OLTRE|FRONTIERA
Destinazione: Barra de la Cruz, Messico
Coordinate: 15°50′25″N 95°58′15″O
Distanza da Firenze: 10.109 Km
Josè “Pepe” Castillo ha due buchi in fronte, uno per lobo. Sono il ricordo della scarica di proiettili che si è beccato nell’agguato, di cui è stato vittima nel 2021. Sa di essere stato miracolato – e in Messico questo tipo di cose hanno una certa valenza – ma da quel giorno vive recluso in casa, con tende alla finestre e guardie del corpo ovunque. Non incontra più nessuno del suo villaggio. E dire che, quello in cui vive, è un posto magnifico, specialissimo, almeno per gli amanti del surf. È Barra del la Cruz, nel sud del paese, chiamata anche “la jola”, il gioiello. Da una parte, un vero e proprio paradiso per i surfisti ascetici in cerca della pace interiore attraverso il dominio delle onde; dall’altra, una terra macchiata di sangue e violenze per molti di coloro che la abitano.
La storia inizia nel 2006. Prima di questa data, i 1500 abitanti del villaggio di Barra de la Cruz vivevano di pesca e agricoltura. Le acque limpide e la grande spiaggia bianchissima erano meta solo di qualche imbarcazione privata. Non c’erano strutture turistiche di alcun tipo. Ma le onde che si generano in questi fondali, devono aver attratto l’attenzione di qualche surfista capitato da queste parti, ed ecco che in quell’anno, la Rip Curl – un’azienda specializzata nell’abbigliamento e negli accessori da surf – chiede alla comunità di Barra de la Cruz il permesso di far disputare, nelle acque della sua baia, una tappa della gara di surf, che organizza e sponsorizza. Gli abitanti sanno che è un’opportunità, ma sanno anche che un’invasione smodata di turismo sarebbe una catastrofe per il loro “gioiello”; così chiedono che il posto venga reclamizzato come “la Joya”, il gioiello, appunto, senza indicazioni geografiche di sorta, a parte un vago riferimento al Messico.
In quegli anni Josè “Pepe” Castillo era negli Stati Uniti: un giovane messicano come tanti, in cerca di fortuna nel paese delle possibilità. Quando riconosce Barra de la Cruz sui video che girano su Internet, capisce che la fortuna, forse, viaggia sulla cresta di quelle onde, nel posto dove è nato e cresciuto. Così torna a casa e, grazie al padre, ottiene i primi terreni per iniziare l’attività. A ridosso della spiaggia, costruisce un ristorante, mentre, nell’entroterra, l’idea è quella di una serie di bungalows, per dare alloggio agli amanti del surf e non solo. Il segreto de “la joya” non dura a lungo, e il nome comincia a circolare nell’ambiente. Nei sette anni successivi il movimento turistico aumenta, ma non esplode in quanto, a parte i bungalows di Pepe e di qualche altro investitore che ha seguito il suo esempio, mancano le infrastrutture, soprattutto a ridosso della spiaggia, e il luogo rimane pressoché inviolato. Le pressioni, però, aumentano. Nelle riunioni della comunità, in cui si discute delle questioni legate al villaggio, quelle che riguardano la spiaggia si fanno sempre più numerose e turbolente. Fino a quando, nel settembre del 2013, viene deciso che 23 ettari di terre comuni, che si trovano lungo la spiaggia, siano assegnate ad alcuni abitanti del villaggio.
Pepe si oppone ferocemente a questa decisione, facendo proprie istanze e timori di tipo ecologista. Si dichiara certo che i nuovi proprietari rivenderanno i terreni ad investitori stranieri senza scrupoli, e che i loro stabilimenti saranno costruiti talmente a ridosso della spiaggia, da compromettere la perfezione delle onde. Ma tutti sono convinti del fatto che dietro a queste nobili intenzioni, si nasconda, in realtà, soltanto la volontà di ostacolare la concorrenza.
A riprova di ciò, negli anni a seguire, vengono istruiti – da persone tutte vicine a Pepe – la bellezza di trenta ricorsi giudiziari e amministrativi, per far annullare l’atto di divisione. Senza successo, però. La divisione delle terre resta valida, si può costruire.
Da questo momento in poi, inizia una nuova fase della vicenda. Nel 2017, viene ucciso il tesoriere della comunità e responsabile della divisione delle terre. Un anno più tardi, dopo l’ennesima riunione popolare incentrata sulla questione delle terre, il suo successore viene ritrovato morto in casa propria, martoriato da evidenti segni di tortura e con il cranio massacrato. La comunità è sotto shock e si lacera in fazioni che si accusano a vicenda della responsabilità dei delitti, dietro ai quali, effettivamente, è impossibile non cogliere un certo tipo di messaggio. Dopo l’omicidio del 2018, la cui barbarie è inusuale persino a queste latitudini, molti altri vengono aggrediti, torturati, o danneggiati nei loro beni mobili ed immobili. Un’azione intimidatoria, che ha scoraggiato la stragrande maggioranza delle persone che si erano viste attribuite le terre, a continuare nella volontà di costruire. Al momento dell’assegnazione, nel 2013, erano più di 120; oggi non arrivano a 20. In paese regna l’omertà: nessuno vuole parlare, esprimere un giudizio o un’opinione su quello che sta accadendo. Chi sceglie di farlo pretende l’anonimato. Tutti temono per la loro incolumità. Come dar loro torto, del resto. Vale la pena rischiare la vita per un pezzo di terra? Il sindaco, interpellato sulla questione, ammette che a Barra de la Cruz c’è qualche piccolo problema; ma quale comunità, aggiunge prosaicamente e con un disincanto che genera più di una perplessità, non ha le sue tensioni? La sua preoccupazione più grande è che la spiaggia non venga deturpata, affinché rimanga un paradiso del surf. Questa sua posizione, così vicina a quella di Pepe, nonché l’assuefazione per i crimini violenti che caratterizza queste regioni periferiche del Messico, non hanno portato a nessun indagato, fino ad adesso. Nel frattempo, la fama della località, almeno nell’ambiente, è cresciuta senza sosta. Molti surfisti vanno lì per girare i loro video promozionali, le manifestazioni aumentano. Nel 2021, proprio dopo una di queste manifestazioni, la World Surf League, due persone in moto affiancano l’auto di Pepe e cominciano a sparare. L’agguato fallisce, Pepe sopravvive, ma il prezzo che dovrà pagare, come abbiamo visto, è comunque altissimo. Sostiene che uno o più mandanti abbiano assoldato dei sicari per farlo fuori, e che questi presunti mandanti siano persone che vogliono speculare sulla spiaggia. È un sospetto non suffragato dai fatti, perché fino ad oggi, come per gli altri episodi, nessuno è stato arrestato, indagato, o anche solo sospettato. Ma non importa: per Pepe, la cosa più importante è che la sua battaglia per preservare l’incolumità della spiaggia, che va avanti da dieci anni esatti, continui. A sentirlo parlare, sembrerebbe un eroe. Di sicuro, lo considera tale il padre – molto orgoglioso di come l’attività del figlio si sia sviluppata – e tutti coloro che fanno parte del suo gruppo, ovviamente. Ma la cosa, vista con gli occhi di chi, impaurito, ha dovuto rinunciare alla terra o ha affrontato enormi rischi e sacrifici per mantenerla, assume tutt’altra valenza. Per loro, Pepe è l’unico responsabile di questa situazione, ed è stato ripagato della sua stessa moneta: dopo che i metodi legali si sono rivelati infruttuosi, è passato alle maniere forti, dando il via a questa scia di violenza.
In mezzo a questa situazione grottesca e paradossale, che sembra uscita dalla mente di Tarantino – gente ricca che surfa in spiaggia, e gente povera che muore per le strade polverose di un villaggio messicano – il turismo va a gonfie vele. I “like” e i commenti entusiasti su Barra de la Cruz si sprecano, tutti magnificano questo angolo di Messico, estraneo al turismo di massa, largamente incontaminato, sulla cui spiaggia non è raro trovarsi in completa solitudine. Ed hanno ragione, in fondo. Forse, se sapessero cosa si cela dietro la sua facciata paradisiaca, tutto questo trasporto verrebbe meno. O forse no. Nel dubbio, chiedere agli albergatori di Sharm el-Sheikh.
Fonte: Internazionale, Wikipedia