Oggi Curt Erich Suckert in arte Curzio Malaparte, cognome d’arte scelto per parafrasare quello di Napoleone, si direbbe un trasformista. Nacque a Prato, nel 1898, da madre italiana e padre sassone. È difficile definire chi fosse e cosa facesse nella vita Malaparte. La sua è stata un’esistenza che ne ha contenute altre mille. È stato scrittore, giornalista, militare, saggista, diplomatico e anche agente segreto e regista cinematografico. Dopo la scuola dell’obbligo frequentò il liceo classico Cicognini a Prato. Lì, ebbe modo di incrociare un altro alunno che diverrà famoso, Gabriele D’Annunzio. Curzio Malaparte si avvicinò, in gioventù, alle posizioni anarchiche e fu massone. Allo scoppio della prima guerra mondiale, appena sedicenne, decise di partire volontario, in aperto contrasto con suo padre. Combatté sul Col di Lana e in Francia e fu testimone della morte di un suo commilitone, Nazareno Iacoboni, che fu dilaniato da una granata, ma non morì subito e fu finito dallo stesso Malaparte con un colpo di pistola. Dopo la fine del conflitto, con il paese ferito e le gravi condizioni economiche, l’ascesa del fascismo sedusse gli italiani e tra loro anche Curzio Malaparte. Nel 1924, fondò a Roma il quindicinale La Conquista dello Stato, un chiaro e palese sostegno alla rivoluzione fascista. Curzio Malaparte fu testimone a favore del regime nel delitto Matteotti e firmò il Manifesto degli intellettuali fascisti di Giovanni Gentile. Nel 1925, iniziò a prendere le distanze dal fascismo, le sue speranze di rivoluzione sociale furono disilluse. Dal 1928 al 1933, fu co-direttore della “Fiera Letteraria” e, nel 1929, divenne direttore della Stampa di Torino. Nel 1931, Curzio Malaparte pubblicò in Francia il libro: Tecnica del colpo di Stato. Il saggio in lingua francese criticava la Germania di Hitler e la marcia su Roma di Mussolini. La presa di posizione contro il regime costò a Malaparte la condanna a cinque anni di confino nell’isola di Lipari e la conseguente espulsione dal Partito Nazionale Fascista. Fu un esilio dorato, che Curzio Malaparte trascorse insieme ad una nobildonna piemontese sposata. Nei suoi libri, la chiamò “Flaminia” e fu la voce narrante di storie legate a quel periodo. L’esilio durò solo due anni e mezzo, grazie all’intervento del suo amico Galeazzo Ciano, genero di Benito Mussolini. Curzio Malaparte riprese la sua attività giornalistica come inviato del Corriere della Sera. Nel 1936 commissionò all’architetto Adalberto Libera, paladino del razionalismo italiano e già artefice della facciata del Palazzo delle Esposizioni, del Palazzo delle Poste in via Marmorata e di alcune palazzine ad Ostia, sul litorale romano, una villa a Capri. Villa Malaparte rimane ancora oggi una residenza che sfida il tempo e lo spazio. Affacciata sul mare di Capri, divenne ritrovo di artisti e intellettuali. Nello stesso periodo, a causa di una relazione con la vedova di Edoardo Agnelli, ebbe modo di scontrarsi con Giovanni, che fu il fondatore della FIAT. Curzio Malaparte fondò nel 1937 la rivista: Prospettive, nella quale chiamò a collaborare due nomi che avrebbero fatto la storia del novecento, Alberto Moravia e Umberto Saba. L’ingresso dell’Italia nella seconda guerra mondiale, vide Curzio Malaparte richiamato con il grado di capitano. Fu corrispondente in Jugoslavia, dove operò con passaporto diplomatico, avendo origini germaniche, da parte di padre. Descrisse la campagna di Russia, elogiando i sovietici e per tale motivo fu rimandato al confino a Lipari. Tornò libero e fu richiamato sul fronte orientale, dal quale tornò nel 1943, nei mesi precedenti alla caduta di Mussolini. Si rifugiò a Capri e, durante quel periodo, scrisse Kaputt, il suo primo romanzo. Si trattava di un racconto autobiografico, stile Hemingway, che narrava l’attività di corrispondente di guerra di Curzio Malaparte. L’8 settembre del 1943 si schierò con il temporaneo governo Badoglio, ma venne arrestato dal controspionaggio inglese, a causa delle sue precedenti attività. Venne rilasciato e iniziò a collaborare fattivamente con gli inglesi. Fu assegnato al sud Italia e questa esperienza gli servì per scrivere La pelle che fu pubblicato nel 1949. Originariamente si sarebbe dovuto intitolare La peste, ma venne cambiato perché nel 1947 Albert Camus aveva già pubblicato un romanzo con lo stesso titolo. Il realistico romanzo raccontava di una Napoli ferita e umiliata. Una discesa in un girone dantesco, che non piacque alla Chiesa, che proibì la diffusione dell’opera. Curzio Malaparte nel 1947 si trasferì a Parigi come corrispondente de Il tempo. Nel 1950 scrisse la sceneggiatura e diresse un film neorealista che riprendeva i suoi romanzi: Il Cristo proibito, con Raf Vallone e Gino Cervi. La pellicola narrava di un dopoguerra che aveva lasciato profonde ferite in quelli che prima erano fratelli. Una serie di vendette che non conducevano a nessuna salvezza. Nel 1957, intraprese un viaggio in URSS e in Cina, nella quale volle commemorare lo scrittore Lu Xun. Raccontò il lato privato di Mao e dell’invasione sovietica in Ungheria. Alla metà del 1957 dovette tornare a Roma a causa dell’aggravamento di una malattia polmonare. Anche sulla sua morte esiste un velo di mistero. Avvenne il 19 luglio del 1957 in una clinica romana. Curzio Malaparte si era sempre professato agnostico e anticlericale e negli ultimi giorni della sua vita era entrato in contatto con Palmiro Togliatti, aderendo al Partito comunista. La tessera scomparve e si narra di una sua conversione in punto di morte. Curzio Malaparte finì i suoi giorni da comunista, da cattolico, da fascista pentito? Nessuno può affermarlo con certezza. È stato uno scrittore o forse un giornalista, poco importa. Ha vissuto, sbagliato e pagato sulla propria pelle, sempre con la convinzione di essere, egli stesso, la storia che ha raccontato.