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Diari Toscani

Giornale di cultura, viaggi, enogastronomia e società

Passeggiata nel Chianti con Claudio Bonci: Barbischio

DiSilvia Ammavuta

Ago 5, 2023

quarta e ultima parte

Ritorniamo alla storia dei conti Guidi, signori di Barbischio: grazie allo storico Giovanni Villani sappiamo che furono cacciati dagli abitanti del posto. Claudio Bonci  mi mostra un libro e io stento a credere ai miei occhi: Cronica di Giovanni Villani, tomo III, Firenze Sansone Coen Tipografo-Editore, 1845 –  capitolo LIII :

“Di novità di Firenze, e come i Fiorentini tolsono a’ conti Guidi  certe terre di Valdarno e di Chianti,  e feciono castel santa Maria… E all’entrata di Ottobre si rubellò al conte Guido che fu del conte Ugo da Battifolle, il castello del Terraio, e tutti i borghi di Ganghereto, e le Conie, e le Cave, e Barbischio, e Moncione del Viscovado in Chianti, per male reggimento che ’l giovane facea a’ suoi fedeli d’opera di femmine, e ancora per sodducimento e conforto di certi grandi popolari di Firenze reggenti e nemici de’conti.”

“Quindi tornarono i Firidolfi Ricasoli – mi spiega Claudio Bonci – ma, nel 1348, i Guidi si insediarono di nuovo. All’epoca il governatore di Firenze era Gualtieri VI duca di Atene, straniero per volontà dei fiorentini i quali, stremati dalle eterne lotte fra Guelfi e Ghibellini e da una forte crisi economica, avevano deciso di nominare un podestà, che non avesse legami con alcuna fazione. Sebbene il suo incarico fosse a scadenza, i ceti bassi fiorentini, – entusiasti della sua politica per risanare il debito pubblico che andava a pescare nelle tasche dei ricchi – fecero pressione affinché divenisse signore a vita. Dopo solo dieci mesi, però, fu costretto a ritirarsi perché gli fu fatto capire, senza mezzi termini, che la sua politica stava irritando, e non poco, i ceti sociali più abbienti. Per fare ciò fu chiesto l’aiuto di un esponente della famiglia Guidi, che aiutò i ricchi a cacciare il duca dalla città. Firenze, per sdebitarsi, gli ridette il castello di Barbischio”.

Un gran via vai di famiglie! Quando Siena, quando Firenze, quando Arezzo. “Sì, ma non è mica finita qui!  – continua Claudio – Dopo la congiura dei Pazzi, il 26 aprile del 1478, in cui morì Giuliano dei Medici, a Firenze ci fu un grande sconquasso. Siena, ghibellina, chiese a Ferdinando I, con il quale era alleata, di aiutarla a riconquistare le terre chiantigiane, e grazie anche al subbuglio fiorentino, ci fu l’invasione senese nel territorio chiantigiano. Quindi qui abbiamo avuto anche le truppe napoletane: gli abitanti del posto fuggirono, come avviene in ogni guerra, e poi tornarono. E, infine, l’ultima grande invasione, l’assedio fiorentino per eccellenza nel 1530. L’imperatore Carlo V, amico dei Medici, li appoggiò con l’intenzione di riportarli al potere, facendo cadere la Repubblica, e così avvenne, purtroppo o per fortuna, – dipende dai punti di vista. Un personaggio importante del  Chianti fu Francesco Ferrucci, nato a Firenze, fu podestà di Radda, un repubblicano che dava militarmente una mano alla Repubblica Fiorentina, cadde combattendo nell’agosto del 1530, a Gavinana, nel pistoiese, e quella fu la fine anche dell’ultimo baluardo della Repubblica Fiorentina. La città tornò sotto il dominio dei Medici, in quanto i fiorentini decisero di patteggiare con Carlo V anziché cedere al nemico, essendo questo pronto a invadere Firenze e distruggerla. Prima di arrivare alle porte della città, l’esercito passò per il Chianti, per il Valdarno e per il Mugello. Montegrossi, fu distrutto completamente: il rudere che vediamo è quello che è rimasto a seguito del passaggio dell’esercito, caddero quasi tutti i castelli del circondario, compreso Barbischio poi restaurati e ristrutturati tranne Montegrossi ”.

Forse avremmo dovuto iniziare sul perché Barbischio ha questo nome, ma si sa, quando si conversa le curiosità e le domande seguono un filo logico tutto loro, e quindi: tu sai l’origine del nome? “L’origine del nome di Barbischio ancora non è stata accertata, gli studi sulla toponomastica sono sempre complicati, molto probabile che derivi da un toponimo barbaro, la cosa interessante è che la collina sopra a Barbischio si chiama tutt’oggi Poggio dei Barbari, ed è sul crinale. Fra Barbischio e Poggio dei Barbari c’è Poggio Sala: sala è una parola longobarda che indicava l’abitazione del signore longobardo, quindi abbiamo: Barbischio, Poggio dei Barbari e Poggio Sala, interessante, no? Molti dei nostri toponimi hanno avuto un’influenza tedesca perché quando sono arrivati i longobardi, pur non avendo modificato tanto le parole in latino, hanno comunque introdotto parole della loro lingua e di conseguenza i toponimi si confondono con la lingua germanica, questo rende più difficile risalire all’origine dei nomi. Sebbene non si sappia niente di certo le stesse supposizioni sono affascinanti. Alessandro Barbero, in una trasmissione, parlava proprio di questo, di come oggi spesso utilizziamo nel nostro linguaggio comune termini che hanno origine longobarda e menzionava proprio la parola sala, la quale deriva dal nome di proprietà della casa: proprietà del signore”.

E qui la domanda è di prassi: perché talvolta si trova scritto Barbischio e tal’altra Barbistio?

“Nelle mappe medievali della Badia a Coltibuono, dove ci sono i documenti storici del  1200 e del 1300, il castellare di Barbischio veniva scritto e menzionato come Barbischio, cioè come lo chiamiamo oggi, con “chio” finale. Nel ‘500, invece veniva chiamato Barbistio, “tio”. Questo è un toscanicismo a tutti gli effetti: ancora oggi le persone anziane pronunciano “tio” al posto di “schio”.Schiaffo, stiaffo; fischio, fistio; maschio, mastio; quindi fra il ‘400 e il ‘500 c’è  stata una mutazione. Se guardi la lapide ai caduti della prima e seconda guerra mondiale, sul muro della chiesa, c’è scritto Barbistio. Fino al ‘900 la pronuncia è rimasta quella, per tornare, in epoca moderna, al passato,  cioè a Barbischio. Perfino nel 1050 era Barbischio. Se non vado errato la desinenza schio proviene dal longobardo e significa bosco”.

Vincenzo, il cuoco, si affaccia alla porta con un piatto in mano e due forchette. Il silenzio è d’obbligo, passato e presente si materializzano in un peposo fumante. Si unisce a noi per battere i calici di vino e con l’ultimo sorso ci salutiamo. Mentre mi alzo dalla sedia Claudio mi indica un punto verso la valle. “Sai che Galileo Galilei da ragazzo ha rischiato di morire qui nel Chianti? A villa Torricella, rimane fra il castello di Brolio e…”. Ma questa storia la racconteremo nella nostra prossima passeggiata.