• Ven. Nov 22nd, 2024

Diari Toscani

Giornale di cultura, viaggi, enogastronomia e società

Passeggiando per Carrara può capitare, come stavolta, di inciampare in una scultura, o installazione, o punto di riferimento, o come volete chiamarlo voi, che neanche la rete internettiana considera. Parlo dell’opera posta nel piccolo spiazzo tra Via Ceci ed  Vicolo Castelfidardo.

Una foca a Carrara? Cosa c’entra una foca a Carrara? Beh, più di quanto pensiate, e gli insegnamenti che possiamo trarne sono numerosi ed importantissimi.

Tanto per cominciare, il simpatico mammifero è la copia in marmo, sia di un gesso conservato presso il locale istituto Tacca, sia dell’originale foca, esposta, pensate un po’, presso il Metropolitan Museum di New York, quest’ultima, significativamente, realizzata in marmo nero, a sancire ancor di più il messaggio di fratellanza universale che sottende a tutta la faccenda. Se ci pensate, un messaggio più che lampante: una foca nera (l’originale che si trova negli USA), sorella di una foca bianca (la copia carrarina), entrambe -nonostante la loro solidità marmorea- sorelle di una fragile foca di gesso (quella del “Tacca”). E, come se non bastasse, la mente che sta dietro a tutto questo è quella dello scultore Attilio Piccirilli (1866-1945), artista nativo non di Carrara, ma della vicina Massa. C’è di più: sappiate, infatti, che fu proprio lo stesso Piccirilli a realizzare la celeberrima scultura che ritrae il presidente americano Abramo Lincoln, seduto in atteggiamento meditabondo, che si trova a Washington D.C. e che avrete sicuramente visto centinaia di volte nell’arco della vita. Abramo Lincoln, capito? Il primo presidente USA a battersi fattivamente per l’abolizione della schiavitù, riuscendo pure ad ottenere dei risultanti concreti, per quanto parziali.

Ci voleva dunque una foca, per farci capire quanto siano profondamente sciocchi ed inutili i vari campanilismi, intolleranze e razzismi che ci portiamo appresso da sempre? Se sì, ben venga la foca, anche se all’apparenza ha poco a che fare con la nostra realtà. O forse proprio per questo. Il cosiddetto “diverso” fa paura? A dirla tutta, le foche sono considerate gli animali più sospettosi di tutto l’Artico. Per cercare di avvicinarle ed arrivare a tiro di arpione, gli esquimesi ne imitano i movimenti, sperando di essere scambiati per una di loro. Al tempo stesso, tuttavia, quando i missionari cristiani giunsero nell’artico, dovettero arrovellarsi per far comprendere alle popolazioni locali la  metafora dell’«agnello di Dio».  Non avendo mai visto un agnello, questa metafora era, infatti, per gli autoctoni, priva di significato. Allora i missionari sostituirono l’agnello con il kotik, termine che in eschimese significa «cucciolo di foca». Infatti, come osserva il medico Wilfred Grenfell, «questo animale, dalla natura gentile e indifesa e dagli occhi innocenti e commoventi, che riposa con il suo mantello perfettamente candido in una culla di ghiaccio, è probabilmente il miglior sostituto che la natura possa offrire». Alla luce di tutto ciò, che sia di gesso o di marmo, che sia nera o sia bianca, che sia carrarina o massese o finanche americana, ora e sempre W LA FOCA😄