Prima di ogni alta riflessione, bisognerebbe chiedersi perché l’idea delle migrazioni verso l’Europa si sia concentrate maggiormente sull’Africa. Analizzando i dati del ministero degli Interni, salta subito all’occhio che, sui quasi 100 mila immigrati clandestini, giunti in Italia nell’ultimo anno, 30 mila provengono dall’Asia. È evidente che, sia il desiderio di emigrare in Europa determinato dalla povertà, sia il radicalismo islamico che fomenta l’immigrazione e ne trae anche profitto, sono presenti ovunque in entrambi i continenti.
Al Qaeda è stata fondata da Osama Bin Laden, l’Isis da Abu Musab al-Zarqawi. Entrambe le organizzazioni si sono insediate e consolidate in paesi asiatici, prima di diffondersi in Africa. Tuttavia, nessuno ha mai parlato di provare a risolvere i problemi dell’Asia, come lo si fa per l’Africa. Si tratta, anche per l’Africa, di stati sovrani, con governi indipendenti ed eserciti nazionali, esattamente come quelli del continente asiatico. È quasi come se fosse una reviviscenza di colonialismo, pensare che i paesi d’Europa abbiano il dovere, ma anche il diritto, di risolvere solo i problemi del continente africano, anche se gli immigrati arrivano da entrambi i continenti.
Paradossalmente, però, l’Europa, oggi, non sembra in grado di programmare neanche il proprio sviluppo, poiché dilaniata da interessi nazionali piuttosto che comunitari, figurarsi quello di altri continenti. L’Italia, in particolare, presenta tassi di povertà, di disoccupazione e di emigrazione per motivi economici (specie nella fascia di età giovanile) troppo elevati, per pensare che possa e debba farsi carico di piani globali di sviluppo in Africa o altrove.
Considerando ciò sarebbe più opportuno parlare di una “collaborazione” con i governi, piuttosto che di risoluzione dei problemi. Purtroppo il “continente nero” è afflitto da decine di conflitti, che, certo, non possiamo risolvere qui, dal governo italiano. Pessime notizie continuano ad arrivare dalla maggior parte dei paesi: in particolare, da Mali e Burkina Faso, sempre più devastati dalla jihad, che i governi non combattono e anzi alimentano. E poi da Sudan e Sud Sudan, dove, a uccidere, sono i conflitti tribali e i militari, autori di due colpi di stato in tre anni. E ancora dalla Repubblica Centrafricana, senza pace nonostante i tavoli di trattative e le tregue promesse dal 2013, dalla Nigeria, alla prese con una violenza ormai fuori controllo, che non risparmia nessuno, dal Ghana, colpito da una inspiegabile, gravissima crisi economica, dalla quale il presidente Nana Akufo-Addo cerca di distogliere l’attenzione, reclamando risarcimenti per gli africani vittime della tratta atlantica degli schiavi, dalla Repubblica democratica del Congo, dal Rwanda e dall’ Uganda, a un passo dal dichiararsi guerra. Nella Guinea Equatoriale il presidente da 43 anni è Teodoro Nguema, salito al potere nel 1979, con un colpo di stato e candidato alla presidenza nelle elezioni del 20 novembre, per la sesta volta consecutiva sostenendo di aver garantito ai guineani decenni di pace. Di fatto, anche lui, come Paul Biya, presidente del Camerun dal 1982, governa con pugno di ferro e la sua famiglia considera come proprio patrimonio personale le risorse del paese.