• Ven. Nov 22nd, 2024

Diari Toscani

Giornale di cultura, viaggi, enogastronomia e società

ChiacchierArte: la nuova rubrica di Silvia Ammavuta per Diari Toscani

DiSilvia Ammavuta

Gen 6, 2023

Far due chiacchiere sull’arte con gli artisti, con gli addetti ai lavori, con tutti coloro che contribuiscono a tenere vivo e palpitante il mondo dell’arte, per scoprirne gli aspetti meno noti, per conoscere le storie dietro alle opere e dietro ai percorsi di successo. È il nuovo progetto creato dalla giornalista e scrittrice Silvia Ammavuta per Diari Toscani: una serie di chiacchierate – il termine lo ha fortemente voluto lei, per chiarire l’assoluta assenza di intenti critici o didascalici – che permetterà, anche a chi non è un esperto o non ha una vasta cultura nel campo della storia dell’arte,  di avvicinarsi alle opere e alle figure di artisti e di galleristi, passando attraverso il filtro leggero, e pur profondissimo, delle “chiacchierate” condotte dall’autrice: il suo  marchio di fabbrica,  quello che ha decretato il successo di Diario di un mestiere, la prima rubrica curata da Ammavuta per Diari Toscani, in procinto di diventare un libro, prima di ripartire per la sua seconda stagione. Parte, dunque, un nuovo viaggio di Diari Toscani, che si annuncia ricco di emozioni e di spunti di interesse, grazie alla penna, e, soprattutto, alla sensibilità di Silvia Ammavuta, una delle colonne portanti del giornale. Assolutamente vietato: non salire a bordo.

Felice Tagliaferri: scolpire è un sogno

Diari Toscani incontra Felice Tagliaferri, scultore e docente di molte Accademie di Belle Arti in Italia, tiene corsi attraverso l’arte della scultura per il personale di alcune aziende, collabora con i Musei Vaticani, il Museo Guggenheim e il Museo Omero, cura numerosi progetti dedicati a persone disabili e una campagna di sensibilizzazione per l’abbattimento fisico e culturale delle barriere architettoniche.

Una malattia genetica, scoperta a 13 anni, lo porta in breve tempo alla cecità. A 30 anni risponde a un annuncio dello scultore bolognese Nicola Zamboni per partecipare a un corso, il cui scopo è verificare se essere non vedenti può rappresentare un impedimento all’espressione artistica.

Maestro, quando parliamo di arte, parliamo di bellezza: cos’è per lei la bellezza?

È tutto ciò che ci fa stare bene quando lo tocchiamo o lo vediamo.

E l’arte?

L’arte è il sale della vita, l’arte è musica, colore, ritmo.

Cos’è per lei la fragilità?

La fragilità è sempre un’opportunità, non dobbiamo averne paura, bensì metterla a frutto. Scoprirne il nodo e farlo divenire un punto di forza.

La fragilità è una componente essenziale per essere artisti?

Assolutamente sì.

Ognuno di noi ha le proprie, di fragilità, ma non tutti siamo artisti. Qual è la molla, lo step affinché una fragilità si trasformi in espressione artistica?

Nel mio caso è stato fare un corso. Avevo 30 anni. È stata un po’ come una chiamata dall’alto, una scintilla. Un’esperienza che mi ha cambiato la vita.

Quando ci troviamo davanti a un lavoro ben eseguito da un artigiano viene spontaneo definirlo un artista, secondo lei qual è la linea di demarcazione fra un artista e un artigiano?

L’artigiano fa le copie, l’artista fa delle cose nuove.

Quanto il mondo circostante influenza la sua espressione artistica?

Totalmente: ognuno di noi vive il proprio quotidiano in un preciso contesto e, da quel quotidiano e da quel mondo, che lo circonda, viene influenzato. Quando è nato mio figlio, per esempio, ho fatto molte maternità.

Il 3 dicembre, in occasione della giornata internazionale delle persone con disabilità, è andato in onda il programma “O anche No, la bellezza è di tutti”, e qui torniamo sul tema della bellezza. Vorrei soffermarmi proprio sulla frase “la bellezza è di tutti”, com’è possibile far sì che ciò avvenga?

Basta modificare poco, per rendere la bellezza fruibile a tutti. Pensi a un disabile che entra in un museo in carrozzina e davanti a sé ha un’opera scultorea alta. Immagini le difficoltà che incontrerà: gli sarà impossibile goderne appieno. Stando seduto, pur allungando il collo e girando la testa verso l’altro, non riuscirà a vederla totalmente. Sarà sufficiente collocare uno specchio al di sopra dell’opera e così la visione sarà totale. Il punto focale è avere la capacità di chiedere aiuto a tutti per creare un mondo inclusivo.

Nel corso della serata “O anche no” è stato mandato in onda il corto di Neon Cinema “Andrei bene per il cinema muto”, un film di Monica Felloni, in cui lei era intento a modellare un busto in creta che poi getta in mare, perché?

È stato un gesto simbolico: potevo buttarlo perché ciò che avevo preso era già mio. Poi a casa l’ho rifatto in marmo.

Il busto che lei modella nel corto è quello di Danilo Ferrari, giornalista, che parla solo con gli occhi. Le immagini scorrevano fluide, tanto quanto i movimenti suoi e quelli di Ferrari, i vostri corpi comunicavano in una completa assenza di parole, erano i corpi stessi a parlare e, nel suo caso, a vedere. Quanto è importante la fisicità per un artista?

La fisicità è importante per tutti, le faccio un esempio: quando sei neonato la mamma carezza e nutre. La fisicità è indispensabile come mangiare e dormire.  Per cultura, purtroppo, non ci tocchiamo più.

Il contatto fisico abbatte le barriere?

Sì. La verità è l’essenza di un rapporto, provi a pensare di dirmi una bugia mentre mi tocca una mano, lo spessore del suo tocco sarà alterato, la veridicità sarà alterata, e la si percepisce, è istintivo, e per me che vivo molto di istinto e indispensabile

Quale atteggiamento mentale è necessario avere per donare a un corpo inanimato l’energia di un corpo animato?

La perfezione lo rende inanimato, tutto ciò che è in movimento, anche un’imperfezione lo rende animato. Ecco qui la differenza tra artigiano e artista. L’artigiano riproduce fedelmente, l’artista no.

Quali sono i materiali che lei lavora?

Pietra, marmo, legno, creta e bronzo. Il mio preferito è il marmo, perché lavorando il marmo medito. In inverno, essendo freddo, lo lavoro meno e ne sento la mancanza, ho una sorta di dipendenza da marmo.

Mi riallaccio a quanto abbiamo detto poc’anzi: i materiali che lei usa possiamo definirli senz’anima?

No, no.

No, no, no. Sono un ammalato del marmo, perché il marmo per formarsi ci mette migliaia di anni e io ho la fortuna di poterlo lavorare e modificare. Se vogliamo restare sul poetico, la mia anima si unisce a quella del marmo, ma questo avviene con ogni materiale, perché ognuno di essi ha la propria, di anima.

E quando siamo davanti a un’opera d’arte e proviamo un brivido, quel brivido che ci arriva è quello dell’anima dell’artista? 

No, è quella di coloro che sono davanti all’opera: ciò che ognuno di noi prova è in risonanza con ciò che abbiamo davanti, l’emozione è in risonanza con il proprio sentire, il proprio essere e il proprio vissuto.

Parliamo di tattilità. Spesso per capire le peculiarità di un oggetto diciamo: senti. Eppure le mani non sentono, le mani saggiano, verificano, esaminano. Cosa rappresentano per lei le mani?

Sono i miei occhi, il mio metro, il mio tutto, sono ciò che mi circonda e attraverso esse lo vedo e lo ricreo.

Il nostro corpo emette vibrazioni, così come il nostro pensiero: queste onde vibrazionali interagiscono con le sue opere?

Sicuramente, ma soprattutto sono le persone che incontrano le mie opere, che vibrano soggettivamente, come dicevamo prima, ognuno vibra sull’onda delle emozioni che scaturiscono dal proprio vissuto.

Un salto indietro nel tempo, Felice Tagliaferri bambino, chi era? Com’era?

Ero un bambino felice, di nome e di fatto. Sono cresciuto in provincia di Foggia, in campagna, con i miei nonni. Il miglior amico era Fritz, un cane. Passavo molto tempo all’aria aperta, immerso nella natura, e di questo gioivo.

Quando ha capito che il suo mondo sarebbe stato quello della scultura?

Quando ho frequentato la scuola dello scultore Nicola Zamboni. Prima di allora non sapevo nemmeno cosa fosse uno scultore, ero un antiquario, restauravo mobili antichi.

Cosa significa per lei scolpire?

È un sogno, è talmente bello che mi auguro di non svegliarmi mai da questo sonno immenso.

Quando vogliamo dare potenza a un sentimento si usa dire: ce l’ho scolpito nel cuore. Lei che è uno scultore mi aiuti a capire il significato di questa frase…

Non è un mio modo di dire, chissà, forse perché è un concetto talmente grande che qualsiasi parola non sarebbe sufficiente per spiegare il significato di questa espressione.

Progetti futuri?

Sto facendo fare a un modellista un busto di Louis Braille, e verrà inaugurato il 21 febbraio 2023 all’università di Ferrara, dopodiché girerà l’Italia. Mentre da marzo ad aprile, sempre del 2023, partirà la “Carta dei diritti di tutte le persone disabili”. Si tratta di un grosso pezzo di marmo, che verrà imbarcato su un catamarano e toccherà 80 paesi nel mondo. L’intento è incontrare tutti i capi di Stato del mondo. Ognuno di loro apporrà le iniziali della propria firma incidendola con martello e scalpello, così facendo ciascuno alleggerirà il peso del pezzo di marmo: simbolicamente la “Carta dei diritti” avrà un peso più sopportabile per tutti. A conclusione del giro la scultura con le firme verrà messa all’asta e il ricavato della vendita devoluto a un’associazione che si occupa di disabilità.

Non ci resta che augurare alla “Carta dei diritti di tutte le persone disabili” di navigare con il vento in poppa.