Victorija, di mestiere, farebbe la scrittrice. In qualche modo la scrittura è presente anche in quello che fa attualmente, ma più che altro Victorija, adesso, passa il tempo ad ascoltare. Nel suo paese è piuttosto conosciuta. Nel 2015 è uscito il suo primo libro, e nel 2021 il secondo, un libro per bambini, entrambi non ancora editi in Italia. È nata a Leopoli, nel 1986. A quattordici anni si è trasferita in Canada, per poi fare ritorno in patria qualche anno più tardi. Il giorno dopo l’ingresso dei primi soldati russi in Ucraina, lei ha cominciato a prestare servizio come volontaria per le organizzazioni umanitarie della sua città, ospitando moltissime persone in fuga dalle zone di guerra. Ma questo non le basta, Viktorija sente che non è abbastanza. Anche la possibilità di far sentire la voce del paese attraverso la scrittura o interventi in consessi letterari o di dibattito pubblico, non attira il suo interesse. La circostanza che le fa capire come e dove incanalare la sue energie e il suo talento, gliela fornisce la cronaca. Voci di crimini efferati su soldati e civili, soprattutto civili, perpetrati dalle truppe russe, cominciano a circolare da subito. Viktorija capisce immediatamente che quello sarà il suo contributo al paese: diventare ricercatrice specializzata in crimini di guerra. Si rivolge ad un’organizzazione per la difesa dei diritti umani e inizia con un corso teorico di due giorni, a cui fa seguito una settimana sul campo in affiancamento a personale più esperto. Le sue serate e le sue notti si consumano alla fievole luce di lampadina ad incandescenza, studiando le convenzioni di Ginevra che stabiliscono i confini legali che gli eserciti devono rispettare nei confronti di tutte le persone in contesti bellici) e lo statuto di Roma, che è il trattato fondante della Corte Penale Internazionale. È così che è diventata una “investigatrice” di crimini di guerra. Alcuni degli episodi più raccapriccianti hanno avuto vasta eco sui media, e di solito sono seguiti direttamente dalle procure locali che poi trasmettono i risultati agli organi internazionali competenti. Ma c’è tutto un sottobosco di orrori che non guadagnano gli onori della cronaca, ma che devono essere perseguiti comunque. Sono più di 80mila le denunce di crimini di guerra raccolte fino ad oggi dalla procura centrale di Kiev; un numero impossibile da gestire con le sole forze a disposizione. Ecco perché, in questi casi, ci si affida alle organizzazioni per la tutela dei diritti umani, affinché ricercatori formati e con comprovate doti di empatia, vadano sul campo a raccogliere le testimonianze di chi ha visto o è stato protagonista di crimini di guerra. Victorija è uno di questi ricercatori. Il suo compito è fare domande, ascoltare e prendere nota. Il più delle volte non serve neanche chiedere: quasi tutti quelli che sono sopravvissuti all’occupazione russa sono felici di raccontare la propria storia, perché sperano che questo porterà loro giustizia. Le missioni hanno durata settimanale e, in questo lasso di tempo, Victorija riesce a parlare con due, tre testimoni al giorno. Ogni storia è, nel suo orrore, uguale e diversa. C’è tutto il campionario tipico di ogni guerra: sparizioni, esecuzioni, torture, stupri. A volte servono ore per registrare un’intervista, altre volte l’intervista è breve ma porta ad altri indizi e alla scoperta di un crimine non segnalato. C’è chi parla per rabbia, chi per il bisogno che una voce amica stia ad ascoltare la sua storia, chi vuole solo piangere i suoi morti, ma anche chi sceglie di tacere o, in alcuni casi, di parlare o poi tirarsi indietro e non firmare la deposizione. Victorija racconta che quando succede questo, per lei è una sorta di sconfitta, in quanto si giudica colpevole di non essere riuscita ad entrare in contatto profondo con il testimone, per liberarsi delle sue paure ed aiutarlo ad ottenere giustizia. È necessario avere molta sensibilità e capire subito chi hai difronte. Al corso ha imparato qualche piccolo “trucco” per toccare le corde giuste e mettere il testimone in una condizione psicologica favorevole alla deposizione. Per esempio, quando ci si appresta ad intervistare una persona che ha perso un figlio o un fratello, è bene informarsi sugli altri componenti della famiglia che sono sopravvissuti e cominciare a chiedere notizie su di loro. Esattamente come fa lo psicoterapeuta con il suo paziente, l’intervistatore deve fare in modo che il testimone esca dal colloquio con più speranza e sicurezza. È un’attività spaventosamente difficile, che a volte ti riserva momenti sconvolgenti, in grado di cambiare per sempre la mentalità di chi li vive e li deve raccontare, nel modo più oggettivo e distaccato possibile.
Victorija racconta che, da quando ha iniziato questa attività, fa fatica a non pensare di evitare i prati, per paura di schiacciare una mina antiuomo, anche se si trova in un sicuro, ben tenuto e silenzioso giardino pubblico inglese, o tedesco. È anche grazie al suo lavoro, che su Putin grava un mandato d’arresto internazionale per crimini di guerra. Forse non verrà mai giudicato per questo. Ma è comunque un passo in avanti.
P.S. Victorjia è morta per le ferite riportate durante l’attacco missilistico russo del 27 giugno, che ha colpito in pieno un ristorante di Kramatorsk, nell’Ucraina orientale. Al momento della stesura dell’articolo, la notizia non era ancora nota.
Fonte: Internazionale