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Diari Toscani

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Mario Monicelli: il toscano nell’anima

DiPierluigi Califano

Mar 18, 2023

Quando mia madre è mancata, abbiamo scoperto che era nata in una data diversa da quella che conoscevamo. Gli uffici dell’anagrafe non erano molto attenti, all’inizio dello scorso secolo. Steve Della Casa scoprì che Mario Monicelli era nato a Roma, anche se lui asseriva di essere toscano, nato a Viareggio, e che la sua anima aveva visto la luce in Versilia. Mario Monicelli, che sarebbe diventato uno dei più grandi registi del novecento, ha narrato l’Italia con le mille sfaccettature, le sue meravigliose incongruenze. Suo padre, Tommaso Monicelli, era stato il direttore del Resto del Carlino e dell’Avanti, dopo Benito Mussolini. Mario Monicelli trascorse la sua infanzia a Roma, poi la sua famiglia si trasferì a Viareggio. Studiò a Prato fino al liceo, poi si trasferì a Milano per proseguire gli studi universitari. Nel capoluogo lombardo, insieme ad Arnoldo Mondadori, con il quale aveva un legame di parentela, fondò il giornale Camminare. Monicelli si occupava di critica cinematografica. Fece ritorno in Toscana e si laureò in lettere presso la Facoltà di Pisa.

 Nel 1934, girò il suo primo cortometraggio, Cuore rivelatore, che era ispirato ad un racconto di Edgar Allan Poe. Nel 1935, collaborò al suo primo film insieme ad Arnoldo Mondadori: I ragazzi di via Pal, il romanzo che ognuno di noi ha letto nei primi approcci alla lettura. In quel periodo, sviluppò il suo spirito sarcastico e burlesco tipicamente toscano. Nel 1937, diresse il  primo film da regista, usando lo pseudonimo di Michele Badiek, dal titolo: Pioggia d’estate, che, tuttavia, non fu mai distribuito a causa della censura fascista. Mario Monicelli fu richiamato alle armi, ma riuscì a scampare alla campagna d’Africa, rimanendo nascosto a Roma. Nel 1945 girò come aiuto regista di Pietro Germi, Il testimone. L’anno seguente iniziò il sodalizio con Steno, il papà dei fratelli Vanzina, con cui scrisse la sceneggiatura di Aquila nera e poi le commedie con Totò: Guardie e ladri, Le infedeli e Totò e le donne.

Nel 1946 suo padre si suicidò, segnando profondamente il carattere di Mario. Dopo aver rotto con Steno, Mario Monicelli tornò a collaborare con Pietro Germi nella pellicola: In nome della legge. Nello stesso anno vinse il premio come miglior regista a Berlino con Padri e figli. Il 1958 fu l’anno della svolta. I soliti ignoti con un cast stellare, fece e continua a fare scuola su come dovrebbe essere una commedia cinematografica. Ne La Grande guerra del 1959, Mario Monicelli narrò con la solita vena ironica, la prima guerra mondiale. Nella pellicola Gassman e Sordi fanno  a gara nella bravura interpretativa, lasciando nello spettatore quel sapore dolce amaro della vita. Il film fu candidato all’Oscar e ottenne grande successo di pubblico e critica. Nel 1963 diresse il film: I compagni, che fu, nuovamente, candidato al premio Oscar. La pellicola raccontava la storia del sindacalismo, che si intrecciava con quella dei protagonisti che erano: Marcello Mastroianni e Annie Girardot. Il grande amore di Monicelli per la storia e le burle si tradusse nella pellicola del 1966: L’armata Brancaleone, che racconta di un Medioevo in chiave tragicomica. Il titolo è entrato nel lessico quotidiano e ancora oggi si usa per identificare un gruppo di persone che ha poche speranze di vittoria.

 Nel 1968 diresse una straordinaria Monica Vitti nel film: La ragazza con la pistola. Con la pellicola: Vogliamo i colonnelli fu candidato a Cannes. Mario Monicelli volle narrare in chiave satirica i tentati colpi di stato del 1964 e del 1970, quello di Borghese. Dopo Romanzo popolare del 1974, arrivò il primo capitolo di Amici miei. È il compendio dell’arte narrativa di Monicelli. Gli scherzi infiniti di amici toscani che nascondono il male di vivere dietro al perenne sorriso. L’interpretazione di Alberto Sordi nella pellicola del 1977, Un borghese piccolo piccolo, rimane una delle pietre miliari dell’arte attoriale e della regia. Monicelli e Sordi si ritrovarono nel 1981, in ben altre vesti con Il marchese del Grillo, che è odiernamente conosciuto a memoria da generazioni di spettatori. Mario Monicelli riuscì a dirigere Sordi in due ruoli completamente antitetici, senza snaturare la sua qualità di attore. Nel 1982, diresse il secondo capitolo di Amici miei, ancora una volta il suo spirito toscano coinvolse gli attori che parteciparono al film. Dopo la simpatica brigata degli amici toscani, diresse un cast quasi completamente al femminile nella pellicola: Speriamo che sia femmina. Un omaggio alla donna che ricevette un grande successo di pubblico e critica. Le dinamiche famigliari furono al centro del film che diresse nel 1991: Parenti serpenti, riuscì a fotografare con sarcasmo i rapporti tra congiunti in occasione di una classica festa comandata. Alla soglia degli ottanta anni diresse Paolo Villaggio, in Cari fottutissimi amici: un’altra armata Brancaleone ambientata nella sua amata Toscana nel 1944, alla fine della guerra e l’inizio di quella civile che divise l’Italia in due. Un viaggio metaforico che rappresentava la voglia di tornare a casa dopo tanto peregrinare.

Mario Monicelli fu anche regista  teatrale e gli ultimi suoi lavori furono: Sotto il sole della Toscana del 2003 e SoloMetro del 2007. Si è sempre professato socialista, anche se disilluso. Anche lui, come il padre, si è tolto la vita: la sera del 29 novembre del 2010 si è gettato da una finestra di un ospedale romano. Ha narrato la trasformazione del paese con l’occhio critico e il sarcasmo tipico di un toscano nato a Roma. O forse nato Viareggio, chissà?