Diari Toscani incontra Silvana Livi pittrice. In piena sintonia con il suo nome vive nella campagna di Cerreto Guidi circondata da animali e boschi.
Silvana Livi, mi farebbe piacere si presentasse da sola…
Dipingo da 35 anni: ho sempre avuto la mania di dipingere, e ho coltivato questa passione, anche se non continuativamente. Poi, in un periodo più problematico della mia vita, mi sono data anima e corpo alla pittura e questo mi ha aiutato a venirne fuori. Diciamo che, da quel momento, la mia attività artistica è stata più intensa e negli ultimi 10 anni è diventata a tempo pieno.
In questo percorso artistico ha avuto chi le ha indicato la strada?
Negli anni ’90 ebbi un Maestro, Antonio Biancalani, che mi insegnò delle tecnichepittoriche, mi fece vedere ed entrare nel suo mondo, tanto che rischiai di fare repliche dei suoi quadri. Quando ne ebbi consapevolezza intrapresi altre strade. Nel 2000 il mio cammino è proseguito con il pittore Giulio Greco, che dipingeva in maniera totalmente opposta, e che mi fece entrare in una dimensione diversa: un pittore mistico e simbolista, e con lui mi allontanai dal figurativo.
Lei è toscana, una terra dalle molteplici varietà di paesaggi e di colori: quanto questi influiscono sulla sua pittura?
La Toscana è una terra meravigliosa, mi conceda un po’ di campanilismo: la più bella che ci sia, e la amo profondamente. Di questa terra, non sono tanto i paesaggi che mi attraggono, pur essendo magnifici, bensì i colori che si stendono su di essa. Per un periodo sono stata particolarmente affascinata dagli impressionisti, e ho attinto proprio da quel mondo, dipingendo le sensazioni che quel paesaggio mi dava, questa è una mia costante: dipingo più per emozione che per visione.
Spesso, inconsapevolmente, nella giornata ripetiamo gesti che fanno parte dei nostri rituali quotidiani, ognuno ha i propri. C’è un rituale che l’accompagna quando si accinge a dipingere?
Sì, passo un po’ di tempo davanti alla tela intonsa, inizio a disegnarla con la mente senza mettere colore. Il giorno dopo inizio a buttare giù, anche se ciò che avevo in mente non viene subito, accenno. Non è escluso che passino alcuni giorni prima che torni davanti alla tela. Diciamo che lascio decantare quanto avevo in mente, poi, all’improvviso, sento che è arrivato il momento giusto e torno nello studio davanti a quella tela.
Quali sono i suoi soggetti preferiti e perché li sceglie?
Ho fatto dei quadri quando scoppiò la guerra in Afghanistan, “I fiori di Kabul”, e queste opere le ho dedicate a Emergency. Nell’ultima mostra, “Labili confini”, che si è tenuta alla fornace Pasquinucci a Capraia, in cui abbiamo avuto il piacere di conoscerci, come avrà avuto modo di vedere, ho realizzato i 22 Arcani Maggiori dei tarocchi. Chi non si è fatto fare le carte almeno una volta nella vita? E così, anch’io, anni fa ebbi occasione di farmi fare i tarocchi da un’amica, la quale mi spiegò tutta la simbologia e il senso delle carte. Da quel momento, iniziò un percorso di studio che è durato quattro anni. Pur non volendo fare tanto figurativo in alcuni quadri sono presenti figure, ma non è mai un figurativo pettinato, non è verismo. Sono convinta che un quadro, mentre lo fai ti debba dare emozione. È importante. Ciò che io faccio è sull’onda dell’istinto emotivo.
Proprio a seguito di quanto mi sta dicendo: ci sono artisti il cui percorso artistico è segnato da “periodi” in ciascuno dei quali vi sono tratti pittorici, tecniche e soggetti ricorrenti, è stato così anche per lei? E se sì, è corretto chiamarli percorsi evolutivi? Ma soprattutto, cosa determinano quei periodi?
Sicuramente sono percorsi evolutivi, al di là del soggetto, ci sono tante altre cose oltre a quell’immagine. Non mi fermo alla superficie, mi immergo in quello che voglio rappresentare: è un tuffo nell’emozioni. Bisogna fidarsi dell’istinto, e grazie a questo la mia pittura si è evoluta. Fondamentale è che io sia soddisfatta, appagata, non dipingo per compiacere gli altri. Ci sta che, anni dopo, quei quadri non mi piacciano più, in quanto non mi appartengono più come passato: in quel passato vedo i limiti di quella pittura.
Ciascuno di noi ha una parte in luce e una in ombra che pochi conoscono. Si può, attraverso la pittura, dare un colore e una forma a quest’ultima? La pittura può essere l’occasione per mostrare quella parte in ombra?
Ma sicuramente è così. In un periodo facevo solo nudi di donna: era un processo in cui io andavo alla ricerca di ciò che avevo dentro. C’è sempre quel filo sottile che ti lega alle tue opere. Per esempio nel periodo in cui dipingevo vele, ne ho perso il conto, quelle vele erano la rappresentazione della mia agitazione interiore che mi portava a fare quei quadri, quella tempesta che avevo dentro la mettevo nelle vele. In quei quadri, usavo colori diluiti in modo che trapelasse la morbidezza, nonostante si respirasse, in quei dipinti, atmosfera di tempesta. Usavo una tecnica di sovrapposizione che dava senso al mio sentire. Oggi nei miei quadri sono dominanti il rosso e il blu, non so il perché. Forse il rosso è l’energia che mi viene da dentro e che incanalo nella pittura e nello sport. Vado a cavallo da 30 anni. Ho la fortuna di vivere in campagna, sono circondata da animali, cavalli, una mucca, cani e gatti. In tutta sincerità: non potrei mai vivere in città, è una dimensione che non mi appartiene.
Cos’è per Silvana Livi la fragilità?
Non c’è essere umano che non abbia delle fragilità. È quello stato d’animo in cui non crediamo in noi stessi, tanto da sentirci inadeguati, fuori luogo e con il mondo contro. Questa è la parte forte della fragilità che però, a volte, si può trasformare anche in arte o in forza creativa. La fragilità viene fuori da uno stato d’animo molto silenzioso e intimo, è quella parte di noi che sentiamo pesante e che fa anche male. Riconoscerla è già una trasformazione affinché possa diventare una forza positiva, creativa e allora: scrivere, dipingere, recitare saranno l’antidoto per combattere le nostre fragilità.
Quale scambio emotivo c’è fra chi dipinge e chi fruisce di un dipinto?
Vorrei che le emozioni fossero uguali alle mie, anche se c’è sempre una diversità. I miei quadri sono abbastanza coinvolgenti, sono forti, sono materici, da quanto mi dicono gli altri, e i complimenti che ricevo non sono solo per ciò che vedono, ma per l’energia che c’è in quel quadro. Mi piace lo scambio verbale con chi fruisce dell’opera, è un modo di entrare nella lettura di un quadro e ognuno ha la propria che è strettamente legata al proprio sentire.
Il senso dell’esistenza ruota su temi comuni: vita, amore, sesso, destino, morte. Se fosse una scrittrice le chiederei con quale atteggiamento mentale ed emotivo metterebbe nero su bianco questi interrogativi che tutti ci poniamo, ma essendo lei una pittrice le chiedo con quali colori e con quali propositi si approccia a questi temi? Sempre che lo faccia.
Allora: la vita la rappresento con colori forti, la vita è energia e passione, la vita la vedo corta e cerco di viverla al meglio, assaporando questi attimi. L’ amore l’ho rappresentato in mille modi nei miei nudi, e c’è sempre il rosso, emerge la sensualità, così mi dicono. La morte non si rappresenta, la morte non è detto che sia la fine di questa vita, chissà… è un mistero velato di curiosità, che non tendo a rappresentare. Io sono atea e penso che il destino ognuno se lo faccia, quindi non credo che siamo destinati a… Il destino è quello che deve ancora avvenire, quindi è una velatura, lo vedo come se fosse opalescente, una nuvola, un colore che non è colore, un po’ come se fosse tutto da dipingere.
Domanda, forse, un po’ insensata: quanto tempo impiega per fare un quadro?
Di media una settimana, dieci giorni, non è facile quantificare perché c’è bisogno di riflessione.
Come capisce che è arrivato il momento di affermare che il quadro è finito e riporre pennelli e colori. Cosa prova in quel preciso momento?
Provo pace, sento di essere arrivata a un traguardo. A volte ci sono traguardi fasulli: penso che sia finito e dopo due giorni ci rimetto le mani. All’improvviso vedo una piccola modifica da fare, la faccio e lì, in quel preciso istante ho la certezza che è finito. È sicuramente necessario anche un periodo di riposo per essere scevri dal giudizio. E poi… ci sono quadri dai quali non riesco a distaccarmi, perché con essi ho creato un legame particolare.
Nel corso della mostra alla fornace Pasquinucci i “suoi” tarocchi mi hanno incuriosito soprattutto per il loro linguaggio iconografico…
Mi è piaciuto trasmettere in pittura queste carte magiche, esoteriche. Quando vai a farti fare le carte è perché c’è qualcosa che ti fa struggere. Ti approcci a quella lettura con uno stato d’animo particolare. Mi sono appassionata a rappresentarle, raffigurarle e sì: i simboli che si trovano in quei quadri sono simboli miei, ed è stato divertente, perché ho interpretato questi simboli. Nei miei quadri c’è sempre la distruzione di qualcosa, agisco con una spatola che graffia, gratta, oppure aggiunge e confonde un’immagine. Tutto questo caratterizza e dà dinamismo, anche la luce non può essere ferma. Le mie sono opere materiche, opere grandi, quindi ho bisogno di materia, grossi pennelli e spatole per ottenere quegli effetti.
Lei scrive anche poesie…
Sì, la poesia mi dà l’immediatezza, ciò che mi arriva lo metto subito nero su bianco. Un quadro non ha questa immediatezza. I miei componimenti sono prevalentemente ermetici, in poche righe racchiudo il senso. Sono poesie sintetiche, veloci: istantanee emotive. La maggior parte di esse sono in un quaderno, alcune sono state pubblicate in una raccolta insieme ad altri poeti e si trovano online.
Progetti futuri?
Ho una mostra che deve girare e altri progetti in lavorazione.