• Sab. Nov 23rd, 2024

Diari Toscani

Giornale di cultura, viaggi, enogastronomia e società

OLTRE|FRONTIERA

Destinazione: Tokyo, Giappone

Coordinate: 35°41′23″N 139°41′32″E

Distanza da Firenze: 9.752 km

Dovevo nascere in Giappone. Lì, avrei di certo ritrovato la penna magnetica per tablet, che ho perso una settimana fa. L’avevo acquistata da poco. La confezione era piccola ed entrava comodamente nell’ampia tasca del giubbotto, quindi niente bustina, grazie. Poco dopo sono andato a vedere la partita in un pub dove, probabilmente a causa della concitazione e il continuo tirare fuori il cellulare, mi deve essere caduta sul pavimento. Tornato a casa, in tasca non avevo più niente, e al pub nessuno sapeva nulla. Ora, se il pub in questione fosse stato un qualsiasi locale di Tokyo, anche il più malfamato, è sicuro che la mia penna sarebbe stata portata al grande deposito degli oggetti smarriti della capitale giapponese, nel quartiere di Bunkyō: il luogo magico dove le persone distratte trovano conforto e redenzione.

La questione degli oggetti smarriti è un problema, in Giappone. Ma non tanto per il fenomeno in sé – noi sbadati siamo una grande tribù planetaria, che travalica qualunque appartenenza – quanto per la cultura stessa di questo paese, in cui il rispetto per la persona è un vincolo quasi sacrale: se un giapponese trova un portafoglio pieno di soldi su un treno della metropolitana di Tokyo,  è rarissimo che non lo consegni all’apposito ufficio della stazione – le più grandi ne hanno tutte uno – oppure che non si prenda la briga di attraversare la città per raggiungere quello centrale di Bunkyō.  Un solo dato: l’83 per cento dei telefonini e il 65 per cento dei portafogli smarriti a Tokyo ritornano nelle mani dei proprietari, in molti casi entro il termine della giornata. Dall’altra parte del mondo, a New York, solo 10 persone su 100 rientrano in possesso di un oggetto smarrito. Da aprile è diventata operativa, a livello nazionale, una banca dati on-line degli oggetti smarriti: inserendo il tipo di oggetto, il giorno, e il probabile luogo dove si pensa che un oggetto sia stato dimenticato, in pochi istanti il sistema dirà se lo stesso è stato ritrovato e dove esso si trovi. Bella forza, direte, siamo in Giappone! Se non sono all’avanguardia loro…In realtà, il paese è sorprendentemente indietro nella digitalizzazione delle procedure amministrative statali, persino rispetto all’Italia. Un ritardo dovuto, probabilmente, alla suprema importanza che rivestono le tradizioni, e al rispetto incondizionato per esse. Trovare un oggetto smarrito e restituirlo è un dovere dottrinale, prima ancora che civico. Non farlo è un comportamento disonorevole. Forse è proprio il rispetto verso questo assunto comportamentale che ha portato allo sviluppo della banca dati, e anche alla stupefacente organizzazione capillare e maniacale degli uffici come quello di Bunkyō. Qui regna un’atmosfera positiva, nel senso che non dà affatto l’idea di un luogo dell’abbandono e dell’oblio, bensì della speranza e della rinascita: e come se gli oggetti sapessero che prima o poi faranno ritorno a casa, pronti a perdonare chi li ha dimenticati. Anche l’atto di restituzione di un oggetto smarrito – di per sé già ampiamente glorificante, per l’iniezione di autostima e rettitudine che fornisce a chi lo compie – assume i contorni di una missione salvifica che andrà a buon fine: chi consegna è conscio che l’oggetto, nella stragrande maggioranza dei casi, ritroverà il suo padrone. Quando si porta qualcosa lì, il personale fa riempire un modulo altamente descrittivo in cui, oltre a lasciare le proprie generalità, si specifica luogo, data e ora del ritrovamento, lasciando una copia della deposizione al restituente. Se entro tre mesi l’oggetto non viene reclamato, i funzionari avvertono chi l’ha trovato, il quale – a quel punto – può decidere se tenerlo o meno. Nel secondo caso, l’oggetto finisce in qualche negozio dell’usato. Solo gli ombrelli, però, rischiano questa triste fine. Oggettivamente il loro numero è enorme: se ne contano a decine di migliaia e rappresentano in media l’otto per cento di ciò che viene smarrito. Gli altri oggetti, invece, sono disposti ordinatamente sugli scaffali: alcuni sono visibili, altri racchiusi, misteriosamente, in sacchetti di tela. Il metodo di “archiviazione” si basa sulla tipologia, ovviamente, ma anche sul posto dove sono stati ritrovati.  Cosicché, per assurdo, se uno si presenta allo sportello, affermando che ha perso qualcosa su una certa linea della metropolitana, ma non ricorda esattamente cosa, guardando tutti gli oggetti ritrovati sul luogo, ha fortissime probabilità di ritrovarlo. Geniale. La restituzione, e non poteva essere diversamente, è una cosa altrettanto seria. Sei funzionari che parlano inglese attendono a questo importante compito. Ad una persona che si presenta dicendo di aver smarrito qualcosa, viene chiesto di riempire una scheda molto articolata; dopodiché uno di loro torna e sottopone il richiedente ad una sorta di interrogatorio, per essere certi che sia realmente il legittimo proprietario. Non solo. Se l’oggetto non è presente, l’ufficio avvierà una ricerca sul perché quest’ultimo non sia effettivamente presente, come se il ritrovamento fosse un dovere istituzionale, e la mancata restituzione una colpa delle autorità, un’inefficienza cui dover porre rimedio. Il servizio taxi di Tokyo va persino oltre. Se qualcosa viene perduto in una vettura, è sufficiente chiamare il numero apposito sulla ricevuta: una solerte operatrice metterà in contatto il tassista con il cliente sbadato e se l’oggetto è stato effettivamente rinvenuto, il tassista lo consegnerà a domicilio. Su questa cosa sbalorditiva, posso riportare una testimonianza diretta: una coppia di amici, durante un tour del Giappone, aveva lasciato le chiavi della  macchina parcheggiata all’aeroporto di Firenze – da dove erano partiti – in una stanza d’hotel, senza tuttavia accorgersi del fatto. Ebbene, non solo la struttura li ha avvertiti del ritrovamento, ma ha organizzato il trasferimento delle chiavi presso la struttura ospitante dove avrebbero trascorso la notte successiva, a diverse decine di chilometri di distanza da quella del ritrovamento. Una volta arrivata a destinazione, le chiavi erano già lì ad aspettarli.

In alcuni casi, questo rispetto maniacale verso il prossimo, genera comportamenti che fanno sorridere. Come la storia circolata pochi anni fa, in piena pandemia, del bambino di sei anni che, dopo aver trovato una monetina da 30 centesimi per terra, si dice  sia andato alla stazione di polizia più vicina per riconsegnarla, invece di mettersela in tasca.

Davvero, non potremmo essere più distanti, come approccio. Da noi, notoriamente, la restituzione di un oggetto smarrito è vista come un favore, un atto di sorprendente benevolenza: chi ritrova qualcosa si sente miracolato, e tende a beatificare colui che ha portato l’oggetto alle autorità competenti. Intimamente connessi a questa diversa visione del rispetto, e quindi, della restituzione dell’altrui proprietà, vi sono, poi, i nostri luoghi del “perso e ritrovato”. Quasi tutti caratterizzati da una sovrumana malinconia, questi ultimi sono perlopiù locali vetusti e bui, con plafoniere al neon balbettanti, raffazzonate cablature a vista, e pareti sublimate da macchie di umidità risalenti al periodo giurassico. E che dire dei mesti impiegati, i quali devono vivere questo incarico come una specie di tortura medioevale, tanta è la scontrosità e l’astio che scaricano sui poveri utenti pellegrinati sul posto, sospinti dalla tenue speranza che un’anima pia abbia portato lì l’oggetto da loro perduto.

La cosa buffa è che, pur essendo la società civile percorsa da una profondissimo senso dell’onestà e del rispetto del prossimo, il sistema politico giapponese, invero, è caratterizzato da un altissimo tasso di corruzione. In questo, va detto, Italia e Giappone si assomigliamo moltissimo.

Per finire, anche se non proviene dal Giappone, questa straordinaria lista di oggetti lasciati nella metropolitana di New York il 28 luglio 2014 – quindi in un solo giorno –  è una chiosa perfetta per questa digressione sulla distrazione: 1782 vestiti di alta moda, 452 stoviglie, 420 biglietti della lotteria, 370 diari personali, 348 calcolatrici, 216 pelouche, 147 biciclette, 96 radiografie, 82 giacche di pelle, 71 biglietti per film o concerti, 68 giochi da tavolo, 33 chitarre, 26 mini recorder, 23 sassofoni, 19 certificati di morte, 18 binocoli, 6 televisori, 2 sci.

Questa lista, in qualche modo, mi consola: c’è davvero chi è messo molto peggio di me.

Fonte: Internazionale, Wikipedia