• Sab. Nov 23rd, 2024

Diari Toscani

Giornale di cultura, viaggi, enogastronomia e società

Si avvicina l’autunno, la mia stagione preferita ed anche la stagione del bosco per eccellenza. Le piante cominciano a perdere le foglie, che prima di lasciare per sempre i rami sui quali sono cresciute, ingialliscono e colorano le montagne di mille sfumature diverse. Il terreno emana un profumo particolare, che sa di muschio, humus e funghi. Non si sentono più i ronzii degli insetti, forse anche i folletti fanno gli ultimi preparativi per l’arrivo del gran freddo, così come fanno gli animali che si preparano al lungo sonno invernale. Non tutti, però, vanno in letargo. In questi giorni, preparando il mio orto per la semina invernale, ho sentito provenire dal bosco, nella valle sottostante, uno strano verso. È difficile da descrivere: è un misto tra un raglio, il grugnito di un cinghiale ed il muggito di una mucca. Le prime volte mi sono fermato per porgere meglio l’orecchio. Quel verso era così forte e nitido che, pur essendo conscio che il bosco è a non più di trecento metri in linea d’aria oltre i tetti delle ultime case,  mi sembrava davvero che qualsiasi animale lo stesse emettendo, fosse a pochi passi da me. Ho chiesto in giro a qualche amico più informato di me (tutti ne abbiamo almeno uno), ai contadini, a chi abita a ridosso del bosco ed ecco la risposta: era un cervo. Forse anche più di uno, direi, perché spesso al bramito di uno si univa quello di un altro in risposta dall’altra parte della valle. Il cervo è un animale maestoso, imponente, che mette quasi timore. Ne ho incontrato uno, una volta,  mentre tornavo a casa  lungo una strada di montagna. Improvvisamente, da sotto un albero, ho visto questa meraviglia saltare in mezzo alla carreggiata, impennarsi sulle zampe posteriori, innalzando un palco di corna impressionante e sono rimasto, per un attimo, interdetto,  perchè non avevo capito subito cosa mi si era palesato davanti.

 Il cervo bramisce per avvisare gli altri maschi della sua presenza e per richiamare le femmine in uno strano rituale di accoppiamento: chi farà il verso più bello e più potente avrà diritto a riprodursi. In un certo senso credo sia una poesia d’amore anche quello. Una volta, questi animali erano molto presenti nei  boschi della Lunigiana, non a caso la mitologia e la religione si sono spesso appropriate di questa figura. Il cervo diventa simbolo della rigenerazione per via del palco di corna che perde in inverno, e che rinasce in primavera, come i rami di un albero (quello della vita) che fungono da trait-d’ union tra il mondo terreno e quello divino soprastante. Nelle leggende nordiche, il cervo viene associato al sole ed alla luce, incarnando gli aspetti di creazione e civilizzazione ed è considerato  simbolo della famiglia patriarcale, in contrapposizione a quella matriarcale associata al mito del toro, simbolo della forza generatrice. Nella tradizione germano scandinava, il cervo assume un significato negativo ed è  visto come principio malefico poiché tenta di distruggere l’albero originario. Secondo una leggenda, quattro cervi brucavano incessantemente i nuovi germogli del frassino Yggdrasil, per indebolirlo e impedirgli di crescere rigoglioso. Paese che vai, credenza che trovi! Il cervo appartiene anche nella cultura greco latina: Plinio il vecchio, nella sua Naturalis Historia, parla dei cervi come animali mansueti, prudenti e attratti dal canto. Ricorda  che i cervi sono grandi nemici dei serpenti, in quanto con il soffio delle narici li fanno uscire dalle loro tane. Il cervo è uno dei due simboli della caccia di Diana, Artemide per gli antichi greci, ed era consacrato agli dei della purezza e della luce: Apollo e Atena. Uno dei tanti miti collega il cervo ai cipressi, alberi quasi simbolo delle campagne toscane: un giorno Ciparisso, un ragazzo tanto amato da Apollo, uccise per sbaglio col suo giavellotto un cervo addomesticato, col quale soleva passare la maggior parte del proprio tempo. Afflitto da un dolore inconsolabile si trasformò in un cipresso, pianta che ancora oggi è associata alla morte ed al lutto.  Secondo un altro mito, il giovane Atteone, sorprese Artemide a fare il bagno nuda durante una pausa in una battuta di caccia. La dea per punirlo, gli spruzzò in faccia dell’acqua, trasformandolo in un cervo. Atteone scappò via e si accorse della trasformazione solo bevendo dell’acqua in un laghetto, nel cui specchio vide la sua immagine riflessa. A rendere questo mito ancora più triste, ci pensarono i cani fedeli al cacciatore che non riconoscendolo nella sua nuova forma, lo sbranarono a morte. Anche il cristianesimo si è appropriato della figura del cervo: già citato nei testi sacri, vedi un verso del salmo 42  «come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio», venne più volte nominato fino a ad essere immortalato su alcune fonti battesimali.  La fama di abile cacciatore di serpenti, confermata da Plinio,  fu la base per la similitudine con Cristo, che uccide il serpente del male e che rinasce. Non stupiamoci quindi di vedere questo splendido animale rappresentato nelle raffigurazioni natalizie, il significato ora lo abbiamo appreso appieno.

Per concludere, voglio darvi un consiglio: ascoltate il brano di Angelo Branduardi intitolato “Il dono del cervo”, magari indossando un  paio di cuffie e stando rilassati sulla vostra poltrona ad occhi chiusi. Verrete trasportati in un mondo magico e poetico che appartiene solo ai boschi. Per questo, ogni mattina, quando apro le finestre sul paesaggio di fronte a casa mia e  ascolto in lontananza i bramiti dei cervi mi trovo a pensare: “Ma quanto è bella la mia Lunigiana?”.