Questa settimana andiamo a: Zhengzhou, Cina
Coordinate: 34°45′50″N 113°41′02″E
Distanza da Firenze: 8.279 km
Oggi, a distanza di un mese dal primo contagio, la situazione in fabbrica sembra essere migliorata, anche grazie all’intervento del governo, ma l’emorragia di lavoratori in fuga dalla Foxconn, non accenna a diminuire. Per gestire in qualche modo la cosa, l’azienda permette ai lavoratori di lasciare il lavoro, compilando una specie di modulo elettronico. In una sola giornata si sono registrati in 70 mila. Molti di quelli che restano, lo fanno solo per raggiungere il bonus trimestrale, poi se ne andranno anche loro. La Foxconn ha riaperto le assunzioni, promettendo forti incentivi a chi lavora in questi due ultimi mesi dell’anno, per non far slittare, ancora di più, i tempi di consegna, soprattutto dei nuovi IPhone14, già in forte ritardo. Ma è assai probabile che pochi si faranno convincere.
La stragrande maggioranza delle testimonianze di questa storia non è passata indenne sotto la mannaia censoria del governo cinese: qualcosa, però, in rete si trova ancora. Ad esempio, la fotografia di cui parlavo all’inizio, o la testimonianza, da cui è nato questo articolo, di uno dei primi operai fuggiti. Le chiavi di lettura di questa strana “sopravvivenza” on line di alcune testimonianze dei fatti, sono molteplici. La più banale è che si tratti, semplicemente, di una falla nella maglia della censura di regime. Molti osservatori, invece, sostengono che l’emersione della vicenda faccia comodo al governo cinese, nell’ottica di un certo cambiamento di rotta, che vede coinvolta la Cina, sia a livello interno, che internazionale. Vediamo in che senso.
L’odierna posizione di supremazia della Cina è dovuta alle riforme lungimiranti di Deng Xiao Ping, che aprì il paese agli investimenti esteri e rese possibile l’introduzione di un capitalismo controllato nell’economia nazionalizzata, sdemonizzando il concetto di profitto e contribuendo a creare una segmentazione sociale di tipo economico, fino a quel momento rifiutata e bandita dalla rivoluzione di Mao. A distanza di quasi trent’anni, il vento sembra essere cambiato. L’esistenza di un numero sempre crescente di grandi ricchi, non sembra più essere una cosa accettabile. Si fa sempre più strada l’opinione, secondo cui la Cina dovrebbe tornare a nazionalizzare molte delle aziende, che adesso sono in mano a capitali privati, sia interni, sia esteri. E l’attuale presidente cinese Xi Jinping, che ad ottobre ha ottenuto il suo terzo mandato, sembra non essere del tutto in disaccordo con questa posizione.
Allargando, quel tanto che basta, le maglie della censura, e permettendo che “l’incidente” di Zhengzhou venisse alla luce, la Foxconn e, di riflesso, anche la Apple, sono state esposte ad una pessima figura. E questo, più o meno inconsciamente, potrebbe alimentare il crescente sentimento nazionalistico, secondo il quale “cinese è meglio”. Sempre secondo questa lettura, non proteggendo più due aziende straniere di quella importanza, il governo lancerebbe un messaggio forte a quei governi che, nell’ultimo periodo, stanno cercando di impedire o limitare l’ingresso di capitali cinesi nei rispettivi paesi. Semplificando al massimo, il messaggio al mondo occidentale sarebbe: tenetevi le vostre multinazionali, da adesso in poi, la Cina può fare benissimo da sola.
Per finire, non vanno dimenticate le istanze geopolitiche. Il fatto che la Foxconn sia un’azienda di Tawain, si presta a facili strumentalizzazioni: qualunque cosa metta in cattiva luce l’isola, che continua a non piegarsi alle rivendicazioni cinesi di sovranità politica e territoriale nei suoi confronti, non fa altro che spostare il baricentro dei sentimenti popolari verso questa sorta di ferita all’orgoglio nazionale, su posizioni di odio e rivalsa e, inoltre, contribuisce ad allargare la base di consenso necessaria ad intraprendere eventuali azioni di annessione forzata.
Ora, tutte queste considerazioni possono sembrare un po’ eccessive: in fondo si tratta solo di un focolaio di Covid-19 pessimamente gestito. E questo è un fatto. Ma, per quanto ne sappiamo, potrebbero essere perfettamente esatte, o addirittura sottostimate nella loro valenza politica. Solo il futuro ci dirà se le ipotesi di lettura proposte, saranno state solo congetture da studiosi delle dinamiche del consenso, o meno. Una cosa è certa, però: il messaggio che sta dietro ad un evento, il più delle volte, è più importante dell’evento stesso.
Fonte: Internazionale