seconda parte
Il professor Mrototo ha continuato il suo intervento nella conferenza Internazionale sulla Cancel Culture che si è tenuta in sud Africa il 9 settembre evidenziando, in termini generali, un’importante distinzione da fare: diversamente dalla “Cancel culture”, il “Politically correct” può risultarne solo un aspetto, poiché esso rappresenta una forma di “etichetta”, o meglio, un insieme di raccomandazioni, basate sul rispetto delle persone e sul principio di non-discriminazione, che invitano a evitare potenziali offese. Cambia però il contesto, secondo Mrototo, quando, con l’affermarsi progressivo della Cancel culture, essa diviene una forma di ostracismo dovuto all’indignazione pubblica, per cui qualcuno viene rimosso dal proprio ruolo. Attraverso i media, cioè giornali, televisione, web, ma anche attraverso i movimenti di opinione come il MeToo o il Black Lives Matter, l’impurità formale del “politically correct” è diventata una sorta di condanna pubblica senza appello.
La relazione del professor Mrototo è stata seguita dall’ultimo intervento affidato al dottor Brian Boshoff, development Planner dell’università di Johannesburg. “Nel riprendere l’ultimo concetto espresso da chi mi ha preceduto – ha spiegato Boshoff – in questi frangenti, a mio giudizio, destano sconcerto i casi effettivi di censura o di cancellazione di memorie del passato, mentre le posizioni storiografiche che si limitano a propiziare un processo di revisionismo storico, ideologico, e di altra natura, sia pure con tesi più o meno autorevoli, non fuoriescono dall’ambito della legittima funzione della critica. Anche le diverse scienze umane su cui l’operazione impatta hanno il loro valore, mentre il diverso giudizio estetico delle epoche successive a quella in cui l’opera fu prodotta, ha un peso nella critica letteraria. Il presentismo appare un vero e proprio paralogismo, che viola la natura avalutativa delle scienze sociali, in quanto costituisce un pregiudizio a favore del presente o degli atteggiamenti dell’oggi, specialmente nell’interpretazione della storia e della letteratura”.
Su questi concetti non posso che concordare: sostenere che i Sumeri erano schiavisti o che i greci ed i romani erano maschilisti non tiene conto del periodo in cui vissero. Anche il buon senso e i contesti storici dovrebbero essere considerati e rispettati anche dalla “Cancel culture”. Il mio bilancio dei contenuti espressi nel congresso sulla Cancel Culture è stato indubbiamente positivo perché mi ha chiarito molte idee, ma mi ha anche lasciato un senso di sconcerto. La mia netta impressione è che ci sia sempre meno spazio per confronti magari movimentati, ma costruttivi. Il punto è che la “Cancel culture” sembra del tutto abrogare la voglia di ragionare attorno alle idee: ciò che “è” si accetta o si cancella, ma non si discute. Inoltre, a mio giudizio, ad esacerbare il contrasto contribuiscono anche le caratteristiche del teatro in cui si svolge la maggior parte delle discussioni e delle nostre vite, ovvero le piattaforme online. Ogni comunicazione è esposta a critiche rapide, feroci, brevi nella forma e poco articolate nel contenuto. La vulnerabilità legata all’esposizione delle proprie idee, il rischio pervasivo di aggressione verbale, oltre alla velenosa proliferazione dell’idea che, attraverso un “click” posso bloccare dei concetti, incluso chi li propugna. In questo caso, purtroppo, ogni forma di cultura di trasformerebbe in “un’autocrazia”, visto che non si possono trasformare, pur giusti, principi in condanna morale, perché quest’ultima è una scelta e la legge un obbligo.