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Diari Toscani

Giornale di cultura, viaggi, enogastronomia e società

Il Codex Vindobonensis 324 e il mondo antico (dodicesima parte)

DiGian Luigi Telara

Feb 13, 2023

L’uomo ha da sempre reimpiegato i materiali usati e lavorati da chi lo ha preceduto. Interi edifici sono stati digeriti in questo modo. Palazzo Barberini a Roma è un reimpiego di materiale del Colosseo. Non deve stupire, quindi, che quando i romani arrivarono a Luni, cominciassero a sventrare ciò che trovarono e che poteva loro servire in modo puramente utilitaristico. Un esempio la  statua Sorano VII è stata ritrovata, anche piuttosto recentemente, come lastra di una tomba a cassetta ligure-romana risalente al II-I secolo a C. in località Quartareccia (vicino alla Pieve di Sorano). I motivi furono anche di tipo religioso. Dopo l’affermazione del cristianesimo, era importante eliminare tutto quanto potesse riguardare le credenze antiche, cosa che avvenne assai velocemente. Dal Concilio di Nantes del 658, si cominciarono ad interrare tutte le opere religiose, che i popoli pre romani usavano venerare nei boschi. Le stele vicine a edifici vennero murate. L’iconoclastia e la damnatio memoriae, era in pieno svolgimento.

I vescovi sapevano che cosa contenevano le urne cinerarie, e, man mano che ne venivano trovate di nuove, la polvere contenuta veniva gettata nelle chiese e le pietre santificate venivano usate nei nuovi luoghi di culto cristiano. I vescovi passarono il messaggio di preziosi tesori incinerati, e questa era una mezza verità, ma è anche quello che la gente doveva sapere: dentro queste urne il contenuto era veramente ritenuto un tesoro prezioso, in quanto la vita di ogni uomo era ritenuta sacra, e nessun gioiello al mondo poteva essere grande e prezioso abbastanza per riscattarla.

È frustrante sapere che del nostro passato non è rimasto nulla. Solo pochi oggetti misteriosi su cui poter fare solo congetture. Non era passato d’altronde nemmeno troppo tempo dall’editto di Costantino del 313, se, ancora nel 752, esistevano forme di venerazione pagana in Lunigiana. Un epitaffio di quell’anno nella chiesa di San Giorgio a Filattiera, ci ricorda l’azione iconoclasta di un certo Leodgard, nel nostro idioma Leodegario, o Leotecario, deceduto nell’anno successivo e presente nella cronotassi dei vescovi lunensi, che “gentilium varia hic idola fregit” e “delinquentium convertit carmina fide”, ovvero “distrusse gli idoli dei pagani e convertì i peccatori”.

Fabión continuò la sua descrizione delle vie. Altra via di comunicazione da Plebs de Castello era verso sinistra, da dove si poteva raggiungere il mare. Oltre ai percorsi di cui sopra, terminanti ad Aulla, da Plebs de Castello, la via proseguiva anche direttamente per il mare, toccando in successione Castagnola, Gramolazzo e Minucciano e da lì si poteva arrivare ancora a Pieve San Lorenzo, oppure prendere per Ugliancaldo, Mezzana, Tenerano e Marciaso, e da qui poi la scelta ancora a tridente tra Castelpoggio, Vezzala da cui a Moneta, Ortonovo, Casano e infine Luni, oppure Vezzala, Aventia e poi Luni, oppure Fosdinovo e poi Luni, oppure ancora Castelnuovo Magra e poi Luni. Con Fosdinovo e Castelpoggio in comunicazione tra loro.

Non so quale via abbiano scelto i nostri pellegrini, non me lo ricordo, ma fu certo che il gruppo proseguì il suo viaggio, e come detto si persero, ma non se ne curarono, avendo, ogni sera, mille cose di cui discutere, da raccontare, e risero, e scherzarono, ospitati nelle varie pievi o negli xenodochi al tepore di un camino. Ognuno alla fine raggiunse la propria destinazione, le proprie famiglie, contenti del viaggio in cui avevano visto Roma in buona compagnia e poi i borghi spersi sulle montagne, e sentito mille lingue. Fabión alla fine rientrò nella sua Vezzala, ripassando da solo le tappe del suo percorso di andata che fu il ritorno degli amici, con cui si era associato per curiosità del mondo. Amici che non rivedrà mai più e che non scorderà mai più!

Ma noi stiamo indagando la Tabula  Peutingeriana che, con tutta questa viabilità da passo Tea alla valle del Macra e Vezzala, non ha nulla a che fare. Infatti, in tutto questo dedalo di vie, o meglio, di sentieri e mulattiere, che connettevano tra loro i piccoli borghi medievali sorti nel frattempo. In particolare, piegando da Sala verso Gramolazzo e Minucciano, la via segue un percorso montano piuttosto inerpicato. È difficile che in epoca romana possa essere stata utilizzata una strada del genere, non in stile con il modo romano di costruire le strade e non adatta al passo dei legionari in marcia. Strade che, oltretutto, giungevano ad un luogo, peraltro, facilmente raggiungibile da Roma (la via Aurelia per Luni) e di non vitale importanza come invece la Lucca-Mutina. Nella costruzione di quest’ultima ebbe un ruolo da protagonista Lucio Cornelio Silla, la cui presenza sul posto è supposta per il fatto che dette origine al toponimo Sillano, per il fatto di essere rimasto un lungo inverno bloccato in loco a causa delle intense nevicate. Possiamo ricordare Codiponte, che in epoca medievale era ancora ricordata col nome di “Plebs de Capite Pontis”, dove esiste un antico ponte romano, segno che fa pensare che la via romana che univa Tea al fondovalle, passava per questo luogo, per raggiungere la Aemilia Scauri.

Considerando la via Francigena e quella del Volto Santo stiamo parlando di una viabilità che al tempo della Roma Imperiale non esisteva. A quel tempo il “reticolo imperiale Clodio” correva lungo i fondovalle e attraversava i valichi in alcuni tratti, con strade preparate con i criteri romani: larghe, dritte o con curve leggere, secondo i percorsi più diretti, dove le irregolarità del territorio erano appianate da tagli di coste montuose e da ponti.

Lungo queste vie erano presenti le mansiones,  una delle quali era il “foro Clodi”, di cui  non è stata ancora definita un’identificazione certa. Non risultano esserci ponti o traccia di strade larghe quattro metri e ampi marciapiedi sono presenti nell’ entroterra apuano. Gli unici ponti degni di questo nome sono quelli di Vara, che però sono fuori tracciato e risalgono al 1890.

Durante il Medioevo la viabilità venne ad essere notevolmente modificata per lo sviluppo sia della via Francigena, sia della via del Volto Santo, per cui è necessario considerare queste vie, soprattutto per le varianti a mezza costa e di crinale. La via del Volto Santo è precedente di almeno un secolo rispetto alla via Francigena. Infatti il Volto Santo si rifà al ritrovamento del Cristo ligneo, che risale al VIII secolo, si dice al tempo di Carlo Magno, mentre della via Francigena ha testimonianza dal 999, da quando se ne ha notizia per il resoconto del rientro dell’arcivescovo di Canterbury in patria. I due percorsi riguardano almeno parte dell’antica via Clodia (via del Volto Santo), ma solo per il percorso di fondovalle garfagnino, e la via Aurelia, dunque lungo il litorale, per quanto riguarda la via Francigena. Di tutte le diramazioni descritte da passo Tea verso la Lunigiana una sola era quella giusta che ripercorreva l’antica via romana verso Luni.

Prima parte

Seconda parte

Terza parte

Quarta parte

Quinta parte

Sesta parte

Settima parte

Ottava parte

Nona parte

Decima parte

Undicesima parte