Giovanni Boccaccio venne alla luce a Certaldo o forse a Parigi e già questo è un indizio per comprendere l’esistenza del poeta nato nel 1313. Suo padre era un mercante, Boccaccio di Chelino, la madre era un amore illegittimo del genitore. Chi aveva inclinazioni letterarie all’epoca non veniva visto di buon grado da coloro che pensavano solo agli affari. Giovanni fu mandato a Napoli per impratichirsi nel commercio, presso la casa dei Bardi, i banchieri con cui il padre era in contatto. Il padre gli impose anche di studiare diritto canonico che avrebbe potuto dare un futuro a Giovanni che non gradì affatto l’imposizione. Il soggiorno a Napoli si dimostrò in ogni caso favorevole per le inclinazioni del giovane Boccaccio. I letterati alla corte di Roberto d’Angiò aiutarono il ragazzo a formarsi in maniera autodidatta. In quel periodo sviluppò l’amore per Maria, la figlia naturale di re Roberto, la quale lo corrispose e poi lo tradì. L’esperienza traumatica fu propedeutica per il personaggio di Fiammetta e la sua Elegia. Nel 1340 il fallimento dei banchieri Bardi fece naufragare le finanze di Boccaccio di Chelino che richiamò suo figlio a Firenze per salvare una situazione già drammatica. Giovanni non era portato per gli affari e gli interessi per gli studi classici complicarono ulteriormente la condizione economica della famiglia. Giovanni Boccaccio si rifugiò nella poesia e compose: il Ninfale d’ Ameto e l’Elegia della Madonna Fiammetta, il racconto di un amore profondamente impossibile, quindi perfetto. Nel 1347 si recò a Forlì e l’anno successivo per sfuggire alla peste, tornò a Napoli passando per Roma, dove prese contatti con il Vaticano. Nel 1349 iniziò la stesura del Decameron. Il poeta decise di narrare in novelle, dieci giorni, come la parola derivante dal greco suggeriva, trascorsi da donne e uomini all’interno di una casa mentre si raccontano storie triviali e sublimi, in pratica il grande fratello senza le telecamere. Giovanni Boccaccio ebbe l’incarico da parte dei fiorentini di ambasciatore della città. Si recò presso i signori di Romagna e poi ad Avignone dal papa Innocenzo VI che permise un soggiorno a Roma del poeta. Nel 1350 incontrò Francesco Petrarca che diede alla scrittura di Boccaccio la connotazione umanistica, più dotta che fantasiosa. Nel 1355 tornò a Firenze e dopo aver terminato il Decameron, scrisse il Corbaccio. Si tratta di un’opera decisamente più filosofica, umanista e narra il dialogo con uno spirito guida che mette in guardia dalle donne, dai loro artefici per mettere in difficoltà e nel peccato gli uomini. Ci si può anche leggere la delusione bruciante con la Fiammetta idealizzata da Boccaccio, quel vorrei ma non posso che lascia l’amaro in bocca. Alla fine degli anni cinquanta del 1300, insieme a Leonzio Pilato si impegnò nella traduzione in latino dei poemi omerici, la rinascita degli studi greci iniziò con l’idea di Boccaccio. Nel 1362 entrò in uno stato di profonda riflessione, di vita austera in attesa della morte, oggi si chiamerebbe depressione. Il suo psicologo o forse psichiatra, fu Petrarca che lo convinse a tornare alla vita e non distruggere le sue opere come era intenzione di Boccaccio. Il ricordo dei tempi felici a Napoli, di quella gioventù, di quell’amore così meravigliosamente intenso, lo persuasero ad intraprendere il viaggio di ritorno al passato. L’aria di Napoli, la sua gente, lo rinfrancarono e comprese che forse il viaggio era l’unica terapia per quella forma depressiva acuta. Tornò ad Avignone e nuovamente a Roma dal nuovo papa Urbano V. Boccaccio tornò a Certaldo sempre con il desiderio di ripartire e dimenticare l’angustia della sua condizione, quella continua comparazione con Dante Alighieri dalla quale non riusciva a liberarsi. Nel luglio del 1374 morì Francesco Petrarca il suo miglior amico, quello specchio dell’anima che gli aveva donato quel poco di equilibrio. Giovanni Boccaccio cadde in uno stato di prostrazione e si ritirò a Certaldo senza reagire senza l’apporto del Petrarca. Morì nel dicembre del 1375 in completa solitudine e con il rammarico di una vita spesa senza l’amore che era riuscito solo a narrare magnificamente nelle sue opere. Giovanni Boccaccio fu sepolto nella chiesa dei Santissimi Michele e Iacopo da Certaldo. Per aggiungere mistero e in qualche modo fascino all’esistenza di Giovanni Boccaccio, le sue ossa andarono disperse nel 1783, forse vagano alla ricerca di quella felicità mai provata in vita. Restano i suoi racconti, soprattutto il Decameron, che fu propedeutico per i Racconti di Canterbury di Goeffrey Chaucer e furono portati sul grande schermo del cinema da Pier Paolo Pasolini, un poeta del novecento.