Quando ho chiesto un incontro a Daniela Pimpinelli, arciera, si è resa subito disponibile, nell’arco di pochi minuti, e qui la parola arco mi fa sorridere, siamo passate al tu in maniera spontanea. “L’arco e le frecce simboleggiano l’amore e un attributo della tensione vitale”. Un salto indietro nel tempo e, passo passo, arriviamo a oggi, con Daniela che mi narra la storia del suo mestiere, che sembra racchiuso proprio nella frase che ho citato.
Daniela segue il marito per lavoro, trasferendosi in svariate città. Nell’88 vive a Bologna, ha 42 anni e un desiderio, al quale non ha, fino a quel momento, potuto dare soddisfazione: tirare con l’arco. Si reca in un’armeria, chiede dove potersi rivolgere per trovare una scuola di tiro con l’arco, il negoziante le dà la dritta. Daniela prende contatto e si iscrive al corso e per la prima volta tiene in mano un arco: “Era un arco scuola, fatto di legno, e usato da tutti. Il secondo giorno di corso mi ero già stufata dell’arco scuola, così, andai a comprarne uno che fosse mio, in alluminio, di colore bianco. Era leggero, di poche libbre”.
E qui mi spiega quali siano i componenti dell’arco, usa la gestualità e muove le mani in maniera armonica, quasi descrivesse una creatura. L’arco è costituito da tre parti: quella centrale, il riser è la parte fissa, cioè il corpo dell’arco, e si può comprare del colore che si preferisce. Le altre due parti sono i flettenti, ai quali si cambia man mano il libbraggio. Durante le 10 lezioni della scuola le libbre sono 12, dopo aver terminato la scuola, e aver acquisito la tecnica, con l’allenamento si aumenta il libbraggio di due misure alla volta. Oggi Daniela è arrivata a 34 libbre.
Una veloce occhiata a quanto ho scritto finora e mi soffermo, fra me e me, a fare un conto veloce, non è carino chiedere l’età a una signora, ma, per quanto i numeri mi diano la sua esatta età anagrafica, c’è qualcosa che non mi torna e non è soltanto l’aspetto fisico di Daniela: è la vitalità, con cui mi narra la sua passione, il suo mestiere, tanto che potrei tranquillamente scremare di svariati anni la sua età. Non resisto e le chiedo se ho fatto bene il conto, conferma e afferma: “il segreto è il tiro con l’arco!”. Prosegue, dicendomi che non esiste un’età in cui un arciere si ferma, mentre per iniziare l’età è intorno ai nove anni e con un tiro da 5-6 metri per arrivare poi ai 18 metri, la misura necessaria per fare le gare indoor.
Di gare dal 1990 al 2010, Daniela ne ha fatte molte, fino a conquistare il podio per ben sei volte nei campionati Italiani. Risponde con enfasi alla mia domanda su quali gare facesse: “Tutte! Non mi facevo mancare niente, poi mi sono specializzata in quelle nel bosco: è lì che ho conquistato sei medaglie, oro argento e bronzo. Le medaglie d’oro nel ’97 e nel ’99″. Apprezzo la sensazione di piacevolezza che trasmette, quando parla delle gare Hunter Field, cioè quelle nel bosco, e della concentrazione necessaria per calcolare le distanze dalla piazzola al bersaglio. Mi parla della percezione della visuale influenzata da ciò che è circostante. Credo di capire bene, quando parla di energie rigenerative ed ecco che “arco e frecce simboleggiano amore e un attributo alla tensione vitale” prendono concretezza nelle sue parole e nel suo modo di relazionarsi con tutto ciò che la circonda.
Daniela non fa più competizioni da 12 anni, ma l’elettricità dell’aria pre-gara la vive e la respira insieme ai “suoi” ragazzi: gli allievi che forma e porta alle gare. Mi dice che, prevalentemente, sono maschi. Ultimamente, però, c’è una buona partecipazione anche di femmine, una di esse ha un legame così profondo con l’arco che non vuole venga toccato da nessuno, solo a Daniela è permesso. Mi incuriosisce il legame che ha con i suoi allievi, il rapporto di complicità che instaura con essi e capisco perché le siano così affezionati. “Lo sport forma, ti dà la struttura mentale per affrontare la stanchezza e sviluppare la concentrazione. Quando tiri da tempo impari a conoscere il tuo corpo, il tuo organismo. La vera essenza dell’arciere è la gara che fa con se stesso, quando ti posizioni per impostare il tiro è ovvio che lo scopo ultimo è quello di centrare il bersaglio, ma a monte c’è l’impostazione mentale, oltre che fisica, una sorta di pulizia della mente, dei pensieri, il tiro con l’arco ti allena alla concentrazione”. Appena finisce di espormi questa perla di amore nei confronti di ciò che fa, si alza e mi mostra la postura: apre le gambe con la stessa apertura delle spalle, si posiziona girando la testa e sfiora con il dorso della mano la mandibola. Resto in silenzio per qualche istante cercando di captare le vibrazioni di una virtuale freccia pronta a scoccare, di un arco che mi regala il piacere dell’attesa nella sua tensione, con il fluire di un movimento armonioso e costante con il solito tempo, una breve e naturale apnea e la freccia vola. Se Daniela riesce a regalarmi queste sensazioni è facile comprendere quanta passione trasmetta ai suoi ragazzi. È un esempio di relazione maestro-discepolo: “Sanno che sono sempre dietro a loro, sentono la mia presenza, soprattutto nelle gare, ma devono essere indipendenti. Ogni loro premio è un premio anche mio, durante le gare, pur non tirando, tiro con loro”. E se portare i suoi ragazzi agli Italiani è per loro un’esperienza, per Daniela è ogni volta una grande emozione.
E poi mi racconta che agli Italiani ha portato anche un non vedente. Non nego di aver avuto un lieve moto di stupore. Mi spiega che a tutti i suoi allievi, spesso, fa tirare ad occhi chiusi per imparare ad ascoltare se stessi, la propria muscolatura, il respiro e il movimento.
Nel caso di arcieri non vedenti, viene collocato dall’istruttore un mirino tattile su di un cavalletto che l’arciere cerca con il dorso della mano dopo aver assunto la postura di tiro.
Le chiedo se avere come allievi dei disabili richieda una formazione particolare: “Nel 2005 ho preso un attestato per disabili e non vedenti, ma quando sono con i miei allievi che abbiano disabilità o no, per me sono i miei ragazzi e ciò che mi preme è far uscire da ognuno di essi le proprie potenzialità”. Mette su un gran sorriso e mi dice che al momento ha un ragazzo con delle problematiche che ogni tanto riesce a fare le cose giuste grazie al rapporto di grande fiducia che ha instaurato con lui, quando arriva agli allenamenti, il suo saluto è sempre lo stesso: “Ciao Danielina”, e in questo vezzeggiativo del suo nome colgo l’essenza dell’arciera. Daniela ha fatto centro!