Fred, un mio caro amico irlandese (guai a chiamarlo inglese) suole sempre prendermi in giro, dicendo di essere un leprechaun, che italianizzato viene fuori qualcosa tipo leprecano o lepricano. In pratica nulla più che un folletto, ovvero uno di quegli omini verdi che abitano i boschi delle favole e che spesso vengono citati da scrittori, poeti e cantastorie. Prima del XX secolo, il folletto non era vestito di verde ma di rosso e portava a tracolla una borsa con all’interno un unico scellino che ricompariva ogni volta che viene speso.
Uno scrittore irlandese del XIX secolo, Samuel Lover, lo descriveva così: «… piuttosto elegante nel suo vestito, nonostante tutto, perché indossa un cappotto rosso dal taglio squadrato, riccamente decorato con oro, un panciotto, e incredibilmente, un cappello a tricorno, e scarpe con fibbie», un tipo elegante potremmo dire. Il grande poeta William Butler Yates ce lo conferma ed aggiunge: «È in qualche modo un elegantone, vestito di una giacca rossa con sette file di bottoni, sette bottoni per fila, e porta un cappello a tricorno, e nelle regioni del nord-est, secondo McAnally, si dice che sia solito girare come una trottola sulla punta del cappello quando ne trova uno della misura adatta». Un altro poeta irlandese coevo dei precedenti, William Allingham, lo descrive invece così: «…un elfo barbuto, rugoso e raggrinzito. Occhiali infilati sul naso a punta, Fibbie d’argento alle braghe, Grembiale di cuoio – Una scarpa sulle ginocchia»
E potremmo continuare a cercare descrizioni in molti altri scrittori diventati famosi anche per le trasposizioni cinematografiche delle loro opere, come J.R.R.Tolkien nel “Signore degli anelli” o J.K.Rowling nella saga di Harry Potter; persino nella musica contemporanea ne troviamo uno che va a trovare un certo padre Vyvien O’Blivion indaffarato a fare pancakes per i suoi parrocchiani, nella canzone Father O’Blivion di Frank Zappa.
Tutte queste storie sui leprechaun sono interessanti, ma chi legge questo articolo giustamente obietterà che qui siamo in Toscana e non in Irlanda! Ebbene anche noi abbiamo un personaggio molto simile che abita nei boschi ed è ben conosciuto nella zona tra Lucca e tutta la Garfagnana e la Versilia, la Lunigiana, La Spezia e Massa Carrara: parliamo del Baffardello o Buffardello. Secondo il vocabolario lucchese di Ildefonso Nieri il buffardello è un folletto, diavoletto curioso, presso a poco come il linchetto, che però è uno spiritello più malvagio e che spesso viene identificato come un vero e proprio piccolo diavolo. È vestito di rosso come il leprecaun più antico, ha delle scarpe a punta e viene descritto a volte con le sembianze di un bambino, a volte con quelle di un vecchio con la barba sebbene, almeno in teoria, dovrebbe essere invisibile. Generalmente vive nei boschi, ma si dice che preferisca le cime degli alberi e non disdegni entrare nelle case dalle finestre, facendo un gran baccano e ridendo sguaiatamente. Tira via le coperte alle zitelle, fa rumori strani in casa o in camera da letto, far tentennare il letto, nasconde o sposta gli oggetti posti sui mobili, spegne le luci, strappa la carta da parati, taglia a chiazze la barba degli uomini mentre dormono, nei casi peggiori getta nel caos l’intera abitazione. La notte lo si sente salire le scale che portano alla camera da letto o camminare per la casa. Ruba il vino dalle botti, getta all’aria il bucato steso fuori e non risparmia nemmeno gli animali domestici facendogli ogni dispetto di sorta. Odia i preti al punto da rompere loro gli occhiali in canonica, ma sembra avere un buon rapporto coi bambini, tanto da andare a dormire nel loro lettino la notte. Insomma un dispettoso come pochi in giro. Ma come possiamo difenderci da tale presenza fastidiosa? Per prima cosa si devono chiudere le finestre poi, all’interno della porta di casa si mette una scopa al contrario con il manico che tocca per terra, mentre all’esterno si deve porre un ramo di ginepro in modo tale che quando decide di venire a rompervi le scatole, curioso com’è si metta a contare le bacche e alla fine si dimentichi cosa era venuto a fare e se ne vada. Anche mettere una ciotola con le bacche di ginepro sulle scale di casa è utile, se già è entrato, ma se è riuscito a raggiungere la camera da letto non disperate, basta mettere dei vestiti da uomo sul fondo del letto o appoggiare una scopa di saggina che funzionerà come con le bacche di ginepro. Però amici lettori, se ormai sentite che vi è salito sul petto e cerca di soffocarvi non vi rimane che pronunciare la seguente frase: “Scappa! Non lo sai che t’ha fatto San Giovanni, eh? tanto non m’affoghi!” A proposito, cosa gli ha fatto San Giovanni? Gli ha bucato le mani, proprio per impedirgli di soffocare le persone nel sonno! Insomma ogni paese nel quale si è radicata questa leggenda, ha il suo particolare rimedio per farlo andare via e non farlo tornare più, tanto che se volessimo farne un elenco completo dovremmo impiegare troppo tempo e troppo inchiostro.
Tuttavia dove salta fuori questa storia? A differenza dei leprechaun irlandesi che derivano da leggende di origine celtica, sembra che i folletti nostrani, incluso il baffardello, derivi dalle credenze legate ai Lari, ovvero quegli spiriti che appartengono alla religione romana e che rappresentano le anime degli antenati defunti che vegliavano sulla famiglia di appartenenza e sulle loro case; che poi i miti si siano fusi e contaminati è del tutto verosimile e ogni storia, come ben sappiamo, segue la strada del luogo dove si sviluppa e in fondo in fondo, a meno che non ci sia qualche antropologo tra i miei lettori, non credo che questo possa interessare più di tanto.
Anche io però ho una storia legata al baffardello o ai folletti in genere e ve la voglio raccontare.
Un giorno, al ritorno da una passeggiata sul monte della Tergagliana a Fivizzano, mi sono ritrovato con mio figlio più piccolo Federico che avrà avuto cinque o sei anni, in un sentiero nel bel mezzo del bosco. Tutto ad un tratto un rumore proveniente dal fondo di un canalone ha catturato la nostra attenzione, tanto da farci rimanere immobili con lo sguardo verso quel tratto di boscaglia da dove quel suono era giunto. Qualcosa si era mosso lì in fondo, ma non si riusciva a vedere. Ho notato che Federico era un po’ preoccupato e così mi sono ricordato di un episodio simile avvenuto con suo fratello più grande, quando aveva la sua stessa età e mi sono avvicinato a lui. Ho preso una pietra e l’ho lanciata in fondo: “Se era un animale” gli ho detto “lo sentiremo scappare via, ma se non sentiamo nulla vuol dire che è uno gnomo del bosco ed allora bisogna fare attenzione”. Federico mi ha guardato lanciare il sasso e poi entrambi siamo rimasti per qualche secondo con l’orecchio teso per sentire se sarebbe seguito qualche cosa, ma nulla si mosse. “È senza dubbio un folletto” gli ho detto “per cui bisogna essere cordiali e gentili con lui e col bosco, perché è casa sua. Probabilmente era curioso di vederci e non ci farà del male, l’importante è non fargli paura e lasciare che ci segua, vedrai che non ci farà alcun male”. Per tutta la discesa, Federico ha tenuto lo sguardo fisso nel bosco circostante e mi ha fatto un sacco di domande sul perché quel folletto ci stesse seguendo. Il bosco è pieno di rumori e non è stato difficile per me inventarmi storie sul comportamento e le abitudini del nostro piccolo amico. Alla vista delle prime case lo abbiamo salutato e pregato di tornare a visitarci qualora fossimo ritornati per quei sentieri e il ricordo di quell’avventura rimane ancora oggi con noi. Alla fine di tutto questo racconto, che ha avuto inizio in Irlanda ed è finito nei boschi della Lunigiana, è bello pensare che con un po’ di fantasia possiamo cambiare le facce di alcuni personaggi ed inventare ogni giorno delle storie sempre più belle