Quando persone come Annette Eddie-Callagain raccontano la loro storia, viene fuori sempre un episodio che, per qualche ragione, cambia la visione del loro futuro. La svolta, per Annette, fu una festa di laurea. Cresciuta nel sud degli Stati Uniti, in un epoca in cui le professioni ad alta significatività sociale erano tutte in mano a bianchi, Annette passa l’infanzia nei tribunali, perché la madre single, dopo la scuola, porta lei e i suoi nove fratelli e sorelle in una sala aperta al pubblico, dove possono passare al sicuro le ore pomeridiane in sua assenza. Qui, si sviluppa la fascinazione per la carriera forense, ma, non vedendo altro che avvocati bianchi e imputati neri, si convince che quella sia la normalità: in un mondo tagliato in due, una ragazza nera di umili origini, mai avrebbe potuto diventare un’avvocatessa. Propende, quindi, per una più semplice carriera scolastica e diventa un’insegnante di scuole superiori. Un giorno Annette viene invitata ad una festa di laurea. Quando scopre che la festeggiata è una ragazza di colore laureatasi in giurisprudenza, la sua vita cambia. Lascia l’insegnamento e si iscrive, grazie ad una borsa di studio, alla facoltà di legge, laureandosi con il massimo dei voti. Non ci vuole il genio deduttivo di Sherlock Holmes per capire che Annette, oggi, è un avvocata di successo, ma sono i casi che ha seguito, e che segue tutt’ora, a renderla speciale: un sacco di persone, per lo più donne giapponesi, le devono davvero tantissimo.
Trent’anni fa Annette lavorava per l’esercito degli Stati Uniti, nella base di Kadena, nella prefettura di Okinawa. La stragrande maggioranza di militari di stanza qui, erano giovanissimi marines che restavano a Kadena per molti mesi, e quindi le frequentazioni amorose di questi virgulti con le ragazze del posto era una cosa normalissima. Spesso da queste brevi relazioni nasceva un figlio. Annette scoprì che quasi tutti i soldati, una volta trasferiti, si disinteressavano completamente dei figli, lasciando le giovani madri in condizioni difficilissime, sia dal punto di vista economico che sociale. Il risentimento delle famiglie, infatti, era molto forte: poche erano disposte ad accettare di buon grado che le proprie figlie crescessero in casa dei figli illegittimi e, oltretutto, di sangue yankee. La cosa era considerata oltremodo oltraggiosa.
Per Annette questa era un’ingiustizia a cui si doveva porre rimedio.
Una volta laureata, tornò quindi in Giappone, come si era ripromessa di fare molti anni prima. La situazione non era cambiata granché. Marines ed impiegati della base continuavano a mettere incinte le ragazze giapponesi, per poi abbandonarle a loro stesse, una volta partiti per altre destinazioni. Per le migliaia di donne degli anni passati, ormai, non poteva fare più niente, ma per quelle del suo tempo, invece, era tutta un’altra storia. Non appena la sua domanda di registrazione per l’esercizio della professione di avvocata straniera fu approvata, aprì uno studio legale, offrendo il suo aiuto – molto spesso gratuito – alle ragazze che si trovavano in quella situazione. La procedura era sempre la stessa: una volta rintracciato il padre o i parenti del padre, Annette alzava il telefono e minacciava l’uomo di portarlo in tribunale se non avesse cominciato ad occuparsi, almeno economicamente, del proprio figlio in Giappone. Tutti, però, rispondevano allo stesso modo: io vivo qui, lei e il bambino in Giappone, non ci sarà alcun processo, la legge degli Stati Uniti mi tutela, sono al sicuro. Non era proprio così, solo che Annette, ancora, non lo sapeva. Fu l’arroganza di quelle risposte a spingerla forsennatamente alla ricerca di un appiglio legale, per costringere i recalcitranti padri ad assumersi le proprie responsabilità. Frequentando le riunioni annuali di un’organizzazione statunitense che offriva formazione ai professionisti impegnati nella tutela dei minori, la Ncsea, Annette scoprì che si poteva esigere il mantenimento dei figli residenti fuori dai confini degli Stati Uniti, da parte dei padri assenti, a patto che il dipartimento per i minori dello stato in cui il padre risiedeva, accogliesse la richiesta. Grazie alla sua adesione alla Ncsea, Annette venne a conoscenza delle persone a capo di tutti i dipartimenti di ogni singolo stato. A quel punto, si trattava solo di informarle delle varie situazioni, di argomentare le richieste di mantenimento con tutto il trasporto e l’entusiasmo possibili, e il gioco era fatto.La legge americana è molto severa in tema di mantenimento di minori in caso di genitore assente. La somma è calcolata dal tribunale, e deve essere versata fino al compimento del 18° anno di età. Se il padre contravviene, in modo anche parziale, le conseguenze per lui sono molto dure, fin da subito. La prima ingiunzione di mantenimento per un figlio non residente su suolo statunitense, emanata da uno stato americano, e la prima, storica riscossione, del relativo assegno, risale al 1998. Fino ad oggi, Annette è riuscita ad ottenere ordinanze di pagamento da 35 stati su 50.
Grazie allo straordinario lavoro di Annette, molti di questi figli abbandonati hanno potuto studiare e trovare un loro posto dignitoso nel mondo, invece che crescere come reietti, nel disprezzo generale.
Questa donna caparbia ed estranea ai compromessi, si occupa di dare assistenza alle giovani madri giapponesi da ben 28 anni. Oggi non risiede più in Giappone, ma continua la sua battaglia attraverso un sito che è letteralmente sommerso di richieste, come a dire che, sebbene i tempi siano cambiati, e la possibilità di fare scelte consapevoli sia cresciuta a dismisura, la nostra tendenza ad essere irresponsabili è sempre la stessa.
Fonti: Nippon, Giappone (tradotto, stampato e distribuito in Italia da Internazionale