Ulisse alza il calice in onore di Achille, nell’Odissea: questo, forse è il primo brindisi documentato della storia e la conferma dell’origine antichissima di una pratica rimasta, sostanzialmente, immutata per secoli e diffusa in tutto il mondo. La parola brindisi, tuttavia, deriva dall’espressione tedesca “bring dir’s” che significa “porto (il bicchiere) a te” e conferma che tra i primi, più noti brindisi della storia ci sono quelli di Attila, re degli Unni che, si narra, salutò, in una cena, ogni portata con tre giri di brindisi. In mezzo, tra gli antichi Greci e gli Unni, però, ci furono i Romani, che, come sempre, attinsero ai riti greci aggiungendo una loro personalizzazione. Anche a Roma era pratica comune incrociare i calici augurandosi buona salute, ma, per stemperare l’acido di molti vini, i romani aggiungevano alla bevanda delle briciole di pane tostato e dal tostus latino, che significava bruciato, asciugato, è derivato il termine inglese toast, nell’accezione di panino farcito e tostato, appunto e nell’indicazione della figura esperta nella creazione di brindisi, cioè il toastmaster, una sorta di maestro di oratoria, la cui abilità ha fatto sorgere club e scuole in varie parti del mondo. Alla radice del gesto, con ogni probabilità c’era una dimostrazione di fiducia: bere un primo sorso davanti a tutti era la prova che ci si fidava e che il vino non era avvelenato. A questo, rapidamente si sovrappose il valore beneaugurante e celebrativo. Anche l’usanza di far tintinnare i bicchieri è piuttosto antica e affonda nel desiderio di mescolare il contenuto di due calici, sempre per evitare avvelenamenti vari, e in quello di connotare anche sonoramente l’esperienza del brindisi che coinvolgeva tutti gli altri sensi e anche nella convinzione che il tintinnio avesse il potere di allontanare presenze demoniache.
Il rituale si diffuse e si ampliò con formule verbali ricorrenti e tipiche dei vari luoghi. Dal prosit latino (che ti faccia bene!), al cheers inglese (che è un saluto benaugurante), allo skål scandinavo che trae origine dall’abitudine di bere dentro il teschio del nemico, fino al cin cin italiano, che è solo la riproduzione onomatopeica del suono dei bicchieri urtati gli uni contro gli altri nel brindisi, pur derivando da una locuzione cinese di cortesia.
Il discorso che accompagnava il brindisi divenne un vero e proprio cult dalla seconda metà dell’800, con specializzazioni legate alle occasioni canoniche: compleanno, matrimonio, vittoria sportiva, funerale e capodanno. Esistono, infatti, ben 1500 formule di discorsi da brindisi, raccolte e catalogate da Richard Dickson, uno dei più celebri toastmasters del ‘900 e oltre 14 mila club di toastmaster distribuiti in 122 paesi. Brindare è una cosa seria, a quanto pare, e per farlo con tutti i sacri crismi si devono seguire regole ben precise. Innanzitutto è severamente vietato brindare con l’acqua! Significa augurare a qualcuno di morire affogato. Obbligatorio anche alzarsi in piedi tenendo il bicchiere all’altezza della spalla. Il discorso deve stare in parametri che si riassumono con l’acronimo KISS: keep it short and simple, cioè mantieni il discorso corto e semplice. La durata consigliata va da uno a poco più di due minuti, possibilmente chiudendo con una battuta allegra e positiva. Vietato, in maniera categorica, brindare a se stessi e, allo stesso modo, non si deve bere se si è i destinatari di un brindisi, ma bisogna solo ringraziare.
Il contenuto dei bicchieri è sempre stato variabile – fatto salvo che mai può essere acqua. Vino, birra, idromele, champagne, spumante, prosecco: la moda e il portafoglio, in questo caso fanno scuola. Nel caso del brindisi di capodanno, l’etichetta vorrebbe che tutti i bicchieri venissero riempiti prima di essere passati ai commensali, i quali, nell’attesa della mescita, come ulteriore rito benaugurante, potrebbero mangiare acini d’uva o chicchi di melagrana.
Negli anni sessanta, quando il benessere passava anche dal brindisi di mezzanotte, il 31 dicembre, era l’occasione, per i nonni e per i bambini, di assaggiare quel vino frizzante che pizzicava nel naso: un goccetto, appena, a bagnarsi le labbra. Il rito cominciava col papà che faceva saltare il tappo col botto e con la schiuma che spumeggiava fuori dalla bottiglia, bagnando la tavola. Le mamme ci inzuppavano le dita e se le passavano dietro le orecchie come fossero gocce di profumo e ti invitavano a fare lo stesso “ perché portava bene!”. I vecchi alzavano il bicchiere con gli occhi lucidi, i piccoli lo assaggiavano per sentirsi grandi, ridendo e tossendo e sentendosi brilli con un solo, piccolissimo sorso. Il brindisi era il clou della serata, raro e prezioso perché riservato solo a pochissime occasioni. Tutti in piedi coi bicchieri in mano, col sorriso sulla faccia, con un desiderio da augurarsi per il nuovo anno, a scambiarsi baci ed auguri che odoravano di vino e di speranza.