Andreas Müller vive e lavora a Bernau bei Berlin, una cittadina del Brandenburgo. Porta bene i suoi sessant’anni: ha un fisico asciutto e lo sguardo da chi le ha viste quasi tutte. Da più di metà della sua vita, porta avanti un’intensa battaglia personale su un tema tradizionalmente divisivo. È, infatti, un fervente sostenitore della legalizzazione della cannabis. Ma non sono le sue argomentazioni anti-proibizioniste ad averlo reso abbastanza noto nel suo paese. Quello che rende il personaggio così interessante, è che Andreas Müller è un giudice del tribunale minorile. Un connubio, questo, a dir poco raro. Un po’ come fare il giudice in Texas ed essere contrario alla pena di morte. La sua ferma contrarietà alla linea attuale della giurisprudenza tedesca in materia, come di tanti altri paesi europei, lo pone in una posizione di assoluta originalità. Deve essere particolarmente difficile condannare dei ragazzi a pene, anche piuttosto severe, se non si crede nella liceità e nell’efficacia dell’impianto teorico che le determina. Secondo Andreas, quando giovani fumatori d’erba, vengono arrestati e portati in tribunale perché in possesso di cannabis in quantità anche di poco superiori al limite stabilito per l’uso personale, lo stato sta creando delle vittime, dei criminali e, forse, dei futuri poveri. Una posizione forte, molto critica verso il sistema di cui lui stesso fa parte, e che ha deciso di combattere dall’interno, forse anche a causa della sua storia, che presenta molti risvolti drammatici.
Nato e cresciuto a Meppen, in Sassonia, il giovane Andreas fumava erba come molti suoi coetanei: un po’ per emulazione e un po’ per riuscire a sopportare una situazione famigliare molto complessa, con il padre che era alcolizzato, e il fratello maggiore – tossicodipendente – che era finito in carcere, e che poi era morto per overdose.
Ogni volta che l’argomento cannabis torna di moda, Andreas viene chiamato come ospite nei dibattiti televisivi o nelle dirette on-line. Ampi spezzoni delle sue apparizioni si possono facilmente trovare on-line. La sua appassionata dialettica a favore della liberalizzazione della cannabis, la solidità teorica delle sua posizioni, unita a un archivio quasi infinito di storie che Andreas può mettere sul piatto della discussione, grazie alla sua decennale attività di giudice minorile, ne fanno un avversario temibilissimo anche per i più preparati e convinti sostenitori del proibizionismo. In questa sede non esporremo, né analizzeremo nessuna delle tesi di questo contraddittorio. In questa sede ci interessa evidenziare il coraggio di un uomo e la sofferenza personale di non poter aiutare in nessun modo i ragazzi che, giornalmente, entrano nella sua aula come imputati, se non attraverso pene ragionevoli e che lascino qualche spazio di rinascita.
Che Andreas sia un uomo coraggioso, d’altronde, lo dimostrano, anche, alcune storiche sentenze contro i minorenni neonazisti che frequentano troppo spesso il tribunale da lui presieduto. Sentenze punitive, certo, ma mai fini a se stesse. Dietro vi si scorge sempre una volontà di far comprendere al minore l’entità reale del suo errore, nella speranza che ciò possa farlo maturare. Nel 2000 Andreas fa parlare di sé, creando un precedente giuridico, con la definizione degli stivali da combattimento come una vera e propria arma, e proibendo ad alcuni giovanissimi naziskin di indossarli, pena la non concessione della libertà vigilata. Un’altra sentenza che ha fatto discutere è stata la condanna di un quindicenne, che aveva fatto il saluto nazista, a visitare una moschea e a pranzare con dei ragazzi turchi. In qualche occasione, però, non ha esitato a mostrare il pugno di ferro, come quando – probabilmente irretito dall’atteggiamento sprezzante e spavaldo di in gruppo di ragazzini neonazisti – ha ordinato la loro carcerazione immediata, direttamente all’uscita dall’aula, saltando tutti i passi intermedi. Questo ha messo, sì, paura ai movimenti di estrema destra di Bernau, ma anche gli è costato, per molti giorni, una vita sotto protezione costante della polizia, per le ripetute minacce che aveva ricevuto dopo la sentenza.
Con il suo impegno, con la coerenza, con la sua forza, il giudice Andreas Müller, quindi, si è ritagliato un piccolo, ma significativo spazio nel variegato mondo della dissidenza intellettuale. Il suo libro “Fumo e criminalità. L’opinione di un giudice del tribunale minorile”, uscito nel 2015, ma non tradotto in Italia, è un qualcosa a metà tra un trattato di sociologia e una biografia, e disegna con accuratezza lo spessore di questa sorta di eroe della Marvel, nella sua doppia veste di punitore che, però, sta dalla parte dei puniti.
Fonti: Der Tagesspiegel, Germania (tradotto, stampato e distribuito in Italia da Internazionale Srl)