Il consiglio comunale di Firenze non è rimasto indifferente alle repressioni violente in Iran e, su istanza del movimento “Donna Vita Libertà”, presente e attivo in città, ha deciso di contribuire a mantenere alta l’attenzione sulla violazione dei diritti umani in atto in quel paese, conferendo al rapper iraniano Toomaj Salehi la cittadinanza onoraria, che sarà ritirata in sua vece dalla cugina, Shabnam Khosravi. “Toomaj Salehi ha rappato su questioni politiche e sociali che le autorità iraniane hanno cercato a lungo di nascondere” ha detto il direttore esecutivo di CHRI (Centro per i Diritti Umani in Iran), Hadi Ghaemi. Il rapper è stato arrestato dopo aver partecipato alle manifestazioni in seguito alla morte di Mahsa Amini e dopo aver dichiarato in un’intervista alla Canadian Broadcasting Corporation che il regime è “a mafia that is ready to kill the entire nation… in order to keep its power, money and weapons”. Da ottobre è detenuto in isolamento e rischia la pena di morte. “Ha urgente bisogno di una forte e coordinata pressione internazionale per la sua libertà” ha aggiunto Ghaemi.
Ma perché sono esplose le proteste in tutto il paese? Facciamo un passo indietro. Il 16 settembre scorso una ragazza di ventidue anni, Mahsa Amini, è stata arrestata dalla polizia morale iraniana per non aver indossato correttamente il velo. A causa di alcune ciocche di capelli che fuoriuscivano dal velo, è stata picchiata, è andata in coma ed è morta. Questo dicono le testimonianze e gli esami medici, anche se le autorità parlano di infarto. Le proteste sono esplose in tutto l’Iran e si sono concentrate anche nelle sedi universitarie. Le ragazze sono attualmente affiancate anche dagli uomini, giovani stanchi del clima di rigidità e ingiustizia sociale che si protrae da moltissimi anni. Tuttavia, la repressione da parte del regime è stata brutale ed ha causato almeno 154 vittime di cui nove bambini, secondo le stime di Iran Human Rights. Vogliamo ricordare anche Hadis Najafi, la ragazza brutalmente uccisa per essersi tolta l’hijab e aver mostrato la chioma durante una manifestazione. Il video che la ritrae nell’atto di legarsi i capelli biondi prima di gettarsi tra la folla, ha fatto il giro del mondo. All’estero molte donne hanno seguito l’esempio delle ragazze iraniane, tagliandosi pubblicamente una o più ciocche di capelli in segno di denuncia e svariate sono state le reazioni di appoggio alla causa del popolo iraniano, moti di protesta, cortei di donne. Grande è il senso di impotenza, tuttavia. Anche è giunta la notizia di molteplici tentativi di avvelenamento di studentesse: 5000 gli intossicati con il gas in 230 scuole, in 25 province della Repubblica islamica per mano di gruppi religiosi islamici. Le donne in Iran sono sempre state condizionate dal potere, sia che fosse più illuminato e modernizzante, sia che fosse repressivo e illiberale. Ricordiamo come lo scià Reza Shah Pahlavi, nel 1936, dette il via a un processo di laicizzazione e modernizzazione, aprendo le università alle donne e proibendo con un decreto l’uso del chador e del hijab, anche a chi magari voleva portarli. La stagione delle riforme fiorì soprattutto con Mohammad Reza Pahlavi che nel 1941 subentrò al padre. Si parlò di “rivoluzione bianca“: una serie di riforme attuate a partire dal 1963, non solo in campo agrario o industriale, ma anche nella sfera sociale. Suffragio femminile, diritto al divorzio, incentivo all’alfabetizzazione, limitazione della poligamia, occidentalizzazione dei costumi. Le giovani iraniane degli anni settanta avevano acconciature alla moda, portavano le gonne corte. Probabilmente si trattò di interventi un po’ forzati, non al passo con la maturazione della popolazione, forse un’operazione di facciata. Fatto sta che si evidenziarono squilibri sociali e chi si opponeva allo scià fu condannato a morte. Grande oppositore del monarca fu Khomeini che, esiliato all’estero, esercitò la sua influenza sulla popolazione con messaggi registrati, tanto da innescare la “rivoluzione islamica” nel 1978. Nel 1979 la monarchia fu abbattuta a favore della repubblica islamica. Khomeini, grande “ayatollah”, capo spirituale e politico, disconobbe il ruolo che le donne avevano giocato nella riuscita della rivoluzione e annunciò che avrebbero dovuto indossare il velo per lavorare o uscire di casa. A partire dagli anni ottanta apportò tanti cambiamenti: abolì l’aborto, il divorzio (che rimase però solo su decisione dell’uomo), la poligamia fu permessa con un numero di quattro mogli, più le mogli temporanee, l’adulterio e la bestemmia furono punibili con la pena di morte, l’età minima per il matrimonio fu abbassata a nove anni, legalizzando in un certo senso la pedofilia. In Iran una donna non può cantare da sola, la sua testimonianza in tribunale vale la metà di quella di un uomo. Le donne ereditano sempre la metà dei loro parenti maschi. Siccome Khomeini non si fidava dell’esercito, ancora troppo legato allo scià, istituì Il “Corpo dei Guardiani della rivoluzione islamica”, i “pasdaran”, indottrinati e fedelissimi: uno zoccolo duro che ha avuto un forte ruolo nella guerra Iran-Iraq, ma anche nella repressione del movimento di protesta popolare scoppiato nel 2009. Sono i pasdaran i depositari del potere della Repubblica Islamica. I miliziani khomenisti controllano tutti i settori dell’economia del paese e non vogliono mollare la presa.
Donna Vita Libertà Firenze Associazione Culturale