutt’altro che spettatore per imprese del genere, compirono il tragitto Roma, Tokio, Roma passando per l’Australia. E poi ancora la tragica spedizione di Umberto Nobile per raggiungere il Polo Nord a bordo del dirigibile Italia nel 1928, a imitazione di quella effettuata dal Duca degli Abruzzi Luigi Amedeo di Savoia a bordo della nave Stella Polare. Queste imprese, questi eroi costituirono la base per la Scuola di Navigazione Aerea D’Alto Mare creata da Italo Balbo, un centro di specializzazione per quei piloti che affascinati dalle gesta di tutti pionieri dell’aria, volevano cimentarsi in viaggi oltre le barriere del possibile. Proprio da Orbetello, sede di questa scuola, partirono importanti missioni e traversate del Mediterraneo con flotte portentose di idrovolanti: ben 60 dalla Francia alla Spagna nel 1928, mentre nel 1929 da Orbetello a Odessa e ritorno con altri 37 velivoli. Impresa richiama impresa ed ecco che a cavallo tra il 1930 ed il 1931 per la prima volta, un gruppo di aerei (sempre idrovolanti) compie un’attraversata oceanica da Orbetello a Rio de Janeiro. Due anni dopo, sempre dalla città toscana 25 aerei vanno fino a Chicago e ritorno. Era voce di popolo, all’epoca che le gesta di Balbo avessero scatenato l’invidia di Mussolini il quale, ma non vi sono conferme ufficiali al riguardo, avrebbe architettato il finto incidente che portò alla morte dell’aviatore sui cieli di Tobruch nel 1940.
Come si inserisce allora la nostra Lunigiana nel racconto di queste gesta? Tra i grandi aviatori c’era anche Carlo del Prete. Era nato a Lucca, ma la sua famiglia era originaria di Fazzano, odierna frazione del comune di Fivizzano, dove lui stesso era solito passare il suo tempo libero. A quindici anni si arruolò nella Regia Accademia Navale di Livorno ed ebbe una rapida carriera militare che lo vide protagonista negli eventi bellici della Prima Guerra Mondiale ora a bordo di una nave da battaglia, ora al comando di un sottomarino. Nella notte tra il 10 e l’11 febbraio 1918 partecipò insieme al Vate (ancora lui) e a Costanzo Ciano alla famosa Beffa di Buccari, scortando e proteggendo i MAS alle Bocche del Carnaro.
Finita la guerra si laureò in ingegneria meccanica ed elettrotecnica presso il Politecnico di Milano ed ottenne il brevetto da pilota di idrovolanti. Venne trasferito alla neo costituita Regia Aeronautica diventando comandante dell’idroscalo di Sesto Calende dove conobbe Francesco da Pinedo che, notandone le potenzialità, lo scelse come secondo ufficiale col quale, insieme a Vitale Zacchetti. Insieme, partendo da Elmas in Sardegna, volarono lungo l’Africa e le due Americhe attraversando per ben due volte l’Oceano Atlantico. I suoi compiti a bordo del Savoia Marchetti S55, erano quelli di compiere osservazioni astronomiche, al fine di mantenere la rotta costante e di assicurarsi che il consumo di carburante fosse equilibrato tra i vari serbatoi in modo da non creare scompensi durante la navigazione. Nel 1928 fu artefice di un’ulteriore impresa, insieme ad Arturo Ferrarin: il record mondiale di durata in un circuito chiuso, percorrendo per ben 51 volte il tragitto di 74 chilometri che divide Torre Flavia dal faro di Anzio. 7666,616 chilometri in 58 ore e 37 minuti.
Tutto questo però era solo da preambolo a ciò che avrebbero fatto nel luglio seguente. Partì, insieme a Ferrarin, da Monte Celio a Roma con un Savoia Marchetti S.62 e, dopo un viaggio epico su aereo fatto di legno e tela, arrivò dopo due giorni in Brasile, sfidando le intemperie e le avversità di un tale viaggio del genere, senza i moderni sistemi di orientamento, di comunicazione e di propulsione, affidandosi solo all’ esperienza ed alla audacia dei piloti. Da Bahia, luogo del difficile atterraggio, si mossero per il paese per un piccolo tour promozionale che però gli risultò fatale: l’8 luglio, durante un decollo, l’aereo ebbe un cedimento e un’ala si spezzò facendolo precipitare in mare, Ferrarin si procurò delle lesioni lievi mentre Del Prete riportò la frattura del femore e della tibia. Subito la ferita si infettò e a nulla valse l’amputazione della gamba per fermarla, il pilota morì pochi giorni dopo per setticemia. Aldilà del record di trasvolata, Del Prete e Ferrarin aprirono una rotta militare e commerciale ancora oggi in uso che accorcia di ben due terzi quella del nord atlantico e che unisce le due Americhe ad Europa e Africa. In Brasile gli sono stati dedicate vie e piazze così come in Italia nel suo comune natale, a Fivizzano, Firenze, Torino, Palermo, Latina e ancora il suo nome è stato dato all’aeroporto di Vercelli e addirittura ad un modello di Boeing 747. Al Pincio è possibile vedere un suo busto tra quelli di personaggi che fecero grande l’Italia.
È triste però sentire che a volte il suo nome viene nascosto, perché le sue gesta presero corpo durante il regime fascista, quasi a voler assimilare la sua audacia a quella di un’ideologia morta e sepolta nel tempo. Del Prete era un uomo di valore, che volava per la voglia di farlo e per ideali futuristici e non politici. Dobbiamo tenercelo stretto e non dobbiamo permettere che le sue imprese siano offuscate da dottrine che non ci appartengono più, perché oggi come non mai abbiamo ancora bisogno di uomini e donne che, come lui, ebbero il coraggio e l’ardimento di affrontare il cielo con lo sguardo fisso alle stelle.