Bellissimo e ampio servizio fotografico di Gianni Viaggi
Partiamo da Seravezza in direzione Azzano dove arriviamo percorrendo una tortuosa strada di montagna molto ben tenuta. Azzano, le cui origini risalgono al primo millennio, è situato a quota 452 metri, in una bella conca formata dal monte Folgorito, dal monte Focoraccia, dal monte Altissimo e dalla cresta di Falcovaia che degrada verso il monte Cavallo, da non confondersi con quello ben più maestoso della provincia di Massa Carrara. Quando l’attività estrattiva soppiantò quella agricola, il paese arrivò ad avere fino ad ottocento abitanti che offrivano maestranze di prim’ordine per il duro lavoro di cava. Oggi il paese ha poco meno di quattrocento abitanti, ma si presenta ovunque ben conservato. Proseguiamo per un breve tratto in discesa, fino ad incontrare sulla destra, a quota 390 metri, un cartello che indica la via delle cave. Lasciata la macchina, cominciamo a percorrere una strada marmifera subito bloccata da un cancello sulla sinistra, nel quale, però, c’è un’apertura che permette il transito pedonale. Superata una grossa casa molto ben conservata, la ex casa Henraux in località Mortigliani a quota 521, proseguiamo incontrando sulla destra, in località La Polla una cabina ENEL ed una cappella votiva chiusa da una cancellata, attraverso la quale si intravede una Madonna traslata qui nel 1946 dalla Tacca Bianca.
Si avverte chiaramente il rumore della sorgente del torrente Serra alla Polla, alla quale si arriva da una marmifera, che si stacca sulla sinistra e sale poi fino al Passo della Greppia. Noi proseguiamo sulla destra lungo la marmifera che s’inerpica sul monte per diventare poco dopo una bella strada sterrata di facile percorribilità, fino ad incontrare un tratto scavato interamente nella roccia viva. Più avanti ecco una batteria di “poteaux” (pali) volgarmente chiamati pottò , piantati in una gettata di cemento per essere usati come rimandi per il filo elicoidale che, grazie a un misto di acqua e sabbia silicea portata dal lago di Massaciuccoli, serviva per tagliare le bancate di marmo. Poco dopo arriviamo al piazzale della cava Mossa, quota 851 metri, detta anche cava di Michelangelo, perché il grande artista, durante il suo soggiorno (1518 1521), oltre che presso le cave di Carrara, veniva qui a procurarsi i marmi idonei per i suoi capolavori. La cava è abbandonata, ma resta comunque la visione l’enorme della voragine inferta alla montagna.
Avanti ancora e dopo un paio d’ore da quando siamo partiti, arriviamo finalmente alla cava Macchietta a quota 1081: impressionante, semplicemente impressionante, lo squarcio che ci si presenta davanti attraverso il quale si accede ad una serie di profonde gallerie, formatesi man mano che ne veniva estratto il prezioso marmo, che s’addentrano nel cuore della montagna. Dopo aver esplorato la cava, stupiti da tanto spettacolo, ci rifocilliamo nel piazzale esterno con davanti la visione del Picco di Falcovaia anch’esso deturpato dall’estrazione. Vorremmo salire su una scala metallica che si trova sulla destra, per proseguire verso la cava Fitta e la Tacca Bianca, ma una densa nebbia che sale improvvisamente dal basso ci sconsiglia di andare oltre. Decidiamo quindi di ritornare, tentando comunque di salire sulla via d lizza che, poco sotto, porta alla cava dei Colonnoni, ma anche qui, dopo alcuni tornanti scavati nella roccia viva, ci rendiamo conto che a causa della nebbia sarebbe imprudente proseguire. Si sa che in montagna la prudenza non è mai troppa e che saper rinunciare alla meta, quando le condizioni lo sconsigliano, è solo buonsenso.
Sarà per un’altra volta. Ridiscendiamo quindi alla macchina e sulla via del ritorno ci soffermiamo in località La Cappella, dove possiamo ammirare la bella pieve romanica di San Martino situata su di un poggio che sovrasta la vallata, nella quale si aprono le cave di bardiglio. La pieve, la cui esistenza è attestata fin dal 721 è divenuta poi nel tempo il baricentro di tutti i paesi circostanti. Si tratta di una bella costruzione in marmo bardiglio, con una facciata al centro della quale si trova un rosone detto “l’occhio di Michelangelo” che la leggenda locale attribuisce al famoso genio, ma che, in effetti, fu scolpito da Donato Benti. Sulla facciata si notano appena accennate le tracce di un bel porticato distrutto nel periodo bellico. Sulla destra un imponente campanile torre si erge possente sopra i resti dell’Oratorio dell’Annunziata ormai in rovina.
La giornata è finita; rientriamo soddisfatti già pensando alla prossima escursione.