conosco un posto nel mio cuore/dove tira sempre il vento… cantava il grande e compianto Lucio Dalla – nello specifico in: Cara, uno struggente brano del 1980, agitando l’anima dell’ascoltatore con la forza della sua voce unica, e il lirismo di questa immagine, fatta di undici, semplici parole.
Perché il vento è facile, in fondo. Non è altro che aria in movimento. Un movimento senza fine, da una parte all’altra del pianeta e anche quando al suolo sembra prendersi una pausa, per riposarsi un poco, dopo tanto viaggiare, basta salire di poche decine di metri, ed ecco che torna a sfiorarci la pelle. La sua forza è stata determinante nel passato, e lo sarà anche nel futuro. Ieri, la sua forza ha sospinto l’agricoltura e ci ha permesso di vincere la vastità delle acque. Oggi, quella stessa forza potrebbe salvarci. E uno dei crocevia di questa nuova fase dell’importanza del vento nella storia dell’uomo, passa dalle acque poco profonde al largo di Esbjerg, nella parte ovest della penisola dello Jutland, la parte continentale del Regno di Danimarca.
La cartolina migliore, quella che sintetizza ed incarna maggiormente il senso di questo luogo remoto, la si può ammirare dall’Isola di Fanø, l’ultima delle Isole Frisone, di fronte a Esbjerg. Parzialmente coperti da muschi e licheni, i resti dei bunker tedeschi risalenti alla seconda guerra mondiale, spuntano dal suolo come funghi dalle dimensioni aliene. Proseguendo verso la spiaggia, si può salire su una delle alte dune che sorgono a ridosso del mare. Da lì si vede Esbjerg: le due ciminiere fumanti che s’innalzano dalle banchine del porto, e, ancora più indietro, le gigantesche pale – si scorgono fino a cinque chilometri dalla costa – delle turbine eoliche che si trovano nell’entroterra. Quindi: il passato, il presente e il futuro, non solo di questa zona, ma di una parte importante dell’Europa centrale.
Esbjerg ha vissuto due trasformazioni profonde a livello locale. La terza è in corso, e avrà ripercussioni che andranno ben oltre il territorio e le coste coinvolte. Fino al 1972 la pesca industriale era l’attività economica principale. Quasi un terzo della popolazione residente viveva di questo, in un modo o nell’altro. Gli anziani raccontano che l’odore di pesce era così forte che aveva impregnato persino i muri delle case. Poi, negli anni ’70, in concomitanza con una diminuzione del pescato, al largo delle coste di Esbjerg vengono scoperti enormi giacimenti sottomarini di petrolio e gas. Così, dal porto della città, scompaiono tutti, ma proprio tutti, i pescherecci. I resti di queste imbarcazioni, delle attrezzature di pesca e dei potenti motori diesel che li alimentavano, finiscono nel museo cittadino, insieme alle storie che si portavano dietro, raccontate da foto d’epoca e ritagli di giornali. C’era bisogno di manodopera sul posto e tutti si trasformarono, velocemente, in operai in grado di lavorare su una piattaforma da estrazione. Un lavoro duro, ma con meno incognite rispetto alla pesca, e imparagonabilmente meglio retribuito. Il passaggio da un’attività all’altra, quindi, è indolore.
Oggi, la stragrande maggioranza dei figli di quegli ex pescatori diventati operai, lavora ancora nel settore estrattivo, ma presto si dovranno tutti convertire nuovamente. Niente più tute annerite dal petrolio, ma imbracature da alpinisti per salire e lavorare su questa sorta di enormi mulini a vento stilizzati, che invece di macinare grano, producono energia pulita, senza fermarsi mai, proprio come il vento.
Il Dogger Bank – un banco di sabbia al largo di Esbjerg, qualche centinaio di chilometri a nord – è stato scelto dal governo danese come uno dei due siti in cui saranno costruite le prime “isole energetiche” per parchi eolici off-shore. In pratica, un’isola energetica funziona come una grande presa multipla, collegata ai vari parchi eolici presenti intorno ad essa, attraverso una rete di cavi sottomarini. L’energia, così raccolta e centralizzata, viene fatta uscire da un unico canale che la immette direttamente nella rete elettrica sulla terraferma. Una volta a pieno regime – si stima una decina d’anni perlomeno – la struttura al largo di Esbjerg fornirà elettricità a Germania, Belgio e Paesi Bassi. In alcune parti il progetto manca ancora di fattibilità, almeno stando allo stato attuale di capacità tecnologiche, ma gli ingegneri sono certi che ogni ostacolo verrà superato. Ne è convinto anche il governo danese che, nel 2020, ha stanziato la cifra record di 31 miliardi di euro per la costruzione delle due isole e dei parchi annessi. Una decisione storica. E un segnale forte a tutti gli altri paesi sviluppati che hanno l’obbligo morale, nonché le risorse, per dare impulso, sostenere e portare a compimento la transizione energetica.
Il vecchio porto in disuso di Esbjerg si va ripopolando. Ma non di pescatori. Componenti delle turbine eoliche alti come un palazzo di cinque piani, svettano allineate come moderni menhir, mentre enormi pale giacciono sulle banchine, alla stregua di giganti d’acciaio assopiti. Esbjerg si appresta a cambiare volto di nuovo, stavolta all’insegna del vento.
Siete mai stati nei pressi di una turbina eolica in movimento? Io sì. Trentacinque anni fa, nei Paesi Bassi, in vacanza con degli amici. Probabilmente quelle che abbiamo ammirato, non erano neanche le più grandi, ma la loro imponenza era qualcosa di sbalorditivo. Quando la pala arrivava al punto più basso della sua rotazione, il suono dello spostamento d’aria arrivava improvviso, facendoci quadi tremare. Il silenzio che seguiva, sebbene di breve durata, era quasi irreale, tanto era profondo. Nessun ronzio, nessun rumore bianco. Solo il vento, la sua forza e la nostra fragilità.
Fonti: De Groene Amsterdammer, Paesi Bassi (tradotto e pubblicato in Italia da Internazionale) – Wikipedia