Ci sono persone che hanno sfidato la sorte e sono riuscite a lasciare una traccia profonda nella storia. Agnolo Ambrogini detto il Poliziano, a causa del suo luogo di nascita, Montepulciano, dove ebbe i natali il 14 luglio del 1454, è stato un uomo che, contro il destino, ha saputo conquistare un posto nei grandi della letteratura. Suo padre Benedetto era un giurista e collaborava con la famiglia dei Medici. Morì assassinato dai parenti di una persona che aveva fatto condannare, quando Agnolo aveva dieci anni. Due anni dopo Agnolo fu costretto a traferirsi a Firenze presso dei parenti che vivevano quasi in indigenza, tuttavia la sua forza di volontà gli consentì di continuare gli studi fino a quelli universitari. In quel periodo entrò in contatto con Marsilio Ficino e Demetrio Calcondila. Nel 1470 Agnolo Ambrogini volle dimostrare le sue doti e tradusse l’Iliade di Omero dal greco al latino. Quando terminò le sue traduzioni, nel 1473, le dedicò a Lorenzo de’Medici, che era divenuto signore di Firenze nel 1469. Il Magnifico lo prese sotto la sua protezione e gli consentì di accedere alla magnifica biblioteca medicea. Nel 1475 Lorenzo nominò Poliziano precettore di suo figlio Piero e gli affidò l’incarico di suo segretario personale. La carriera di Agnolo decollò in quel tempo e dopo la stesura delle Elegie latine e degli Epigrammi latini e greci, fu nominato Priore della chiesa di San Paolo Apostolo, poi sacerdote e canonico della cattedrale di Santa Maria in Fiore. Lorenzo de’ Medici intravide in lui la possibilità della divulgazione dell’umanesimo nella poetica, mutando il percorso fatto negli impegni civili e nella politica. Poliziano curò la Raccolta Aragonese, poesie in volgare da inviare al re di Napoli. Iniziò la composizione: Stanze della giostra dedicata a Giuliano de’Medici, che venne assassinato durante la congiura dei Pazzi nel 1478. Poliziano scrisse il Commentario della congiura dei Pazzi, era la cronaca nella quale descrisse gli accadimenti redatti come un vero giornalista. A causa di contrasti con Clarice Orsini, la moglie di Lorenzo de’ Medici, che non condivideva i suoi metodi riguardo l’insegnamento a suo figlio Giovanni, che poi sarebbe diventato papa Leone X, Poliziano decise di allontanarsi da Firenze. Viaggiò in Italia settentrionale, ospite di Francesco Gonzaga per cui scrisse la Fabula di Orfeo. Nel 1480 scrisse una lettera di riappacificazione a Lorenzo de’ Medici e rientrò a Firenze, ottenendo l’incarico di insegnamento presso lo Studio Fiorentino. In quel ruolo iniziò l’attività di filologo e commentatore di testi latini, stringendo un sodalizio con Giovanni Pico della Mirandola. A quel periodo appartengono numerose Epistole che furono raccolte in dodici libri, tra i quali Sylvae, un testo propedeutico agli esami universitari. Poliziano si avvicinò all’aristotelismo e le arti meccaniche. Ebbe modo di scontarsi con gli altri umanisti, tra i quali Giorgio Merula, tacciandoli di scrivere dati errati e di essere stati plagiati. Nel 1492 morì Lorenzo il Magnifico. L’effetto per il Poliziano fu devastante: descrisse gli ultimi istanti di vita del Magnifico, usando quella cronaca che è ancora attuale nel mondo del giornalismo. Cercò nuove protezioni e alleanze come quella di Piero de’ Medici, del quale era stato precettore. Poliziano gli chiese l’appoggio per ottenere la carica di cardinale. Mentre era in attesa di una risposta da parte di Piero, venne colto da una febbre che lo condusse alla morte nella notte tra il 28 e il 29 settembre del 1494, quando aveva 40 anni. Proprio in quei giorni le truppe di Carlo VIII di Francia marciavano su Firenze e incombeva l’oscurantismo di Girolamo Savonarola. Studi recenti hanno dimostrato che la morte di Poliziano, come quella di Giovanni Pico della Mirandola, furono causate da alti livelli di arsenico. Si ipotizzò che il mandante fu Piero de’Medici, temendo un sodalizio dei due con Savonarola. La morte di Poliziano rimane un giallo, la sua vita è stata dedicata alla poesia, a quel lato umanista che lui riuscì a evidenziare come nessun altro prima. Riposa nella sua Firenze e il suo testamento sono le opere senza tempo che hanno attraversato i secoli.