Classico di Natale, come il rivale e molto più antico, panettone, il “giovane” pandoro, fu creato, infatti, nel 1894 nei laboratori della Melegatti, mentre il panettone affonda le sue radici addirittura nel ‘500, ebbe la sua stagione d’oro negli anni settanta e ottanta, portato al suo massimo splendore dalla Bauli. Erano gli anni del post-boom economico, quando il benessere, faticosamente costruito negli anni sessanta, dava i suoi frutti: il pandoro di Verona era il dolce di prestigio, che arrivava sulle tavole natalizie di quasi tutti gli italiani e affascinava i bambini, con quella sua forma che ricordava una spigolosa montagna sulla quale si poteva far scendere una dolcissima nevicata di zucchero a velo. Si comprava qualche giorno prima e si metteva sotto l’albero, anche lui, come i regali, in attesa di essere mangiato la sera della Vigilia e il giorno di Natale. Era il sapore del Natale, ancora non inflazionato dalle diecimila versioni in tutti i formati presenti in tutte le stagioni che, poi, ne sarebbero derivate. Il pandoro lo vedevi e lo mangiavi solo in quei due giorni di festa, al limite a colazione la mattina dopo, se ne restava abbastanza, ma non era una cosa così frequente. E poi era bello, dentro e fuori: dentro, con quel colore miele dorato e quella forma geometrica e fuori con quella scatola a tronco di cono, perfetta per diventare un elmo medievale. Chi, tra i boomer, non ha intagliato la scatola del pandoro per giocare ai cavalieri? Anche le bambine si mettevano l’elmo di cartone, anche perché adoravano il colore tra il lilla e il rosa, così strano e insolito per i tempi che non avevano ancora conosciuto la mucca della Milka. Il pandoro piaceva soprattutto ai bambini, sia perché con la scatola si inventava un gioco, sia perché più “easy” da consumare, che canditi e uvetta, all’epoca erano più cose da sputare che da ricercare come pregio. Le versioni con il cioccolato, in gocce, nelle farciture, nelle glassature e in qualunque altra soluzione possibile, non erano ancora state pensate. Qualcuno, già avanti, lo serviva con una salsa alla crema oppure al cioccolato. La maggioranza lo mangiava così, naturale. Insieme ai bambini, anche i nonni lo apprezzavano, sempre per via dei canditi che magari scrocchiavano sotto ai fragili denti superstiti e poi perché, spesso, per molti di loro era un dolce di lusso che non avevano mai assaggiato prima. Il pandoro li teneva uniti, nonni e bambini, accomunati dalla sorpresa di una dolcezza sconosciuta e dagli sbaffi di zucchero a velo sulle guance.
Che la forma era una stella lievitata si capì negli anni ’90, quando, ormai avviato alla dozzinalità, si cominciava a rivalutarlo, proponendolo in versioni potenziate da pesantissime creme al mascarpone e da decori alla frutta o al cioccolato e il tentativo di rinnovarlo passava attraverso il taglio delle sezioni orizzontali del dolce che erano perfette stelle. La stella, del resto, è il dna del pandoro. La nota forma del dolce natalizio venne scelta appositamente per rendere omaggio a un dolce veronese del ’200 creato per festeggiare il primo Natale della città sotto la signoria degli Scala. Nadalin, si chiamava ed era fatto con gli stessi ingredienti del pandoro ma con meno burro e, ovviamente, a forma di stella, anche se più bassa.
Il brevetto della ricetta del pandoro moderno venne depositato da Domenico Melegatti il 14 ottobre 1894. Lo stampo, che disegnava una stella a otto punte, era stato realizzato dal pittore impressionista, Angelo Dall’Oca. Gli ingredienti erano e sono le uova, la farina, lo zucchero, il burro, il burro di cacao, la vaniglia e il lievito e la lavorazione richiede anche più di 24 ore per i vari passaggi e i tempi di lievitazione. La produzione industriale è talmente vasta, da moltissimi anni, che il prezzo per un chilo di dolce ha finito con l’essere, addirittura inferiore ai costi delle materie prime di cui è fatto e questo lo ha completamente declassato a dolce comune. La Bauli non ha più il monopolio nella produzione e i bambini, il più delle volte, non hanno alcun interesse a mettersi una scatola in testa e a fingere di essere valorosi guerrieri. Pochi anni fa, Il pandoro ha toccato i minimi storici di prezzo arrivando ad essere prezzato uno o due euro a pezzo, il che, come spesso accade, ha diffuso la convinzione che ciò che costa poco, poco valga. Le ricette per riutilizzare o diversificare il pandoro sono talmente tante, che, ormai, viene comperato più per essere riciclato che per essere mangiato e quasi nessuno ricorda ciò che è stato: il dolce che a diverse generazione di bambini ha fatto davvero dire: “Adesso è Natale”.