parte seconda
Erano oltre le 23 (ora di Amsterdam): avevamo già oltrepassato l’Europa e le mie palpebre cominciavano ad abbassarsi senza che io me ne accorgessi, ma Philip continuava il suo triste racconto sul Rwanda e le sue prospettive.
“La stabilità, che oggi tutti auspichiamo, ha un prezzo. Paul Kagame è presidente dal 2000, ma di fatto governa dal 1994 e lo fa con gli strumenti di un regime autoritario, anche se molti lo considerano sì, un dittatore, ma diverso dagli altri africani, “un dittatore benefico”, persino attento alla parità di genere. Non sono di questo avviso i suoi oppositori perseguitati. A suo favore, tuttavia, va il fatto che a lui, alle sue scelte di governo si deve, oltre al lungo periodo di stabilità, l’impegno del paese in un percorso di de-tribalizzazione volto a mettere al sicuro le generazioni future”
A quel punto, con le mie ultime forze, prima di cadere tra le braccia di Morfeo, gli domandai se era vero che, negli ultimi anni, il conflitto tra Hutu e Tutsi si era delocalizzato in Congo. Mi rispose che, tra i due milioni di rwandesi fuggiti nell’est del Congo nel 1994, c’erano migliaia di soldati governativi e di combattenti che non avevano rinunciato al loro progetto genocida. Nel 2000 hanno dato vita a un gruppo armato chiamato Forze democratiche per la liberazione del Rwanda, tuttora attivo e militante, forte di molte migliaia di unità. Sono invece Tutsi i combattenti M23 che dallo scorso giugno hanno ripreso le armi, anch’essi attivi nelle regioni orientali del Congo confinanti con il Rwanda e rafforzati dal sostegno del governo ruandese che, sebbene smentisca, sembra abbia inviato non solo armi, ma anche militari oltreconfine. Contro di loro, al fianco dei soldati congolesi, Kenya, Angola, Sudan del Sud e altri stati africani hanno già inviato truppe. Angola e Kenya hanno, inoltre, assunto il ruolo di mediatori, per il momento senza successo. Il Rwanda denuncia un nuovo sterminio di Tutsi in territorio congolese, ma, nel frattempo, gli M23 attaccano villaggi, fanno razzia bestiame e beni, uccidono civili inermi. Si è forse a un passo da una nuova guerra panafricana, ancora una volta combattuta in Congo come le due precedenti e, ancora una volta, il Rwanda è tra i protagonisti principali.
La storia, al momento, ci dice che il presidente ha fatto della stabilità istituzionale e della promozione degli investimenti internazionali i suoi obiettivi primari, perseguendo con successo la lotta alla corruzione, lo snellimento delle regolamentazioni economiche e la tutela della proprietà degli investitori. Negli ultimi tempi si sono, tuttavia, intensificate le voci di dissenso nel paese, soprattutto in seguito ad una riforma costituzionale approvata nel 2015 (con un referendum approvato dal 98 per cento dei ruandesi) che, in teoria, permetterebbe a Kagame di governare fino al 2034. Nonostante l’esistenza di limiti tangibili nella libertà di stampa e per le organizzazioni di società civile, la posizione del Ruanda nelle classifiche mondiali della libertà di stampa è migliorata, facendo guadagnare al paese 20 posizioni nell’ultimo anno (dal 156esimo al 136esimo del 2022). Gli indici di corruzione sono tra i minimi nell’Africa sub-sahariana: 52esimo posto nella classifica riguardante l’indice di corruzione percepito.