Per riprendere in maniera concreta quanto descritto nella prima parte di questo articolo, inerente le forme di neo-colonialismo cinese perpetrato in Africa, vorrei citare alcuni esempi di come il “gigante asiatico” sfrutta e spesso inganna, le deboli economie del continente nero.
L’Angola è il paese africano che ha ricevuto più prestiti dalla Cina negli ultimi 20 anni: oltre 42 miliardi di dollari. Lo afferma un rapporto del Royal Institute of International Affairs (Chatham House) del Regno Unito, il quale sostiene che il debito della regione è divenuto, ormai, una “priorità globale”. Secondo Chatham House, i paesi africani devono 696 miliardi di dollari, un aumento di cinque volte superiore rispetto all’inizio del millennio e il 12 per cento di tale importo è dovuto ai creditori cinesi. Lo studio analizza nel dettaglio sette paesi, tra cui l’Angola, e sottolinea come il rapporto debito/Pil sia migliorato negli ultimi semestri, anche grazie all’apprezzamento del kwanza, cioè dei sette valori fondamentali della cultura africana, e grazie alla crescita dell’economia passata da un debito del 130 per cento del 2020, all’ 86,4 per cento nel 2021/22, con la previsione di arrivare al 56,6 per cento nel 2023, anche se il costo del servizio del debito dovrebbe avvicinarsi ai 13 miliardi di dollari nel 2022, dei quali il 38 per cento è debito estero.
Nell’elenco stilato nello studio, che sottolinea l’eccessiva dipendenza di alcuni Paesi dalla Cina, l’Angola deve alla Repubblica popolare cinese, 13,7 miliardi di dollari, l’Etiopia, 9,8 miliardi, lo Zambia e 9,2 miliardi di dollari del Kenya. Nella terra dei Masai, della quale posso testimoniare di persona, il governo cinese, dopo aver “sedotto”, con promesse economiche allettanti, gli ultimi due presidenti di questa repubblica semi-dittatoriale, è stato autorizzato a costruire strade e linee ferroviarie. Da allora i kenyoti continuano a contrarre debiti su debiti, che aumentano ogni anno di più, con i relativi interessi; in cambio i cinesi sfruttano le risorse del paese e, ultimamente, è stato anche concesso loro di servirsi delle acque territoriali del Kenya per pescare, congelare ed inviare direttamente pesce in patria, a basso costo. Oltretutto la famigerata Repubblica popolare cinese, anziché aiutare le popolazioni locali, che chiedono lavoro a gran voce, hanno portato quasi 20 mila loro operai, offrendo loro un lavoro molto ben pagato. Al contrario, quelle poche migliaia di kenyoti che lavorano con loro, vengono pagati in kenyan shellings, per un valore che va dai sei ai nove euro al giorno, nonostante siano obbligati a turni di lavoro massacranti.
Per lavorare qui, i ragazzi locali, attratti dal miraggio del denaro contante, hanno lasciato i loro villaggi e il loro piccolo appezzamento di terra, che non viene più coltivato, se le mogli o gli anziani genitori non sono in grado di farlo. A questo punto, gli stessi imprenditori cinesi si offrono di comprare le loro terre, ormai incolte e improduttive, per pochi spiccioli. I kenioti gliele vendono per disperazione e così perdono tutto.
“Stiamo diventando schiavi dei cinesi. Sono loro i nuovi padroni del Kenya, vivono nella capitale e comprano tutto, mentre la nostra gente si impoverisce e si ammala di Aids”: questa frase, purtroppo, è ormai sulla bocca di tutti, in Kenya. Dalle informazione sul campo che mi giungono da amici impegnati in altri stati africani, risulta evidente che pochi, per ora, hanno a cuore gli abusi perpetrati quotidianamente in questi paesi. Anche le organizzazioni internazionali che operano qui (quali ad esempio le Nazioni Unite o l’OUE – Organizzazione della Nazioni africane) poco si adoperano, non solo per operare, ma nemmeno per segnalare che l’espansionismo economico cinese ed il conseguente debito dei Paesi africani, dovrebbe essere visto come una “priorità globale”. 22 dei 54 stati del continente africano sono sovraindebitati. Ultimamente però, la sopra citata analisi di Chatham House ha mostrato anche che, a causa del Covid, negli ultimi mesi, la Cina sta cambiando la sua interazione con i partner del continente, con un forte freno alle erogazioni, passate dai 28,4 miliardi del 2016 agli 8,2 miliardi di dollari nel 2019 e ad appena 1,9 miliardi nel 2020, durante la pandemia. Purtroppo temo che questa non sia una misura duratura.