Il grande Paolo Villaggio, di cui ricorre l’anniversario della morte la prossima settimana, sosteneva che “Finire col proprio nome sui cartelli delle vie è il modo migliore per essere dimenticati“. Non so quantificarne lo spessore, ma un fondo di verità c’è. Ed anche Carrara può dire la sua a questo riguardo. Quante volte avete detto: “Ci vediamo in via X”, senza dare il minimo peso a chi le dava il nome? Molto spesso. Perfino chi, in quella stessa via ci abita, non si è mai minimamente soffermato a considerare colui che la identifica. Un destino amaro che accomuna, a titolo di esempio, un Carlo Alberto Sarteschi, illustre avvocato in Milano; un Giorgio Ferro, partigiano, che mi sta particolarmente a cuore perchè aveva il nome di battaglia “Tenente Marco“; un Alfredo Ceci, benefattore e fondatore di un ospizio/spedale; un Beato Tenderini, noto come “beato” anche se, in realtà, non fu mai beatificato. E potrei citarvene molti, molti altri.
Come ho colpevolmente fatto io per primo, per parecchi anni, avrete visto quei nomi migliaia di volte, ma dubito che li abbiate mai realmente guardati.
E pensate che, nella foga di lasciar memoria di sè, c’è chi ha fatto addirittura meglio di loro, facendo imprimere il suo, di nome, perfino sulla facciata maggiormente impattante del nostro duomo, quella contrassegnata dallo spettacolare rosone. Bel tentativo, caro “VALERIVS PONZANELLIVS”, ma mi sento di poter opinare che nessuno, e dico nessuno, si sia mai accorto di te. Io stesso ti ho notato per puro caso, ma, credi a me, il semplice fatto che tu sia stato la scintilla che mi ha ispirato questa mia ennesima boiata, ha fatto sì che tu, in qualche modo, abbia continuato ad esistere.
In un certo senso, se ci pensate, siamo tutti fatti di memorie. La nostra personalità viene formata partendo dalle memorie, la nostra vita è organizzata intorno a memorie, la nostra cultura viene eretta su quelle fondamenta di memorie comuni, che noi chiamiamo storia e scienza. Ed è una coincidenza significativa, che il nome che compare sulla parete marmorea della nostra cattedrale, rechi la data del 1651. Proprio in quell’anno veniva infatti pubblicato “Il Leviatano” di Hobbes. Opera che, al di là dei contenuti, recava sulla copertina l’immagine di un gigante (rappresentante la comunità), costituito però, dalla testa ai piedi, da tanti, piccolissimi uomini. Che quegli uomini siano presenti e carnosi, o passati e “cartellati”, poco importa: ognuno di essi contribuisce a formare Carrara, quindi, qualora lo vogliate, cominciate ad accorgervi di loro😄.